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Nutrizione

Qualità nutrizionali delle proteine dei cereali e possibili implicazioni per la salute e per l’ambiente

16 Feb 2022

Da AP&B Alimentazione Prevenzione e Benessere – Rivista a cura di NFI Nutrition Foundation of Italy

a cura di Ornella Donnarumma

I cereali occupano da sempre un posto di rilievo nell’alimentazione. Riso, frumento, mais, ma anche farro, orzo, sorgo, segale, miglio e avena rientrano nelle tradizioni culinarie di quasi tutte le culture e, insieme a frutta e verdura, sono alla base di diete tradizionali, come quella mediterranea, che hanno ricadute favorevoli per la salute. La produzione cerealicola, infatti, è un’importante risorsa alimentare a livello globale, come conferma anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), secondo la quale i cereali rappresentano ancora oggi circa il 50% dell’approvvigionamento energetico alimentare, specie nei Paesi in via di sviluppo. Non solo: insieme ai legumi contribuiscono a più della metà dell’apporto delle proteine che entrano nell’alimentazione di tutti i giorni in maniera diretta, attraverso pane, pasta, prodotti da forno, porridge, cereali pronti per la prima colazione e altri, oppure, indirettamente con carne, latte e uova da animali alimentati con mangimi a base di cereali. Infatti, quasi la metà dei circa 2.700 milioni di tonnellate di cereali prodotti annualmente in tutto il mondo viene destinata all’alimentazione del bestiame.
Un’analisi dettagliata delle caratteristiche dei cereali, ma soprattutto del potenziale della loro frazione proteica, spesso poco considerata dal mondo scientifico e dal consumatore, arriva da una recente revisione pubblicata su Nutrition Reviews. Gli autori hanno cercato di riportare al centro del dibattito l’importanza della frazione proteica dei cereali, focalizzando l’attenzione sul ruolo che potrebbe svolgere nella transizione verso un sistema alimentare più sostenibile per l’uomo e per l’ambiente.

 

I cereali nell’alimentazione degli Italiani

Secondo le ultime stime della FAO, gli Italiani hanno quasi raddoppiato negli anni il proprio consumo giornaliero di cereali (Tabella 1): dai 260 g riportati dall’indagine INRAN-SCAI 2005-06 fino a un consumo procapite di circa 440 g di cereali e derivati al giorno nel 2019 (dati FAO). All’epoca dell’indagine INRAN-SCAI 2005-06 il pane rappresentava più della metà dei prodotti a base di cereali consumati, sia dagli uomini (2 porzioni e mezzo da 50 g ciascuna al giorno), che dalle donne (poco più di 1 porzione e mezzo giornaliera). L’altro prodotto cerealicolo molto presente sulle tavole degli Italiani era la pasta, seguita da riso, biscotti e, in ultimo, dai cereali per la prima colazione. Sempre secondo la stessa indagine, cereali e derivati contribuivano per circa il 30% all’apporto giornaliero di proteine con gli alimenti, che in Italia si stima pari a 1,2 g per kg di peso corporeo al giorno.

 

 

Una fonte anche di proteine

La produzione alimentare a livello globale è responsabile del 26% delle emissioni di gas serra. Attuare piccoli cambiamenti nella dieta, aumentando i consumi di alimenti di origine vegetale, è stata proposta come una delle strategie per raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale, soprattutto nel mondo occidentale. Su questo stanno riflettendo le aziende alimentari che, con il supporto delle nuove tecnologie, mirano a offrire a un pubblico sempre più interessato al tema della sostenibilità prodotti alternativi e nutrizionalmente validi. Ad esempio, nel carrello della spesa, che negli ultimi anni si è arricchito di alimenti a base vegetale derivati principalmente dai legumi, stanno acquisendo peso i cereali che, anche se composti per la maggior parte da carboidrati, presentano una discreta quota proteica.
Localizzate prevalentemente nell’endosperma (la parte che diventa farina dopo la macinazione del grano) e in minima parte nell’embrione o germe (che dà origine alla nuova pianta dopo la germinazione) delle cariossidi, le proteine dei cereali svolgono nella pianta primariamente una funzione di immagazzinamento. Il loro contenuto varia notevolmente a seconda delle specie e delle varietà agronomiche e oscilla da un minimo del 7% a un massimo del 18% della sostanza secca. Le principali frazioni proteiche dei cereali sono state identificate alla fine del diciannovesimo secolo dallo scienziato americano Thomas Osborne, utilizzando solventi con caratteristiche diverse: albumina, globulina, prolammina e glutelina. Ad oggi sappiamo che frumento, orzo, mais, sorgo e miglio contengono in prevalenza prolammine, mentre gluteline e globuline sono presenti in quantità maggiore in avena e riso. Parlando di proteine nei cereali non si può non citare il glutine, un complesso proteico che si origina in presenza di acqua e per azione meccanica da due frazioni proteiche, la prolammina e la glutelina, contenute in frumento, orzo, segale e farro. Insolubile in acqua, il glutine conferisce elasticità e viscosità agli impasti e, una volta isolato e purificato, può essere usato in una vasta gamma di prodotti alimentari, cosmetici, detergenti e prodotti farmaceutici.
Un adeguato apporto di proteine con la dieta è un fattore fondamentale per il mantenimento dell’organismo. In Italia, l’assunzione giornaliera raccomandata di proteine dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) per la popolazione adulta è pari a 0,9 g per kg di peso corporeo; vale a dire che un uomo di 70 kg ne dovrebbe consumare giornalmente almeno 60 g. Per le persone con più di 60 anni, per le quali gli apporti proteici giornalieri suggeriti sono più elevati e pari a 1,1 g/kg di peso corporeo, come obiettivo nutrizionale per la prevenzione.

 

Altri nutrienti contenuti nei cereali

Costituiti prevalentemente da carboidrati, per la maggior parte amido, i cereali presentano un basso tenore di grassi (meno del 3-4%), per circa l’80% insaturi (oleico e linoleico) e, in minima parte (circa il 15%) saturi (palmitico), custoditi quasi esclusivamente nel germe. La loro rimozione (e in particolare quella dei polinsaturi) è necessaria per prevenire i processi di ossidazione lipidica, che portano all’irrancidimento del prodotto. La fibra, che comprende polisaccaridi, oligosaccaridi e lignina, è concentrata negli strati più esterni della cariosside: il contenuto è quindi più elevato negli alimenti integrali rispetto a quelli raffinati. La raffinazione può influenzare anche il contenuto di micronutrienti, che già varia notevolmente in base alle cultivar e ai terreni di coltivazione. Tutti i cereali forniscono vitamina E e vitamine del gruppo B, mentre sono carenti in vitamina A. Diete esclusivamente a base di riso possono infatti esporre a carenze di retinolo; le nuove tecnologie alimentari hanno permesso di ottenere un riso “dorato” geneticamente modificato, a più alto contenuto di carotenoidi, precursori della vitamina A, ma la popolarità di questo prodotto (tecnicamente un OGM) è da sempre molto bassa, anche nelle zone dove la carenza di vitamina A, endemica, è causa di una specifica cecità. Altri cereali come mais, sorgo e miglio contengono invece di per sé buone quantità di carotenoidi. Pane, pasta, cracker e altri prodotti a base di cereali possono rappresentare anche una fonte di sodio aggiunto. Per questo motivo è importante prestare molta attenzione alle etichette dei prodotti confezionati, ricordando che l’apporto di sale non dovrebbe eccedere i 6 grammi durante tutto l’arco della giornata (equivalenti a 2,4 g di sodio).

 

Qualità, non solo quantità

Dal punto di vista nutrizionale, oltre alla quantità è fondamentale valutare la qualità delle proteine fornite dagli alimenti, determinata da un punteggio universalmente accettato: il PDCAAS (Protein Digestibility Corrected Amino Acid Score). Quanto più il valore di PDCAAS delle proteine di un alimento è vicino a 1, tanto maggiori saranno qualità e digeribilità delle proteine stesse (Tabella 2). Proteine di carne, latte e uova sono di elevata qualità in quanto presentano tutti i nove amminoacidi essenziali (non sintetizzabili dall’organismo e pertanto da assumere necessariamente con la dieta), in forma altamente utilizzabile e digeribile.
Gli alimenti a base di graminacee forniscono la maggior parte degli amminoacidi essenziali, ad eccezione della lisina e del triptofano, i cui livelli sono generalmente più bassi rispetto alle proteine animali. L’abbinamento con i legumi, la cui frazione proteica è invece carente degli amminoacidi solforati (metionina e cisteina), ma presenta livelli di lisina e triptofano più che sufficienti, è sicuramente un’ottima soluzione per ottenere un piatto con un profilo amminoacidico completo, che garantisce cioè tutti gli amminoacidi essenziali all’organismo.
La digeribilità relativamente bassa delle proteine dei cereali può essere migliorata da una combinazione di diversi fattori legati anche alla lavorazione del singolo prodotto: nei panificati, ad esempio, la digeribilità delle proteine aumenta durante la lievitazione ma diminuisce in forno dopo una cottura prolungata. La macinazione invece provoca una liberazione delle particelle fisicamente intrappolate all’interno delle strutture fibrose insolubili della parete cellulare, migliorando la solubilizzazione delle proteine e quindi la loro digeribilità.

 

 

Effetti di salute dei cereali (e specificamente delle proteine)

Solo poche ricerche hanno esaminato specificamente il potenziale delle proteine dei cereali nella dieta sui fattori di rischio di salute; alcuni ricercatori hanno ipotizzato che i benefici associati a diete ricche di vegetali, compresi i cereali, possano essere almeno in parte attribuibili alla componente proteica dei cereali stessi.
Sono invece numerosi gli studi osservazionali che hanno mostrato associazioni inverse tra il consumo giornaliero di prodotti a base di cereali integrali, in cui è predominante la frazione fibrosa del chicco, e il rischio di sviluppare patologie croniche non trasmissibili come il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e il tumore del colon-retto. Non solo: più di 200 trial ne hanno suggerito un ruolo nel controllo del peso corporeo e della colesterolemia, nel mantenimento di una pressione arteriosa nella norma e nel miglioramento del metabolismo glucidico postprandiale.
Gli effetti avversi dei cereali sull’organismo sono invece legati a specifiche proteine in condizioni patologiche. La celiachia, in particolare, è una malattia autoimmune che si sviluppa in individui geneticamente suscettibili in risposta all’ingestione di glutine. Si stima che i peptidi derivati dalla digestione del glutine nel tratto gastrointestinale, che non causano alcun problema per la maggior parte delle persone, nell’1% della popolazione mondiale, scatenino invece una risposta infiammatoria cronica, con conseguente atrofia dei villi intestinali, strutture deputate all’assorbimento delle sostanze nutritive. Secondo i dati forniti dall’Associazione Italiana Celiachia (AIC) sono oltre 200.000 i casi diagnosticati in Italia, di cui più della metà donne, anche se in realtà si calcola che il numero teorico di celiaci, nel nostro Paese, si aggiri intorno ai 600.000. Ad oggi, l’unica terapia efficace e universalmente riconosciuta per promuovere un miglioramento del quadro clinico, che va dai sintomi gastrointestinali a quelli extraintestinali, fino alla associazione con altre patologie autoimmuni, è l’eliminazione totale dalla dieta del glutine e dei cereali che lo contengono (frumento, segale, orzo, farro e triticale).
Un discorso a parte merita la gluten sensitivity, ovvero un’ipersensibilità al glutine associata a disturbi sia gastrointestinali e sia extraintestinali, che però, a differenza della celiachia, non comporta lesioni degenerative della muscosa intestinale. Al momento mancano marker specifici che premettano di effettuare una diagnosi certa; pertanto, la sensibilità al glutine viene diagnosticata una volta che, esclusa la celiachia o l’allergia al frumento, all’eliminazione del glutine dalla dieta si assiste a una completa scomparsa dei sintomi.
Sensibilità al glutine e celiachia si differenziano sia per la comparsa dei sintomi (entro poche ore o giorni dall’ingestione del glutine in caso di sensibilità e anche dopo mesi o anni in caso di celiachia) e sia per il ruolo della dieta gluten free. Le persone che manifestano sensibilità al glutine, dopo una prima fase nella quale devono eliminare qualsiasi fonte di glutine per la remissione dei sintomi, possono, con il tempo e sotto stretto controllo medico, provare a reintrodurlo nella dieta, a differenza dei celiaci che devono obbligatoriamente seguire una dieta rigorosamente priva di glutine per tutta la vita. Esiste poi, specie in età pediatrica e in casi fortunatamente molto più rari, l’allergia alle proteine del frumento, nella quale il sistema immunitario del soggetto allergico produce particolari anticorpi (IgE) rivolti contro una o più componenti del grano (glutine, ma non solo) che, all’assunzione di alimenti che lo contengono, attivano la liberazione di sostanze (soprattutto istamina) responsabili dei sintomi allergici.

 

A proposito di proteine ed effetti sulla salute: l’acrilammide

Durante la cottura degli alimenti a base di carboidrati le alte temperature (oltre i 120 °C con scarsa umidità), come quelle che si possono raggiungere durante la frittura, la cottura su griglia e in forno e la tostatura, innescano un processo chimico noto come “reazione di Maillard”, responsabile della crosticina abbrustolita che si forma sugli alimenti ai quali conferisce sapore e aroma caratteristici. Dalla reazione tra zuccheri e amminoacidi (soprattutto l’asparagina) si forma l’acrilammide, un composto che viene generato anche in contesti produttivi non alimentari ed è presente anche nel fumo da sigaretta. Dell’acrilammide, che nel 1994 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato tra i “probabili cancerogeni per l’uomo” si è occupata in più riprese l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA), fissando dei valori massimi di riferimento per le diverse categorie di alimenti, la cui revisione è tuttora in corso. L’impiego di farine di cereali contenenti meno asparagina come riso e mais (o il pretrattamento con un enzima che degrada l’asparagina, denominato asparaginasi, senza ridurne il valore nutrizionale) può contribuire a diminuire il quantitativo di acrilammide nei prodotti da forno e quindi il livello di esposizione alimentare. In ambito domestico, per esempio, è possibile ridurre il contenuto di acrilammide nel pane tostato diminuendo i tempi della tostatura: abbrustolendo il pane per 3 minuti invece di 5 minuti, comporta un calo del contenuto da circa 200 μg/kg a 30 μg/kg. Va in ogni caso ricordata la continua riduzione della presenza di acrilammide negli alimenti di produzione industriale, dovuta alla selezione delle materie prime e all’adozione delle opportune tecnologie di trattamento degli ingredienti.

 

Conclusioni

  • Cereali e derivati apportano in media il 50% dell’approvvigionamento energetico a livello globale.
  • Riconosciuti per l’apporto principalmente di carboidrati, i cereali contengono an.che proteine; un loro maggiore impiego anche come fonte proteica può essere funzionale alla transizione verso un sistema alimentare più sostenibile per l’uomo e per l’ambiente.
  • La frazione proteica dei cereali è di buona qualità, contenendo quasi tutti gli amminoacidi essenziali, eccetto la lisina e il triptofano. L’abbinamento con i legumi (carenti invece di metionina) consente di ottenere un profilo amminoacidico completo.
  • A uno specifico complesso proteico presente in grano, segale, orzo, farro e triticale, il glutine, va attribuita l’eccessiva risposta immunitaria, con conseguente distruzione dei villi intestinali e compromissione della salute in generale, che si osserva in soggetti geneticamente predisposti (celiachia), e per la quale l’unica terapia è la completa esclusione del glutine stesso dalla dieta.
  • Si parla invece di sensibilità al glutine quando il contatto con questo complesso proteico non si associa a danno conclamato della mucosa intestinale, ma soltanto a una sintomatologia soggettiva più o meno disturbante.
  • L’associazione tra consumo di cereali e salute è ormai nota: l’assunzione regolare di prodotti a base di cereali integrali è inversamente associata al rischio di sviluppare patologie croniche non trasmissibili come il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e i tumori del colon-retto; trial clinici ne hanno dimostrato un potenziale anche nel controllo del peso, dei parametri glicemici e insulinemici e della pressione arteriosa.

 

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