Update per il Pediatra
Malattie Rare

Neurofibromatosi: importanza e ruolo delle Associazioni pazienti (video)

19 Apr 2022

Intervista alla dott.sa Federica Chiara, Presidente Associazione Linfa contro le neurofibromatosi ODV

a cura di Piercarlo Salari, pediatria e divulgatore medico scientificoMilano

 

Come si può descrivere la realtà nazionale relativamente all’assistenza ai bambini con neurofibromatosi?

La neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) è una sindrome genetica, ovvero è una malattia genetica che causa un pannello variegato di sintomi, tra cui il più preoccupante è la predisposizione a tumori a carico del sistema nervoso centrale e periferico. L’assistenza di un paziente con NF1, quindi, implica il coinvolgimento di un gruppo multidisciplinare di specialisti di secondo livello, dal dermatologo all’oncologo per fare un esempio, specificamente preparati sulla malattia.

In Italia, i centri accreditati in grado di offrire tale assistenza si contano sulle dita. Decisamente troppo pochi considerando che ci sono 20.000 malati; non solo: una minima parte di questi centri offrono la “transizione” ovvero sono in grado di assistere il malato dalla età pediatrica a quella adulta.

 

Qual è il contributo delle Associazioni pazienti?

Le associazioni svolgono un ruolo fondamentale di supporto, prezioso sia per i pazienti sia per i professionisti. A titolo di esempio, la “nostra”, Linfa, si è prefissata quattro principali obiettivi: il primo è quello di informare i malati e le famiglie attraverso vari canali, dal telefonico ai social: informiamo sui centri accreditati più vicini e diamo informazioni scientifiche e cliniche sulla malattia e sul progresso terapeutico. Il secondo obiettivo è quello di sostenere la ricerca scientifica, dando speranza ai malati che fino a quest’anno non hanno avuto altro che opzioni terapeutiche di tipo chirurgico. In terzo luogo pensiamo e sosteniamo finanziariamente progetti di impatto sociale, come, per fare un esempio, il progetto di sostegno psicologico dei genitori o la terapia logopedica in età scolare. L’ultimo obiettivo è ugualmente complesso e necessita di interazioni continue con la classe politica. Linfa, infatti, lavora incessantemente sul piano delle Regioni per ovviare alla disomogeneità assistenziale presente sul piano nazionale, richiedendo con forza che venga instituito un PDTA specifico per la neurofibromatosi in ciascuna regione, contestualmente alla costituzione di un gruppo specialistico multidisciplinare. In questo quadro, la organizzazione di corsi accreditati dedicati alla preparazione dei medici di famiglia la ritengo una mossa strategica imprescindibile.

 

Cosa deve sapere il pediatra di famiglia e come può interfacciarsi con le Associazioni?

I pediatri di famiglia sono figure di primaria importanza in generale, e nello specifico, sono i primi che con una semplice indagine obiettiva avvertono la presenza sul piccolo paziente di segni clinici indicativi di una potenziale diagnosi di neurofibromatosi. Macchie caffellatte, lentiggini e neurofibromi cutanei sono indicatori altamente suggestivi che spingono il pediatra a demandare il piccolo al dermatologo o al genetista per la valutazione finale. Come sa, la tempestività della diagnosi è cruciale in questa malattia, poiché permette di avviare il percorso diagnostico in grado di evidenziare la presenza di tumori come gliomi o neurofibromi e di seguirne l’andamento dalle prime fasi. Ritengo che la cooperazione con il pediatra sia estremamente utile: la nostra Associazione, per esempio, potrebbe affiancarsi alle famiglie subito dopo la diagnosi, fornendo materiale informativo certificato.

 

Quali sfide e scenari si prospettano per il futuro?

Sono estremamente positiva per il futuro. Il recente documento unico sulle malattie rare emanato dal Governo è promettente e spero che presto escano i decreti applicativi, nonché siano stanziati i fondi necessari per l’inizio dei lavori. La sfida futura è quella operare affinché il documento unico diventi nella realtà un concreto aiuto per i pazienti.

A mio parere questo sarà possibile solo attraverso la creazione di ampie piattaforme di cooperazione tra medici di famiglia, specialisti, pazienti (tramite le Associazioni) e rappresentanti delle istituzioni. I tavoli tecnici regionali sono un buon modello, che va espanso su larga scala attraverso connessioni attive a livello nazionale ed estero per lo scambio di modelli sanitari funzionali. Questa idea, pur sembrando pura retorica, è il risultato della integrazione fra la mia esperienza di presidente della associazione Linfa ed il mio lavoro di ricercatrice: il lavoro di gruppo è garanzia di successo.

 

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