Update per il Pediatra
Salute e Sanità

La promozione della partecipazione nei contesti di vita per il bambino e l’adolescente con disabilità

25 Set 2023

da We People il magazine della rete pediatrica toscana

Elena Biagini1, Adele Frediani2, Claudia Marini3

1 Dottoressa in Fisioterapia, USL Toscana Centro zona Valdinievole; 2 Dottoressa in Fisioterapia, USL Toscana Nord Ovest, zona Livorno; 3 Dottoressa in Fisioterapia, USL Toscana Centro, zona Empoli

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la partecipazione come “il coinvolgimento di una persona in una situazione di vita”; la presenza di una restrizione alla partecipazione è un problema che un individuo può sperimentare nel corso della sua esistenza 1. In particolare, definisce la partecipazione come “la natura e la portata del coinvolgimento di una persona in situazioni di vita” e la classifica in termini di “mantenimento personale, mobilità, scambio di informazioni, relazioni sociali, vita domestica, istruzione, lavoro e occupazione, vita economica e vita comunitaria, sociale e civica” (OMS, 2001) 2. Quest’ampia definizione comprende la partecipazione dei bambini e degli adolescenti negli ambienti scolastici e il loro coinvolgimento in attività più volontarie ed extrascolastiche, come la ricreazione e il tempo libero. Promuovere attività ricreative, stimolanti e intrinsecamente motivanti è considerata parte fondamentale dello sviluppo di bambini e giovani, strettamente correlata alla loro qualità di vita e ai rispettivi risultati futuri. Attualmente, il tema della partecipazione è sempre più dibattuto e rilevante anche nel campo della disabilità infantile 3 e in relazione al concetto di “sviluppo” del bambino 4,5, in quanto partecipare a un’attività fornisce senso di realizzazione e divertimento durante l’infanzia e l’adolescenza e uno sviluppo positivo in età adulta. La partecipazione ha dimostrato essere un indicatore di salute e benessere generale per tutta la durata della vita ed è stata descritta come un obiettivo chiave della riabilitazione 6-8. È fondamentale che tutti i bambini partecipino ad attività e contesti che forniscano un appropriato livello di sfida, impegno sociale, appartenenza e autonomia 9.

Questo aspetto è indispensabile anche per bambini e giovani con disabilità (condizioni biologiche intrinseche o acquisite) dove l’impegno per promuovere questo aspetto è ancora più grande 3. Il coinvolgimento dei più piccoli include la partecipazione ad attività quotidiane, come quelle ricreative, del tempo libero, scolastiche e domestiche 4; prenderne parte permette a chiunque di sviluppare abilità e competenze, creare nuove amicizie e relazioni, raggiungere la salute mentale e fisica, esprimere la creatività, sviluppare un’identità personale e arricchire il significato e lo scopo della vita.

Diversi autori usano il termine “partecipazione sociale”, sottolineando l’importanza dell’impegno nei contesti di vita: i bambini raccolgono le conoscenze e le abilità necessarie per interagire, giocare, fare esperienze, vivere con altre persone 3, costruire amicizie e sviluppare le capacità e le competenze di cui hanno bisogno per avere successo nelle loro case, nella collettività e nella vita 4. Si legge, inoltre, che la partecipazione ad attività ricreative supporti lo sviluppo di capacità motorie e apporti benefici alla salute, come il miglioramento della fitness cardiovascolare e la riduzione del tasso di obesità. Come si legge nel lavoro di Piskur et al. 3, diverse pubblicazioni considerano la partecipazione un diritto fondamentale per i bambini; più significativa è la partecipazione di un individuo, più lui o lei sviluppa un senso di identità e diventa fiducioso e competente per relazionarsi con i pari, con gli adulti e con la società allargata oltre a esprimere i propri bisogni e “scegliere per sé stesso” (costruire e consolidare l’autodeterminazione).

Molti studi riportano che, oltre alla performance, l’impegno nelle attività è incluso nel concetto stesso di partecipazione e che si possa essere coinvolti in un’attività senza effettivamente svolgerla 3. Questo è particolarmente rilevante per bambini e adolescenti con disabilità motoria molto complessa e invalidante.

La partecipazione dei bambini è potenzialmente influenzata non solo dalle loro capacità funzionali, abilità, interessi e cultura familiare, ma anche da fattori all’interno del loro ambiente fisico, sociale e istituzionale 4.

La disabilità infantile può influenzare negativamente la qualità di vita in quanto il tema della malattia è spesso imprevedibile e i sintomi comportano restrizioni fisiche e sociali 10. Come riportato nell’articolo di Law et al. 4, diversi studi hanno dimostrato che la partecipazione dei bambini con disabilità è limitata rispetto a quelli a sviluppo tipico. I fattori attitudinali e la mancanza di sostegno sociale sono barriere importanti nel caso di soggetti con disabilità fisiche. Il bullismo, la segregazione sociale e l’emarginazione a volte incontrate dal bambino con disabilità possono lasciarlo isolato e diffidente nei confronti delle attività proposte al di fuori del contesto familiare. Nonostante questo, gli ambienti sociali, se strutturati con cura e attenzione, incoraggiano la partecipazione riducendo al minimo gli ostacoli, promuovendo relazioni di cura tra coetanei e atteggiamenti di accoglienza nelle attività ricreative.

In Italia, dalla fine degli anni ‘70, con l’abolizione delle scuole speciali, si dispone che bambini e adolescenti con ogni tipo di disabilità siano inseriti nelle classi normali della scuola pubblica, improntando un sistema pedagogico-educativo basato sull’integrazione scolastica. La vicinanza con l’altro, superata la prima fase di conoscenza a volte difficile, porta necessariamente all’azione orientata al bene sociale, grazie alla capacità di empatia che i bambini hanno e che si sviluppa sulla base delle affinità tra il bambino con disabilità e tutti gli altri compagni. Le classi integrate arricchiscono tutti dando l’opportunità di imparare dagli altri, di occuparsi degli altri e di acquisire inclinazioni, abilità e valori necessari per sviluppare l’autostima e il rispetto reciproco.

È ormai consolidato che i ragazzi che vivono la classe con compagni con disabilità elaborano una maggiore maturità sul piano emotivo e cognitivo. Per i bambini con difficoltà, viceversa, stare con gli altri, aumenta la voglia di fare, di imitare, di emulare e quindi di “imparare” 11,12.

È chiaro, quindi, che per migliorare la partecipazione dei bambini e dei giovani in età scolare, sia fondamentale riconoscere la presenza di barriere ambientali percepite e dell’impatto che queste hanno sulle loro capacità, affinché anche gli educatori, le comunità, i politici, i fornitori di servizi e le famiglie possano sviluppare strategie mirate ad abbatterle 4. Conoscere questo aspetto è fondamentale dal momento che le barriere ambientali sono più pratiche da modificare rispetto ai problemi funzionali del bambino 13.

In Italia il fisioterapista specialista in area pediatrica svolge un ruolo attivo nei vari ambienti di vita del bambino, tra cui anche quello scolastico: insieme alla famiglia partecipa al Progetto Educativo Individuale (PEI), effettua incontri periodici con gli insegnanti, valuta l’ambiente collaborando all’abbattimento di barriere architettoniche interne o esterne alla scuola e prepara gli insegnanti all’utilizzo di ausili. Nel nostro Paese è possibile utilizzare, all’interno del complesso scolastico, ausili come standing e deambulatori per favorire la statica eretta, il cammino, il gioco o gli spostamenti. Insieme all’intero corpo docente e assistenziale, il fisioterapista collabora all’organizzazione della giornata scolastica, dei tempi e degli spazi che possano favorire la miglior partecipazione possibile ai vari contesti di gioco, attività, lezioni in classe e viaggi d’istruzione.

Il tema della partecipazione si fa sempre più complesso con l’aumentare dell’età. Nel bambino più piccolo, infatti, le attività e le richieste sono più “semplici” e spesso mediate dall’adulto che si assume la maggior parte della responsabilità e che contribuisce a una maggiore integrazione in tutti i contesti sociali di vario genere (famiglia, sport, scuola). Con la crescita, i compiti, le esperienze e le proposte diventano più complessi e le responsabilità dell’adolescente aumentano progressivamente, diventando sempre più indipendente dall’adulto. Ecco che il passaggio all’età adulta diventa un momento critico e molto complesso che richiede la massima integrazione tra i servizi sanitari, assistenziali e scolastici, vista anche la scarsità di proposte alternative al processo riabilitativo.

Il crescente interesse all’interno della comunità scientifica internazionale ha visto aumentare significativamente i lavori e le proposte di scale di valutazione per misurare la partecipazione che, come abbiamo analizzato, è un tema complesso e multifattoriale, dove la vera sfida è trovare qualcosa di facilmente applicabile, ma che offra anche degli elementi su cui poi poter costruire l’intervento. Questa necessità è sentita anche all’interno dei percorsi di studio di abilitazione e di specializzazione in Fisioterapia. In occasione di una tesi di Master in Fisioterapia Pediatrica dell’Università degli Studi di Firenze, è stata tradotta e adattata culturalmente la scala “Pediatric Evaluation of Disability Inventory – Computer Adaptive Test” (PEDI-CAT), poi validata, nello stesso Ateneo, in un percorso di Laurea Specialistica delle Professioni Sanitarie. Nell’anno accademico 2021/2022, due tesi del corso di Laurea in Fisioterapia hanno prodotto la traduzione in lingua italiana della scala di valutazione canadese “Assessment of Life Habits” (LIFE-H ASSESSMENT). Questo strumento è un questionario con il quale si raccolgono informazioni su tutte le abitudini di vita che le persone svolgono nei vari contesti (casa, ambiente di lavoro o scuola, quartiere). Questo studio sta attualmente proseguendo con la validazione della LIFE-H prevista per aprile 2024, ancora una volta all’interno del Master in Fisioterapia Pediatrica.

Sempre nel percorso di formazione specialistica, tra ottobre 2020 e marzo 2021, è stato svolto uno studio nei servizi di riabilitazione dell’infanzia dell’USL Toscana Centro che ha previsto la somministrazione della scala “Partecipation and Environment Measure for Children and Youth” (PEM-CY) 14,15. La PEM-CY è uno strumento di misurazione progettato per aiutare genitori, terapisti e ricercatori a comprendere meglio la partecipazione di bambini e adolescenti. La scala prende in esame la frequenza della partecipazione, l’entità del coinvolgimento e il desiderio di cambiamento in riferimento a determinate attività che possono essere svolte in 3 ambienti diversi: casa, scuola e ambiente sociale. Tra le varie attività troviamo per esempio “partecipare a gite ed eventi scolastici”, “frequentare i coetanei a scuola al di fuori delle lezioni”, “stare insieme agli altri in ambito domestico”, “socializzare impiegando la tecnologia”, “dedicarsi alle cure personali” etc. L’indagine viene svolta attraverso la somministrazione di un questionario a scelta multipla con la possibilità di inserire note o osservazioni personali da parte dell’intervistato.

L’obiettivo dello studio era quello di indagare la partecipazione di bambini e adolescenti, affetti da patologia neuromotoria, di età compresa tra i 5 e i 17 anni, deambulanti e non deambulanti. In particolare, lo scopo era quello di evidenziare eventuali differenze nella partecipazione in relazione all’età, al sesso e alla complessità del quadro neuromotorio, e di raccogliere il tipo di cambiamento desiderato nei vari ambienti di vita da parte delle famiglie, così da rilevare quali aspetti potrebbero supportare la partecipazione all’interno del progetto ri/abilitativo. Inoltre, dall’indagine effettuata ai genitori, si è cercato di cogliere il desiderio e il tipo di cambiamento auspicato in termini di maggiore o minore frequenza, maggiore o minor coinvolgimento nelle varie attività e maggiore varietà nei tre ambienti (domestico, scolastico, sociale). In relazione alle risposte date al questionario sottoposto ai genitori sono stati individuati, infatti, quali aspetti della partecipazione potrebbero essere implementati all’interno del progetto riabilitativo dei bambini e adolescenti in carico. L’indagine è stata condotta attraverso videochiamate in cui veniva somministrata al genitore lo strumento di valutazione PEM-CY. Sono stati reclutati 70 bambini/adolescenti con età media di 10,5 anni, di questi il 48,6% erano femmine e il 51,4% maschi. L’80% dei bambini era affetto da paralisi cerebrale infantile (PCI), il 20% da patologia genetica. I bambini afferenti allo studio appartenevano a tutti i livelli di gravità secondo le varie classificazioni “Gross Motor Function Classification System” (GMFCS), “Manual Ability Classification System” (MACS) e “Communication Function Classification System” (CFCS).

Dalle risposte raccolte è emersa una stretta correlazione tra frequenza e coinvolgimento nelle diverse attività proposte dalla PEM-CY di bambini e adolescenti con patologia neuromotoria. La scala prende in esame la frequenza della partecipazione (quante volte viene svolta l’attività indagata), l’entità del coinvolgimento del bambino nella stessa (poco, abbastanza, molto coinvolto) e il desiderio di cambiamento da parte dell’intervistato in riferimento ad attività tipiche che si svolgono a casa, a scuola o in ambiente esterno. I principali dati raccolti dalle interviste sono riassunti nella Tabella I.

 

 

In generale, l’ambito domestico è risultato essere quello con maggior frequenza nella partecipazione delle varie attività, mentre gli ambiti scolastico e sociale sono quelli con maggior coinvolgimento ma frequenza di partecipazione più bassa. La partecipazione è risultata minore nei soggetti più compromessi, ma, indipendentemente dal livello funzionale, è sostenuta dagli atteggiamenti di terzi e dall’auto-organizzazione delle famiglie. Dall’indagine, è emerso che i bambini più abili partecipano con maggior frequenza e maggior coinvolgimento rispetto ai pari con minor abilità, soprattutto in ambito domestico.  Per quanto riguarda gli ambienti sociale e scolastico, il livello di partecipazione è generalmente più basso per tutti. È interessante notare che, a parità di competenze grosso-motorie, i bambini con migliori capacità comunicative e di manipolazione sono quelli che prendono parte a più tipi di attività. Per i genitori, la disabilità motoria è l’elemento che maggiormente ostacola la partecipazione nei tre ambiti, indipendentemente dal livello di effettiva disabilità neuromotoria del figlio, seguito dalle capacità cognitive. La qualità della relazione con i familiari, i pari, gli insegnanti e i vari operatori che ruotano intorno al bambino sono, invece, i fattori facilitanti la partecipazione, indipendentemente dalle capacità comunicative del bambino. L’attività per la quale i genitori si dichiarano più desiderosi di cambiamento in termini di frequenza, di coinvolgimento e numero maggiore di attività è “stare insieme agli altri bambini”, mentre in riferimento solo a frequenza e coinvolgimento è “prendere parte ad attività sportive strutturate”. Per tutti e tre gli ambiti considerati, è emerso che tra i più importanti fattori per promuovere la partecipazione troviamo la disponibilità di tempo da parte delle famiglie e la possibilità di potersi organizzare autonomamente. È stato rilevato, inoltre, che la scarsa disponibilità di informazioni, trasporti e strutture pubbliche adattate riduce la partecipazione. Si è confermato, quindi, il desiderio da parte dei genitori di poter incrementare le occasioni e le modalità di partecipazione per i propri figli e la necessità di lavorare per arricchire le possibilità, abbattere le barriere e introdurre elementi facilitanti (luoghi, strutture, mezzi di trasporto, disponibilità di informazioni).

Come risulta dallo studio e come sostenuto dalla letteratura scientifica 16-18, la partecipazione dipende non solo dalla complessità del soggetto, ma anche dalle proposte e dalle possibilità che l’ambiente e la società offrono.

In ottica di incrementare le occasioni di partecipazione di soggetti con importante disabilità neuromotoria, è stato realizzato un progetto rivolto a un bambino di 6 anni con diagnosi di degenerazione ponto-cerebellare (mut. TSEN54), atrofia cerebellare e ipotrofia del ponte, ipertonia piramidale, disturbo distonico discinetico e posizionamento di PEG. Il progetto è stato condotto dal servizio di Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza (UFSMIA) nella persona del fisioterapista, dall’insegnante di sostegno e dal comune di Livorno. Lo studio è nato dalla necessità di promuovere l’inserimento del bambino alla scuola primaria, motivati anche dalla richiesta dell’insegnante di trovare proposte per renderlo partecipe e interattivo con il gruppo classe, garantendo le migliori condizioni di benessere psicofisico. Il bambino era seguito dal servizio UFSMIA, dove effettuava trattamento fisioterapico mediante stimolazione basale. Con il termine “stimolazione” si intende offrire esperienze positive che spingano alla sperimentazione del nuovo e al cambiamento. Lo scopo dell’approccio è quello di promuovere lo sviluppo della persona affetta da disabilità complessa, creando situazioni e condizioni favorevoli che permettano di far emergere la sua personalità e la nascita di relazioni con la famiglia e la comunità, tenendo fermamente conto che lo sviluppo è un fenomeno dinamico e complesso, unico per ogni individuo e che necessita della massima personalizzazione degli obiettivi e degli strumenti necessari per raggiungerli. Il termine “basale” fa riferimento alla proposta elementare dell’approccio, non richiede nessun prerequisito all’individuo destinatario dell’offerta e propone esperienze basilari di vita che richiamano le fondamenta della percezione.

Nella stimolazione basale la persona con disabilità è considerata come un individuo che vive una forma di vita diversa e, in quanto vivo, è in grado di comunicare 19,20.

Il progetto prevedeva, inizialmente, la presenza dell’insegnante alle sedute di fisioterapia all’interno della struttura ASL di riferimento, dove il piccolo eseguiva tre accessi a settimana. Questo ha permesso alla docente di conoscere il bambino prima dell’inizio dell’anno scolastico e apprendere alcune nozioni dell’approccio. Il percorso conoscitivo è stato svolto nei 3 mesi estivi, durante i quali sono stati presi contatti con il Comune di Livorno per la ristrutturazione dell’aula del plesso scolastico che avrebbe accolto l’alunno.

Questo ha permesso di modificare una stanza con materiali individualizzati per la stimolazione basale; tali materiali sono stati acquistati con i fondi per la disabilità disponibili per la scuola attraverso il bando del Centro Territoriale di Supporto – CTS – (presentazione di progetti relativi all’acquisto, alla trasformazione, all’adattamento e utilizzo di ausili e sussidi didattici – Decreto dipartimentale 30 giugno 2022 n. 1602). Altri fondi, invece, sono stati ottenuti da una donazione privata e ulteriore materiale, infine, è stato realizzato dall’insegnante.

La realizzazione della “stanza basale”, denominata “il Nido” (Fig. 1), è quindi il risultato dell’impegno e della volontà di tante figure professionali diverse.

 

 

Con l’inizio dell’anno scolastico, a settembre 2021, veniva avviato il progetto riabilitativo con obiettivi di integrazione e benessere psicofisico che prevedeva l’accesso del fisioterapista nella scuola un giorno a settimana per 2 ore. Le attività venivano proposte al bambino insieme ad altri cinque compagni di classe e prevedevano stimolazioni sensoriali, visive, uditive, tattili e vestibolari.

Questo progetto ha permesso la partecipazione condivisa con i coetanei trasformando l’aula, da luogo prettamente didattico, a luogo di costruzione di vita comune attiva in ambiente basale. La realizzazione dell’aula basale ha permesso al bambino una frequenza scolastica continuativa nonostante il periodo pandemico, un miglior benessere psicofisico e tono dell’umore (Fig. 2). In particolare, si nota come la relazione con i coetanei e gli adulti di riferimento abbia beneficiato dell’intervento. Inoltre, le reazioni agli stimoli, in particolare quelli uditivi, sono aumentate notevolmente. Utilizzando, quindi, proposte semplici, il bambino ha potuto scoprire sé stesso e il proprio corpo, migliorando così la relazione con l’adulto, con i pari e il rapporto con gli oggetti.

 

 

“Partecipazione” è un termine molto ampio che può e deve essere non solo considerato come un obiettivo da raggiungere, ma anche come un mezzo utile per sostenere lo sviluppo di diverse capacità e competenze. È importante conoscere e ampliare strumenti di misura per la valutazione della partecipazione allo scopo di sostenere bambini con difficoltà e le rispettive famiglie nei vari contesti di vita, a partire già dall’età infantile.

La partecipazione di un bambino dovrebbe essere promossa tramite la comunicazione e la condivisione di obiettivi, interventi e attività da parte di tutte le figure che ruotano intorno a lui, siano esse personale sanitario, educativo o membri della famiglia e amici. Pertanto, anche i fisioterapisti specializzati in area pediatrica rivestono un ruolo importante attraverso non solo la valutazione, individuazione ed eliminazione di fattori “barriera”, ma anche sostenendo il coinvolgimento di un bambino nelle situazioni di vita tramite la valorizzazione di punti di forza, aiutandolo a sviluppare strumenti e strategie più adatte in riferimento ai vari contesti.

La scuola svolge un ruolo cruciale per la partecipazione. La presenza in classe di un bambino con disabilità è diventata risorsa per tutti i coetanei, aumentando il senso di autoefficacia, di cura per il prossimo e benessere generale, mantenendo integro il percorso didattico, grazie a una progettualità condivisa con tutto il team scolastico. Il bambino con disabilità è parte integrante della classe e partecipa alla vita scolastica, per ciò che può dare e fare, in maniera regolare come tutti gli altri alunni.

La famiglia è e resterà sempre la massima esperta del bambino e dovrà in ogni momento essere il punto di riferimento per qualsiasi scelta, proposta e decisione. Rimane, quindi, la risorsa fondamentale nel promuovere e nel sostenere la partecipazione del proprio figlio. Purtroppo, a oggi, l’inclusione e il prendere parte a contesti di vita sociale dipende ancora molto dalla disponibilità e affabilità del nucleo familiare, sia in termini di tempo e organizzazione generale (genitore che sceglie di non lavorare, rete familiare allargata), sia per motivazioni più pratiche (utilizzare mezzi di trasporto attrezzati o vivere in contesti più urbani).

Il periodo adolescenziale resta profondamente difficoltoso e critico: in particolare, alla fisiologica richiesta di maggiore partecipazione, il ragazzo si scontra con la difficoltà di trovare alternative inclusive che a oggi sono scarse. Gli adolescenti, infatti, frequentano meno i centri di riabilitazione, perché ormai fuori dalla fase di acquisizione di competenze, accedendo ai servizi soprattutto per i controlli periodici. Purtroppo però il contesto sociale non offre molte occasioni di attività parallele e questo rende necessario un cambio di prospettiva. Per il futuro è quindi fortemente auspicabile potenziare l’accesso ai servizi di comunità, favorire l’utilizzo dei mezzi pubblici e moltiplicare le attività favorenti abilità e momenti di coinvolgimento attivo con i coetanei. In questo contesto, resta fondamentale curare il passaggio all’età adulta anche in vista di un possibile inserimento nel mondo del lavoro come realizzazione di una indipendenza definitiva.

 

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In questo fascicolo:

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