Update per il Pediatra
Malattie Respiratorie

Wheezing e laringospasmo: presupposti e criteri di un approccio ragionato

21 Nov 2023

Prof. Carlo Capristo

Direttore dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Neonatologia e Professore Associato presso il Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

 

Metodi di inquadramento del bambino con respiro sibilante

Il bambino con respiro sibilante in età prescolare è un paziente che frequentemente il pediatra si ritrova a gestire nella propria pratica quotidiana. Vale la pena di ricordare che il wheezing è un suono di alta intensità facilmente ascoltabile, soprattutto in fase espiratoria, ed è espressione di un aumentato lavoro respiratorio. In età prescolare gli agenti eziologici maggiormente responsabili di tale quadro sono le infezioni delle vie aeree, ma ai fini di un corretto inquadramento clinico è opportuno distinguere tre categorie di bambini:

  • una prima categoria nella quale il wheezing scompare per lo più entro il terzo anno d’età: tra questi, per esempio, ci sono i nati pretermine, inclusi i late preterm, ossia i nati tra la 35° e la 37° settimana di gestazione (questi bambini, nonostante la perdita del sintomo, conservano una funzionalità respiraroria più bassa);
  • i bambini che hanno subito un importante insulto infettivo nelle prime epoche di vita, quali per esempio la bronchiolite da virus respiratorio sinciziale o la polmonite, nei quali, per svariate ragioni, il wheezing tende a persistere fino a 6-7 anni;
  • la terza categoria, minoritaria (pari a circa il 10%), comprende infine i bambini con familiarità allergica, storia di dermatite atopica o sviluppo di sensibilizzazione ad allergeni alimentari (per esempio le proteine del latte) o inalanti (l’acaro della polvere, i pollini di Graminacee o Parietaria), l’esposizione ai quali può indurre wheezing.

 

Il trattamento del wheezing: quando e come

Il trattamento si rende necessario in caso di episodi ripetuti, per esempio due volte al mese, oppure quando tra i vari episodi, anche se notevolmente distanziati nel tempo, il bambino non raggiunge uno stato di benessere. Il gold standard è rappresentato dai corticosteroidi per via inalatoria: in considerazione della durata della terapia – almeno tre mesi – è preferibile il ricorso a dispositivi MDI, eventualmente dotati di distanziatore, oppure all’aerosolterapia tradizionale, ricordando che essa richiede al paziente tempo e impegno, presupposti fondamentali per l’aderenza.

 

Il laringospasmo: le nozioni essenziali da memorizzare

Il laringospasmo, noto anche come croup spasmodico, è correlato a eventi infettivi, come la laringite ipoglottica, oppure a cause di altra natura, tra cui il reflusso gastroesofageo e l’iperreattività della laringe. Nelle forme infettive il suo esordio ha luogo con tosse stizzosa per un paio di giorni, mentre nelle forme spasmodiche improvvise di solito compare durante la notte. La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 6 mesi e i 4-5 anni. In caso di ricovero, è importante tranquillizzare il bambino facendolo tenere in braccio, in una posizione confortevole, rassicurare i suoi genitori e iniziare subito l’aerosol con un corticosteroide ad alto dosaggio: il trattamento raccomandato dalle linee guida prevede budesonide, alla dose di 2 mg (2 fiale da 0,5 mg/ml).

A tale riguardo è opportuno sottolineare che budesonide si differenzia da altri steroidi, quali fluticasone e beclometasone, per una maggiore rapidità di effetto, legata a un meccanismo d’azione non genomico. Inoltre è l’unico CSI validato per il trattamento di queste forme.

Se l’aerosol non è sufficiente, il bambino richiede un approccio più aggressivo: va trattato con un corticosteroide per via sistemica (per esempio desametasone 0,6 mg/Kg), con un’eventuale ripetizione della terapia aerosolica già descritta. Il passaggio successivo prevede il ricorso all’adrenalina, possibilmente in ambito ospedaliero.

 

I consigli utili per il pediatra di famiglia

Innanzitutto dobbiamo precisare che due sono gli obiettivi principali da raggiungere: il primo è l’aderenza, che può essere oggi controllata grazie a vari sistemi di monitoraggio a distanza ed è favorita dalla comunicazione che il pediatra riesce a instaurare con i genitori; il secondo obiettivo è la corretta esecuzione della terapia. Ancora una volta spetta al pediatra spiegare ai genitori – verificandone il successivo apprendimento – come far utilizzare il distanziatore al bambino o come supervisionare l’aerosol, nonché anticipare loro i possibili effetti collaterali del trattamento. Un quesito interessante è come scalare la terapia con un CSI, prassi a cui il pediatra fa maggiormente ricorso rispetto agli specialisti dell’adulto, per lo più dopo tre mesi di trattamento per wheezing o asma e nella stagione estiva: non ci sono delle indicazioni univoche a riguardo, ma è imprescindibile una buona conoscenza del paziente, al fine di individuare la dose minima efficace per abbattere l’incidenza di riacutizzazioni.

 

 

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