Update per il Pediatra
Allergie

La terapia della rinite allergica in età pediatrica: focus su rupatadina e budesonide

25 Set 2023
rinite-allergica

Da Rivista Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica, organo ufficiale SIAIP

 

Abstract

Un progressivo incremento nell’incidenza di malattie allergiche si è osservato nelle ultime due decadi. La rinite allergica (RA) colpisce circa 400 milioni di persone nel mondo di cui circa l’80% prima dei 20 anni. In Italia si calcola che la RA è presente in circa il 15-20% della popolazione. La maggior parte di essi mostra un interessamento anche oculare (rino-congiuntiviti) quale espressione di una reazione infiammatoria locale di una malattia sistemica. Per tale motivo il trattamento di bambini affetti da RA include l’impiego di farmaci antistaminici e corticosteroidi endonasali. La rupatadina è un antistaminico di seconda generazione che ha dimostrato proprietà farmacologiche e farmacodinamiche adatte all’età pediatrica con una notevole efficacia nelle RA.
La budesonide è uno steroide inalatorio molto utilizzato in età pediatrica. Le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche rendono questo farmaco più efficace e meglio tollerato rispetto alla maggior parte degli altri corticosteroidi inalatori nel trattamento della RA. In conclusione il trattamento della RA nei bambini prevede l’utilizzo dei corticosteoidi endonasali farmaci molto efficaci e ben tollerati anche in età pediatrica. La budesonide, utilizzata per trattamenti prolungati nel tempo, non incide sull’altezza finale nell’età adulta e migliora anche la qualità di vita di questi pazienti.

Parole chiave: rinite, allergia, bambini, rupatadina, budesonide

 

Introduzione

Un progressivo incremento nell’incidenza di malattie allergiche si è osservato nelle ultime due decadi in età pediatrica. I motivi responsabili di tale incremento sono molteplici anche se sicuramente un ruolo determinante è da attribuirsi all’aumento di esposizione a inquinanti e allergeni 1. Una reazione allergica si divide classicamente in due fasi di cui una prima fase si verifica entro pochi minuti o addirittura secondi dall’esposizione all’allergene e pertanto viene classificata come reazione allergica immediata o reazione allergica di tipo I. In questa fase si verifica un legame tra l’antigene e gli anticorpi IgE presenti sui mastociti e sui basofili, con successiva degranulazione e rilascio di mediatori preformati quali istamina, proteasi, bradichinine, fattori chemiotattici, cisteinil-leucotrieni, citochine (interleuchiina 3-5-6), GM-CSF, fattore attivante le piastrine (PAF), prostaglandine D2 e fattore di necrosi tumorale (TNF). Nello specifico della rinite allergica (RA), in questa prima fase il rilascio di tali mediatori determina sotto il profilo clinico prurito nasale, rinorrea e lacrimazione. A tale fase segue, dopo circa 8-12 ore, il verificarsi di una seconda fase, detta appunto tardiva, caratterizzata dall’attività dei mediatori rilasciati con conseguente stimolazione dell’espressione delle molecole di adesione sulle cellule endoteliali e conseguente migrazione nei tessuti di cellule infiammatorie (basofili, CD-4 T linfociti, eosinofili e monociti). Tale situazione determina ulteriore rilascio di mediatori infiammatori, edema locale e danno tissutale che sul piano clinico si traduce in congestione e ostruzione nasale 2 (Fig. 1). All’aumento di incidenza di malattie allergiche consegue che anche i costi economici e il peso sociale delle malattie allergiche continuano ad aumentare. Pertanto è necessario un cambiamento nelle strategie di gestione della malattia, in accordo con lo sviluppo dei nuovi approcci tecnologici per la cura integrata. A tal proposito nel dicembre del 2018 si è tenuto un incontro a Parigi dedicato al trattamento delle malattie croniche. L’incontro è stato organizzato da MASK (Mobile Airways Sentinel NetworK) 3 e POLLAR (Impact of Air Pollution on Asthma and Rhinitis, EIT Health) 4, in collaborazione con operatori sanitari e organizzazioni di pazienti, nel contesto delle malattie respiratorie e allergiche.

 

 

Rinite allergica

Si tratta di una condizione clinica in verità poco frequente nei primi 2 anni di vita in rapporto alla considerazione che sono necessarie almeno due stagioni di esposizione ad allergeni ambientali per evidenziare il riscontro clinico di RA. È stato dimostrato da ripetute valutazioni su sangue delle IgE specifiche la progressiva sensibilizzazione che precede anche di anni l’inizio della sintomatologia clinica 5. Dopo tale epoca di vita, tra i 3 e i 12 anni, si assiste a un incremento costante di circa il 2% per anno 6. Infatti, attualmente si calcola che in Italia la RA è presente in circa il 15-20% della popolazione generale (variabile a seconda del metodo di rilevamento), con un picco di prevalenza negli adolescenti e giovani adulti. Di essi circa l’80% presenta sintomi prima dei 20 anni, con una maggiore frequenza nei maschi rispetto alle femmine 7. D’altra parte già nel 2006 il progetto ISAAC (International study of asthma and allergies in childhood) riportava una prevalenza di RA all’età di 6-7 anni di circa il 6-10% in Europa e il 7-16% in America Latina 7. Il migliore predittore di RA rimane comunque la positività allergica familiare (padre o madre affetto da RA) 8. La RA nei bambini si è dimostrata anche uno stretto predittore di asma negli adolescenti e a seguire in età adulta 9. Questo risulta anche vero nei casi di rinite cronica perenne, anche se è più difficile stabilire una stretta relazione causale tra RA e asma rispetto alla rinite stagionale 10. La maggior parte di essi mostrava un interessamento anche oculare (rino-congiuntiviti), rappresentando cosi l’espressione di una reazione infiammatoria locale di una malattia sistemica 11,12. Recenti lavori epidemiologici stimano che molto presto sarà affetto circa un terzo della popolazione generale. Inoltre, è anche da sottolineare che la situazione geografica italiana consente, con i suoi 7.550 km di coste, la presenza di numerose specie polliniche con distribuzioni preferenziali: betulacee e ambrosia al nord, cupressacee al centro, parietaria e olivo al centro-sud. Le graminacee e l’acaro della polvere sono ubiquitarie. Il maggior fattore di variazione epidemiologica è legato all’antropizzazione. È dimostrato che le patologie respiratorie tendono ad avere prevalenza più alta lungo le maggiori direttrici stradali e nei pressi delle zone ad alta industrializzazione 13,14.

L’asma riporta una prevalenza di circa il 10% e di essi il 10% affetti da asma grave secondo la classificazione ERS/ATS 15. Esistono pochi dati di farmacoeconomia, ma il carico sociale è comunque considerato elevato 16,17. Peraltro, una quota rilevante di pazienti con RA non risulta controllato, si autogestisce, non si rivolge al medico curante e fa largo uso di medicine complementari/alternative 18,19. L’aderenza alla terapia farmacologica è fondamentale per il controllo dei sintomi e per prevenire lo sviluppo di forme severe di malattia, che, come evidenziato in letteratura, possono associarsi all’insorgenza di asma precoce 20.

L’evidenza dell’interessamento anche oculare impone l’impiego di molecole con un’efficace attività antistaminica associata anche a un’attività antinfiammatoria capace di agire sul substrato infiammatorio responsabile della persistenza e della progressione della malattia 20. Per tale motivo il trattamento di bambini affetti da rino-congiuntivite allergica include l’impiego di farmaci antistaminici e corticosteroidi endonasali. Questi ultimi, se iniziati prima del periodo stagionale, circa 3 settimane prima, nei bambini con RA indotta da pollini hanno dimostrato di ridurre la sintomatologia allergica 22.

 

Rupatadina

L’uso di antistaminici di prima generazione in questi pazienti pur essendo efficace presentava lo svantaggio, essendo a elevata liposolubilità, di attraversare la barriera emato-encefalica e di conseguenza essere associati nella maggior parte dei casi a sedazione, rallentamento psico-motorio e riduzione della performance scolastica e aumento dell’appetito. Per tale motivo attualmente gli antistaminici H1 di seconda generazione sono preferiti e rappresentano il trattamento di prima scelta nei bambini affetti da rino-congiuntiviti allergiche, lievi o moderate, stagionali o perenni. La rupatadina è un antistaminico di seconda generazione. L’importanza di tale molecola è ben espressa nella Figura 2 dove viene descritta la sua struttura costituita da 2 gruppi chimici: un gruppo piperidinilico responsabile dell’attività antistaminica anti H1 e un gruppo lutidinilico responsabile dell’attività anti-PAF (Fig. 2).

 

 

È ben noto infatti come l’istamina e il PAF siano due mediatori della cascata allergica responsabili dell’attività pro-infiammatoria e cross-reagenti 23. L’attività anti-PAF della rupatadina è capace non solo di ridurre la permeabilità vascolare, responsabile di rinorrea e congestione nasale, ma anche di agire sull’attività chemiotattica responsabile della fase tardiva della risposta allergica attraverso un incremento della quota eosinofila. Per queste proprietà la rupatadina viene attualmente utilizzata nel trattamento a breve e a lungo termine delle allergie respiratorie. Uno studio ha anche dimostrato che la rupatadina si lega al 70% dei recettori H1 del polmone e a meno del 10% dei recettori del SNC 24. In vitro invece è stata dimostrata una potenza della rupatadina di circa 7 volte superiore alla levocetiriziana e di circa 29 volte rispetto alla fexifenadina nel legarsi ai recettori H1 rispetto ad altre molecole di pari classe 2. Diversi studi sia in vivo che in vitro hanno anche dimostrato l’attività anti-PAF della rupatadina concludendo per una potenza di 160 volte superiore alla loratadina nell’inibire l’aggregazione piastrinica PAF indotta e anche una maggiore inibizione del broncospasmo rispetto alla stessa loratadina 2,25. Uno studio di farmacocinetica condotto nel 2009 da Izquierdo et al. ha permesso di formulare il profilo farmacocinetico della rupatadina nelle diverse fasce di età pediatrica (2-5 e 6-11 anni), dimostrando che la farmacocinetica di tale farmaco dipende dal peso corporeo. La conclusione dello studio ha consentito di dichiarare che una dose di 2,5 mg deve essere utilizzata nei bambini di peso corporeo compreso tra 10 e 25 kg, mentre una dose di 5 mg può essere usata per i bambini di peso superiore 26. Uno studio osservazionale ha poi permesso l’approvazione nei bambini della nuova formulazione orale di 1 mg/ml 5. Relativamente all’efficacia clinica della rupatadina nelle rino-congiuntiviti allergiche, una meta-analisi condotta su 2500 pazienti ne ha confermato l’evidenza 27. Tale evidenza è stata poi confermata in uno studio di fase 3 condotto su 360 pazienti di età compresa tra 6 e 11 anni, affetti da RA persistente, che avrebbe dimostrato una superiorità dell’efficacia della rupatadina utilizzata in soluzione orale (1 mg/ml) rispetto al placebo con una riduzione del T4SS (total nasal symptoms score) a 4 (p = 0,018) e 6 (p = 0,048) settimane di trattamento 28. La formulazione orale della rupatadina ha anche mostrato un’incidenza veramente bassa di eventi avversi, con una percentuale di appena l’1,3% di casi in uno studio condotto su 626 pazienti 26. Da segnalare uno studio di Santamaria et al. condotto nel 2018 su bambini di età compresa tra 2 e 5 anni che avrebbe dimostrato la sicurezza della rupatadina e il miglioramento dei sintomi legati alla RA29. Infine, uno studio multicentrico prospettico di fase 4 condotto su 360 bambini spagnoli avrebbe confermato l’efficacia del farmaco non solo sullo score dei sintomi nasali (TNSS) (p < 0,001 per ciascun sintomo) ma anche una riduzione in severità (p < 0,0001) e una migliore qualità di vita (p < 0,001) dopo 4 settimane di trattamento 30. Anche l’assorbimento della rupatadina risulta efficace per la presenza di diversi metaboliti attivi che non risultano alterati dalla presenza o meno di cibo, per cui il farmaco può essere assunto con o senza cibo. La via più importante di eliminazione è la bile 31. Per valutare l’efficacia e il profilo di tollerabilità anche a lungo termine della rupatadina somministrata al dosaggio di 10 mg al giorno, Valero et al. hanno arruolato 324 pazienti (includendo anche adolescenti di età > 12 anni) affetti da RA persistente dimostrando la buona tollerabilità ed efficacia del farmaco anche in questa fascia di pazienti 32. Inoltre, una ricerca condotta da Gonzalez-Nunez et al. in pazienti di età > 2 anni ha confermato che la rupatadina è ben tollerato in questi pazienti, con una percentuale bassa di eventi avversi del SNC o dell’apparato cardiovascolare 33.

 

Budesonide

È già dagli anni ‘60 che ricercatori della Swedish pharmaceutical company Bofors Nobel-Pharma individuarono nuovi potenti corticosteroidi 17@-acetati, tra cui la budesonide che dimostrò avere una potenza locale diverse volte superiore al beclometasone dipropionato. Infatti, già negli anni ‘70, la budesonide fu indicata come farmaco con primaria indicazione nel trattamento dell’asma. Non solo ma studi successivi hanno poi dimostrato che l’impiego anche protratto di tale farmaco mostrava solo pochi e transitori effetti collaterali sulla crescita a lungo-termine nei bambini trattati 34. Ancora negli anni ‘90 le innovazioni nella tecnologia inalatoria hanno migliorato l’efficacia nella somministrazione del farmaco, dimostrando non solo un deposito doppio polmonare del farmaco ma anche una minore variabilità con solo il 50% di diffusione sistemica rispetto alle metodiche precedenti. Recentemente è stato descritto come le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche della budesonide rendano questo farmaco migliore sotto il profilo dell’efficacia e della tollerabilità rispetto alla maggior parte degli altri corticosteroidi inalatori 35. Infatti, dopo l’assorbimento nelle vie aeree, una parte considerevole della budesonide può subire un processo reversibile di esterificazione nelle cellule. Questo processo (detto depot) favorisce la selettività del farmaco per il tratto respiratorio e l’efficacia del trattamento, anche in mono-somministrazione, in pazienti adulti e pediatrici. Inoltre, in rapporto all’inattivazione da primo passaggio epatico, la budesonide presenta una bassa biodisponibilità orale: solo il 10-13% della frazione inghiottita raggiunge la circolazione sistemica. La rapida biotrasformazione risponde all’esigenza di regolare il rapporto tra biodisponibilità topica e sistemica, così da migliorare il rapporto rischio-beneficio della terapia. La ridotta attività sistemica della budesonide si traduce in un più basso volume di distribuzione, un’inferiore emivita e una clearance plasmatica più rapida rispetto a fluticasone. La sua eliminazione è quindi più veloce e la sua attività sistemica minore, come mostrato dai dati di soppressione del cortisolo urinario ricavati da una metanalisi effettuata su 21 studi 36. Da tale metanalisi si evince che la budesonide esercita una soppressione del cortisolo urinario 4,3 volte inferiore a fluticasone (p < 0,001) 37. Grazie all’effetto depot, la budesonide ha una ritenzione tissutale maggiore di fluticasone e beclometasone dipropionato, grazie alla quale esercita un’azione prolungata sulle basse e sulle alte vie respiratorie. Nella mucosa nasale, a 6 ore dalla somministrazione, i livelli della budesonide risultano 14 volte maggiori rispetto a fluticasone (p < 0,001) 37.

I corticosteroidi inalatori differiscono molto a livello di solubilità in acqua. Un’elevata liposolubilità favorisce la penetrazione oltre la membrana cellulare; una buona idrosolubilità aumenta la dissoluzione nei fluidi bronchiali e la concentrazione dell’attivo all’interno della cellula. Nei corticosterodi inalatori un’eccessiva lipofilia può essere svantaggiosa in quanto molecole altamente lipofiliche aumentano l’emivita del farmaco e conseguentemente il rischio di eventi avversi sistemici; inoltre, possono provocare una più durevole immunosoppressione locale, con potenziale aumento del rischio di infezioni respiratorie 37. Recenti studi hanno dimostrato che la budesonide è relativamente meno lipofilica ma con una maggiore idrosolubilità, caratteristiche che si traducono in una più breve dissoluzione nei fluidi bronchiali umani in vitro rispetto agli altri corticosteroidi inalatori 38,39. Dopo l’assorbimento nei tessuti delle vie aeree, una frazione considerevole della budesonide va incontro a una reversibile esterificazione intracellulare, con produzione di acidi grassi altamente lipofilici in una forma depot inattiva (budesonide 21-oleato) 40. Studi su ratti hanno dimostrato che circa il 70-80% della budesonide viene esterificata entro 20 minuti dalla somministrazione 41. Come il livello intracellulare della budesonide libera cala nel tempo, i coniugati sono idrolizzati dalle lipasi con il conseguente rilascio di più farmaco attivo, capace di interagire con i recettori dei glucorticoidi. Pertanto il processo di esterificazione agisce come un meccanismo che prolunga il tempo di residenza della budesonide nelle vie aeree a livello intracellulare, prolunga la sua durata di azione e riduce il rischio di effetti sistemici 37. Tale meccanismo spiega perché questo farmaco, pur con moderata lipofilicità, presenta una più elevata efficacia locale rispetto ad altri corticosteroidi inalatori a maggiore lipofilicità 42. Sebbene sia stata dimostrata una più bassa capacità della budesonide di legarsi ai recettori dei glucorticoidi, di converso presenta il vantaggio di una maggiore selettività verso tali recettori rispetto a quelli del progesterone, caratteristica diversa da altri corticosteoidi. Tali differenze di selettività sembrano essere inversamente proporzionali alla lipofilicità e spiegare i minori effetti collaterali sistemici derivanti dall’uso della budesonide 43. Sebbene la nuova generazione di dispositivi inalatori è caratterizzata da una quantità di farmaco come deposito polmonare di circa il 40-60% rispetto alla dose nominale e quindi considerevolmente più alta rispetto al 10-15% dei precedenti dispositivi, ancora una significativa dose del farmaco deposita direttamente in orofaringe, nelle vie respiratorie centrali o negli alveoli in rapporto alla grandezza delle particelle e al tipo di dispositivo utilizzato 44 (Fig. 3).

 

 

La maggior parte della dose orofaringea di solito è ingoiata e assorbita dall’intestino. La quantità di farmaco che sfugge all’inattivazione da parte della parete intestinale o del fegato diventa disponibile a livello sistemico (biodisponibilità orale). la maggior parte della dose che raggiunge i polmoni è poi assorbita nella circolazione sistemica attraverso i vasi polmonari e bronchiali (biodisponibilità polmonare). Pertanto, la concentrazione ematica di un corticosteroide inalatorio è funzione della somma delle frazioni orali e polmonari assorbite che sono sfuggite all’inattivazione epatica 45. È stato dimostrato che il metabolismo di questi farmaci a livello del fegato è elevato per fluticasone furoato e dipropionato, mometasone furoato e ciclesonide, mentre è basso per budesonide, flunisolide e beclometasone dipropionato. Nei soggetti sani la biodisponibilità orale è l’1% per fluticasone e mometasone, mentre è l’11% per budesonide e del 41% per beclometasone didpropionato 38.

 

 

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