I disturbi del sonno nell’anziano

Giovambattista Desideri, Dario Arnaldi

Anno: 2022
Caratteristiche:

Un approfondimento, dal 66° Congresso Nazionale SIGG, sui disturbi del sonno nella popolazione anziana, con un focus specifico sulle modalità di approccio degli specialisti in geriatria a tali problematiche

Categoria:

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Descrizione

 

Introduzione

Francesco Landi

Dipartimento di Scienze dell’invecchiamento, neurologiche, ortopediche e della testa-collo, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

 

Il sonno svolge un ruolo fondamentale per il mantenimento di una buona salute psico-fisica. Qualsiasi situazione che interferisca con la qualità e quantità del sonno, soprattutto se duratura, può contribuire ad alimentare problematiche di natura neurologica, psichiatrica e cardio-metabolica. L’età rappresenta il fattore fisiologico che maggiormente influenza il sonno sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Globalmente l’anziano sano dorme meno del giovane adulto e presenta un sonno più frammentato e instabile, con frequenti risvegli. Nell’anziano, inoltre, tipicamente si osserva un’anticipazione dell’orario di addormentamento e di quello di risveglio rispetto agli orari delle persone più giovani. Invero, il problema clinico dei disturbi del sonno nell’anziano non è tanto rappresentato dalla durata quanto dalla qualità del sonno: molti anziani, infatti, soffrono di risvegli notturni frequenti, si alzano troppo presto al mattino, ammettono di non sentirsi riposati oppure fanno fatica ad addormentarsi. Tutto questo ha conseguenze sullo stato di salute generale che vanno dalle alterazioni dell’umore all’affaticabilità, dalla ridotta capacità di concentrazione all’aumento del rischio di cadute; inoltre, i disturbi del sonno rappresentano anche un fattore di rischio per decadimento cognitivo, demenza e per malattie cardiovascolari. I disturbi del sonno, pur assai frequenti nella terza età, non rappresentano un destino ineludibile di chi invecchia perché spesso sono sostenuti, o comunque accentuati, dalla presenza di altre problematiche cliniche o dall’assunzione di farmaci o da abitudini di vita sbagliate. Questi disturbi del sonno traggono spesso notevole giovamento dall’adozione di misure comportamentali adeguate e da alcuni interventi farmacologici che agiscono sui meccanismi fisiopatologici alla base dei disturbi del sonno. L’approccio terapeutico ottimale deve essere necessariamente individualizzato per garantire una migliore qualità di vita e una diminuzione del disagio soggettivo dell’anziano. Diagnosi e cura dei disturbi del sonno nell’anziano richiedono competenze e impegno notevoli anche per gli specialisti. Vari report relativi all’omesso riconoscimento o mancato/inadeguato trattamento di questi disturbi lo testimoniano. Sulla base di queste evidenze la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria ha realizzato un survey sui “Disturbi del sonno nell’anziano”, con la finalità di conoscere l’approccio ai disturbi del sonno nell’anziano da parte degli specialisti in geriatria e interpretarlo alla luce del background culturale e professionale dei medesimi. I risultati della survey, presentati in seno al 66° Congresso Nazionale e commentati in questa monografia, testimoniano la grande sensibilità dei geriatri nei confronti dei disturbi del sonno e delle comorbidità a essi associate, coerentemente con il principio dell’approccio olistico al paziente che da sempre contraddistingue l’applicazione dell’ars medendi al paziente geriatrico. Una corretta gestione dei disturbi dell’anziano, utilizzando trattamenti efficaci nel ripristinare un sonno il più vicino possibile alla fisiologia, rappresenta un’esigenza terapeutica di assoluta importanza sia per i pazienti che per i loro eventuali caregiver.


Cambiamenti del sonno nel corso dell’invecchiamento

Giovambattista Desideri

Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila, l’Aquila

 

La durata e la struttura del sonno si modificano notevolmente durante le fasi della vita. Il pattern policiclico del sonno dei neonati è convertito a un pattern monociclico nei giovani adulti; nell’anziano si evidenzia una riduzione della durata del sonno notturno, accompagnata da un precoce risveglio al mattino 1,2. Anche l’architettura del sonno si modifica nell’anziano con una riduzione del sonno profondo non-REM, specialmente nei primi cicli del sonno, una più lunga latenza del sonno e un elevato numero di transizioni a stadi di sonno più leggero e di veglia e maggiori difficoltà a riaddormentarsi 3. In particolare, studiando la microarchitettura del sonno, si possono evidenziare alterazioni di due delle oscillazioni costitutive del sonno non-REM, le onde lente (con riduzione sia dell’attività che della densità) e i fusi del sonno (con riduzione dei fusi sia ad alta che a bassa densità) 3. Inoltre, già dalla quarta-quinta decade di vita si ha una progressiva riduzione della secrezione notturna e del picco notturno di melatonina, che influisce negativamente sul ritmo circadiano sonno-veglia e sulla qualità del sonno 4,5 (Fig. 1). 

 

Figura 1. Livelli medi di melatonina in differenti gruppi di età (da Scholtens et al., 2016, mod.) 5.

 

Nella popolazione geriatrica si osserva un’elevata incidenza di disturbi del sonno, soprattutto rappresentati da difficoltà di addormentamento, sonno disturbato e risvegli precoci. Un’indagine condotta alcuni anni fa in Italia ha rilevato la presenza di almeno uno di questi sintomi in circa il 40% dei soggetti con almeno 65 anni di età 6 (Fig. 2).

 

Figura 2. Prevalenza dei sintomi di insonnia per gruppi di età nella popolazione generale in Italia (da Ohayon, Smirne, 2002, mod.) 6.

 

La pandemia da SARS-CoV-2 ha ulteriormente deteriorato la qualità del sonno delle persone di tutte le età, determinando un significativo peggioramento della latenza dell’addormentamento, dei disturbi del sonno, dell’efficacia ristoratrice del sonno e dell’efficienza diurna 7. 

Un recente sondaggio della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), denominato “Problematiche del sonno in geriatria” ed effettuato su 326 geriatri, ha rilevato una notevole sensibilità dei geriatri nei confronti dei disturbi del sonno, in quanto circa il 70% degli intervistati ha riferito di chiedere ‘‘sempre’’ e oltre il 20% di chiedere ‘‘spesso’’ ai propri pazienti informazioni specifiche sul sonno. L’indagine ha confermato la particolare frequenza dell’insonnia tra le donne, risultati in linea con quanto emerso da una recente meta-analisi di 13 studi osservazionali, che ha dimostrato come il rischio di soffrire di insonnia sia aumentato del 58% nel genere femminile 8. 

Nel sondaggio sono stati investigati anche i parametri che più frequente il geriatra utilizza per inquadrare il paziente con insonnia ed è emerso che sono soprattutto i risvegli notturni, il tempo di addormentamento, la sensazione di affaticamento o sonnolenza durante il giorno e i risvegli precoci al mattino a richiamare l’attenzione del clinico. Invero, le domande da porre ai pazienti con possibili disturbi del sonno dovrebbero riguardare essenzialmente la qualità del sonno, l’impatto sulle attività diurne, le abitudini voluttuarie che possono condizionarne la durata e la qualità e i farmaci eventualmente assunti per indurre o prolungare la durata del sonno. Nel sondaggio è stato investigato anche il tema delle comorbidità associate all’insonnia: tra di esse, le più frequenti sono risultate la demenza, le patologie psichiatriche, i disturbi urinari e le patologie cardiologiche. Invero, molto spesso il paziente con disturbi del sonno presenta comorbidità che possono favorire o essere influenzate dai disturbi del sonno. Uno studio multicentrico italiano condotto su 431 pazienti con deficit cognitivo di vario grado e di diversa origine ha dimostrato la presenza di disturbi del sonno in oltre il 60% dei pazienti, senza uno specifico pattern di associazione con le diverse forme di declino cognitivo 9. Peraltro, come è facilmente immaginabile, i disturbi del sonno assai frequenti nei caregiver dei pazienti con demenza spesso mostrano una significativa riduzione della durata e della qualità del sonno 10. È interessante notare come la relazione tra demenza e disturbi del sonno sia probabilmente di tipo bidirezionale, in quanto se da un lato è vero che i disturbi del sonno sono particolarmente frequenti nell’anziano, con un variabile grado di declino cognitivo, dall’altro è ben dimostrato che i disturbi del sonno espongono il paziente a un aumentato rischio di declino cognitivo. Una recente meta-analisi di ampie dimensioni ha dimostrato come la difficoltà di addormentamento, la frammentazione e l’efficienza del sonno e la disfunzione diurna rappresentino dei fattori predisponenti allo sviluppo di declino cognitivo e demenza 11.

A tale riguardo, è stato ipotizzato che i disturbi del sonno possano essere correlati a un maggior accumulo di beta-amiloide a livello cerebrale per effetto dello stress ossidativo e di sottoprodotti del metabolismo associato a una ridotta attività del sistema glinfatico; meccanismi che sono propri dello stato di veglia e vengono antagonizzati da un sonno ristoratore 12. In particolare, è stata dimostrata, tramite esame PET, la comparsa di un accumulo di beta-amiloide a livello dell’ippocampo già dopo una notte di deprivazione di sonno nell’uomo 13. I disturbi del sonno, inoltre, possono rappresentare un meccanismo capace di aumentare sia la deposizione di beta-amiloide che la iperfosforilazione della proteina tau a livello cerebrale 14. È quindi possibile che le alterazioni del sonno, favorendo l’accumulo di beta-amiloide a livello cerebrale, possano essere correlate con la progressione del deficit cognitivo legato all’età. Al tempo stesso, con il progredire della demenza si osserva una riduzione dei livelli di melatonina nel liquido cefalo-rachidiano che si ritiene possa essere correlata alla disregolazione del ciclo sonno-veglia, riportata di frequente in questi pazienti 15. Alla luce di queste evidenze è ipotizzabile che interventi terapeutici che mirino a ripristinare la quantità e la qualità del sonno fisiologiche potrebbero, in primo luogo, offrire un beneficio preventivo e ridurre il rischio di declino cognitivo nel paziente anziano, almeno in parte attraverso una migliore clearance della proteina beta amiloide e attraverso la riduzione dello stress ossidativo a livello neuronale. Inoltre, il ripristino del normale ritmo sonno-veglia e della fisiologica architettura del sonno potrebbe aiutare a ridurre il grado di declino cognitivo in soggetti con demenza conclamata, attraverso due percorsi meccanicistici non reciprocamente esclusivi: 1) l’aumento della clearance della proteina beta amiloide e la riduzione dello stress ossidativo; 2) il miglioramento del consolidamento della memoria a lungo termine, che potrebbe aiutare a contrastare il declino cognitivo associato alla fisiopatologia della malattia di Alzheimer 3 (Fig. 3).

 

Figura 3. Importanza del sonno a onde lente (SWS) sulle funzioni ippocampali e accumulo di proteina beta-amiloide (da Mander et al., 2017, mod.) 3.

 

Tra le conseguenze dei disturbi del sonno, è stato osservato che l’insonnia è associata a un aumento del rischio cardiovascolare, soprattutto di malattia ischemica coronarica e dei vasi periferici, scompenso cardiaco e ictus ischemico 16 (Fig. 4). 

 

Figura 4. Conseguenze dei disturbi del sonno (da Yuan et al., 2021, mod.) 16.

 

Una meta-analisi di studi prospettici di coorte ha dimostrato che sia un deficit che un eccesso di sonno sono correlati a un aumento della mortalità per cause cardiovascolari, cardiopatia ischemica cronica e ictus 17. Per questo motivo, nelle ultime linee guida ESC 2021 18 è stato affermato che nei pazienti con malattia cardiovascolare arteriosclerotica, obesità e ipertensione è indicato uno screening regolare per evidenziare un sonno non ristoratore: se vi sono significativi disturbi del sonno che non rispondono entro 4 settimane a misure di igiene del sonno, è indicata la consulenza di uno specialista.

Nel sondaggio della SIGG è emerso che circa il 90% dei medici consiglia come primo approccio, a seguito della diagnosi di insonnia, l’igiene del sonno (ad es., suggerire di coricarsi la sera e alzarsi al mattino in orari regolari, evitare sonnellini diurni, evitare di assumere nelle ore serali bevande a base di caffeina e fumo di tabacco, ecc.) 19 e/o la terapia cognitivo comportamentale 19. In particolare, le regole comportamentali per una corretta igiene del sonno sono essenziali per favorire l’addormentamento e il mantenimento di un sonno ristoratore 19. 

Nello stesso sondaggio SIGG, è stato evidenziato che circa il 75% dei pazienti assume come trattamento per l’insonnia una benzodiazepina, l’8% antidepressivi, il 4% farmaci Z e il 13% melatonina 2 mg. A tale riguardo, è meritevole di menzione quanto riportato nel Rapporto Nazionale OsMed sull’uso dei farmaci in Italia 2019 20, nella sezione sull’appropriatezza prescrittiva: “dalla letteratura internazionale emerge un atteggiamento critico nei confronti dell’appropriatezza d’uso dei farmaci sedativo-ipnotici e antidepressivi, che riguarda in particolare l’utilizzo di dosaggi non terapeutici, le prescrizioni per tempi non adeguati ed eccessivamente lunghi (soprattutto in particolari soggetti, come gli anziani), l’utilizzo autoterapico, l’assenza di monitoraggio. L’uso di questi farmaci raggiunge un valore massimo nella popolazione di 85 anni di età e oltre, che è quella verso la quale è necessario porre maggiore cautela nell’utilizzo di questi farmaci, che si attesta al 13,2% per gli ansiolitici, al 4,6% per gli ipnotici e al 2,3% per i sedativi”. Invero, la larga maggioranza (82%) dei medici intervistati con il sondaggio SIGG ha confermato che i farmaci sedativo-ipnotici vengono spesso assunti per oltre 4 settimane. A tale riguardo, è opportuno sottolineare come un documento di consenso di 5 Società scientifiche italiane 21 fornisca una chiara raccomandazione a utilizzare questi farmaci per un breve periodo di tempo (meno di 4 settimane) e di preferire l’uso della melatonina 2 mg a rilascio prolungato nei pazienti con > 55 anni fino a 13 settimane (Fig. 5). 

 

Figura 5. Opinioni di esperti e raccomandazioni di consenso per la valutazione e la gestione dell’insonnia nella pratica clinica: dichiarazioni congiunte di cinque Società scientifiche italiane (da Palagini et al., 2020, mod.) 21.

 

In conclusione, i disturbi del sonno andrebbero sempre indagati nell’anziano. Coerentemente con il principio dell’approccio olistico al paziente, che da sempre contraddistingue l’applicazione dell’ars medendi al paziente geriatrico, il sondaggio SIGG ha rilevato la particolare sensibilità dei geriatri nei confronti dei disturbi del sonno nell’anziano e delle comorbidità a essi associate. Una corretta gestione di questi disturbi, utilizzando trattamenti efficaci nel ripristinare un sonno il più vicino possibile alla fisiologia, quali la melatonina 2 mg a rilascio prolungato suggerita dagli esperti, rappresenta una esigenza terapeutica di assoluta importanza sia per i pazienti che per i loro eventuali caregiver.

 

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7 Barrea L, Pugliese G, Framondi L, et al. Does SARS-CoV-2 threaten our dreams? Effect of quarantine on sleep quality and body mass index. J Transl Med 2020;18:318. https://doi.org/10.1186/s12967-020-02465-y

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12 Mander BA, Winer JR, Jagust WJ, et al. Sleep: a novel mechanistic pathway, biomarker, and treatment target in the pathology of Alzheimer’s disease? Trends Neurosci 2016;39:552-566. https://doi.org/10.1016/j.tins.2016.05.002

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14 Proserpio P, Arnaldi D, Nobili F, et al. Integrating sleep and Alzheimer’s disease pathophysiology: hints for sleep disorders management. J Alzheimers Dis 2018;63:871-886.

15 Zhou JN, Liu RY, Kamphorst W, et al. Early neuropathological Alzheimer’s changes in aged individuals are accompanied by decreased cerebrospinal fluid melatonin levels. J Pineal Res 2003;35:125-130. https://doi.org/10.1034/j.1600-079x.2003.00065.x

16 Yuan S, Mason AM, Burgess S, et al. Genetic liability to insomnia in relation to cardiovascular diseases: a Mendelian randomisation study. Eur J Epidemiol 2021;36:393-400. https://doi.org/10.1007/s10654-021-00737-5

17 Yin J, Jin X, Shan Z, et al. Relationship of sleep duration with all-cause mortality and cardiovascular events: a systematic review and dose-response meta-analysis of prospective cohort studies. J Am Heart Assoc 2017;6:e005947. https://doi.org/10.1161/JAHA.117.005947

18 Visseren FLJ, Mach F, Smulders YM, et al.; ESC National Cardiac Societies; ESC Scientific Document Group. 2021 ESC Guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice. Eur Heart J 2021;42:3227-3337. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehab484

19 AIMS (Associazione Italiana Medicina del Sonno). Le regole di igiene del sonno (http://www.sonnomed.it/regole_sonno/).

20 Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali (OsMed) – AIFA. Rapporto 2019 sull’uso dei farmaci in Italia (https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1205984/rapporto-osmed-2019.pdf).

21 Palagini L, Manni R, Aguglia E, et al. Expert opinions and Consensus recommendations for the evaluation and management of insomnia in clinical practice: Joint Statements of five Italian Scientific Societies. Front Psychiatry 2020;11:558. https://doi.org/10.3389/fpsyt.2020.00558


Gestione dei disturbi del sonno nell’anziano

Dario Arnaldi

Dipartimento di Neuroscienze, Università di Genova, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

 

Nell’algoritmo della gestione dei disturbi del sonno nel paziente anziano, andrebbero sottolineati alcuni aspetti fondamentali 1. Il primo è la valutazione anamnestica: è necessario indagare, oltre ai sintomi riferiti, anche l’eventuale presenza di comorbidità rilevanti (mediche, neurologiche, psichiatriche), che spesso devono essere trattate singolarmente 2. Tra le comorbidità, in uno studio condotto su 748 pazienti di età superiore a 55 anni 2, la prevalenza di insonnia era di circa il 55% e significativamente associata alle seguenti condizioni mediche: disturbi d’ansia e depressivi, altri disturbi psichiatrici, malattie cardiovascolari, dolore cronico. Quindi le comorbidità sono molto importanti e se, ad esempio, il paziente ha un dolore cronico lo dobbiamo affrontare, perché in questo caso non possiamo pensare di risolvere i disturbi del sonno con farmaci ipnoinducenti.

Il secondo passo è la diagnosi differenziale dei disturbi del sonno, attraverso la valutazione dei sintomi associati, perché non bisogna dare per scontato che il paziente anziano con disturbi del sonno abbia sempre e solo l’insonnia. 

Nel trattamento dell’insonnia è necessario considerare la fisiologia del sonno. Possiamo dire che nella prima parte della notte vi è un’abbondanza di sonno profondo non-REM, mentre nella seconda parte vi è un’abbondanza di sonno REM. Dal punto di vista neurotrasmettitoriale, i primi cicli di sonno sono quindi prevalentemente associati al rilascio di GABA, mentre i cicli successivi sono prevalentemente legati al rilascio di acetilcolina 3,4. A seconda se il paziente abbia un’insonnia da addormentamento o un’insonnia da mantenimento (con risveglio precoce), il meccanismo fisiopatologico che lo sottende è diverso. Un farmaco attivo sul GABA (ad esempio una benzodiazepina) in un paziente con risvegli precoci non potrà avere alcun effetto. Come è stato rimarcato in un documento di consenso di 5 Società scientifiche italiane 5, quando il paziente racconta di avere un disturbo del sonno, si deve valutarne la tipologia per quanto riguarda la durata, la frequenza, l’andamento nel corso della notte, l’impatto sulle funzioni diurne e le eventuali comorbidità. In particolare, è diverso che il disturbo sia da addormentamento o si accompagni a risvegli precoci, perché il suo trattamento è differente. 

Le linee guida nazionali 5 e internazionali 6 sostengono che la terapia cognitivo comportamentale (CBT) dovrebbe rappresentare la prima linea del trattamento, anche se gli specialisti in questo tipo di terapia sono ancora pochi nel territorio nazionale italiano. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, i sedativi non dovrebbero essere utilizzati per più di 4 settimane; una raccomandazione che è in contrasto con la nostra realtà, in cui ci sono pazienti in terapia con benzodiazepine da molti anni. In questi casi non è facile sospendere il farmaco, quindi bisognerebbe focalizzarsi sull’evitare di iniziare e/o prolungare il trattamento nei nuovi pazienti. L’alternativa ai farmaci ipnoinducenti è la melatonina a rilascio prolungato 2 mg (PRM 2 mg) 7.

Spesso i pazienti anziani, specialmente se con declino cognitivo, possono avere un disturbo del ritmo circadiano, che viene erroneamente interpretato come insonnia e trattato con un sedativo 8. In realtà, il paziente andrebbe reso più attivo durante il giorno e messo a letto non prima delle ore 22-23, in maniera che possa fare le sue 5-6 ore di sonno in un orario più adeguato e socialmente accettabile. 

Va tenuto in considerazione che l’ipnotico ideale non esiste in termini assoluti 9 (Fig. 1); il clinico ha quindi la necessità di individuare quali sono le caratteristiche dell’insonnia per selezionare il farmaco specifico per quella condizione. Il fatto che non esista un ipnotico in grado di risolvere immediatamente ogni problema di sonno e privo di effetti collaterali, dovrebbe essere sottolineato chiaramente al paziente già prima di iniziare il trattamento, cercando di stipulare un’alleanza terapeutica. Si può migliorare la condizione di insonnia, ma ciò richiede tempo e impegno. 

 

Figura 1. Elementi che caratterizzano l’ipnotico ideale (da Wilson et al., 2019, mod.) 9.

 

Per quanto riguarda i trattamenti con sedativo-ipnotici (benzodiazepine e farmaci Z), che spesso rappresentano erroneamente la prima linea di trattamento farmacologico, andrebbero considerati i possibili effetti collaterali associati: questi sono particolarmente frequenti nei soggetti anziani, tanto che su 13 pazienti di oltre 60 anni, in terapia con sedativi tradizionali per 5 notti consecutive, 1 ha un beneficio e 2 hanno effetti collaterali 10 (Fig. 2). Tra gli effetti collaterali, a seguito della riduzione dell’attività delta del sonno profondo a livello frontale indotta da questi farmaci, vi può essere un peggioramento della capacità mnestica e dell’attività psicomotoria. Spesso questo tipo di farmaci hanno un effetto sedativo, più che di ripristino del sonno fisiologico: in effetti le onde delta sono caratteristiche delle fasi di sonno profondo non-REM (slow-wave sleep, SWS), coinvolto nei processi di consolidazione mnesica e nella promozione del trasferimento delle informazioni a livello dell’asse ippocampale-neurocorticale 12. Una delle conseguenze dell’uso di sedativi ipnotici è il possibile aumento del rischio di fratture nella popolazione anziana, come dimostrato in diversi studi e meta-analisi 13. Nonostante questi effetti collaterali siano ampiamente noti, l’ultimo rapporto Osmed sull’utilizzo dei farmaci nel 2020 in Italia riporta come l’utilizzo dei farmaci sedativi come benzodiazepine e farmaci Z risulti aumentato negli ultimi 5 anni 14. 

 

Figura 2. Effetti collaterali di benzodiazepine e farmaci Z (da Glass et al., 2005, mod.) 10.

 

La struttura del sonno tende a modificarsi con l’avanzare dell’età, anche perché dopo i 50-55 anni il cervello comincia progressivamente a ridurre la sua capacità di produrre melatonina, determinando una riduzione significativa sia del livello circolante 15 che del picco giornaliero 16. In effetti, i soggetti anziani, soprattutto quelli con disturbo cognitivo, tipicamente non hanno un disturbo dell’addormentamento, ma un disturbo del mantenimento del sonno con risvegli precoci. Per questo motivo, le benzodiazepine possono non risultare efficaci. Al contrario, in questi pazienti è indicato l’uso di MRP 2 mg, che a differenza della melatonina a rilascio immediato, la cui assunzione determina un picco transitorio dei suoi livelli plasmatici, mima la produzione endogena di melatonina e ripristina i livelli circolanti in maniera fisiologica 17 (Fig. 3). 

 

Figura 3. Profilo della melatonina a rilascio immediato e prolungato. Confronto con l’andamento circadiano fisiologico (da Zisapel, 2010, mod.) 17.

 

Inoltre, al contrario dei nutraceutici, la melatonina a rilascio prolungato 2 mg è prodotta sotto il controllo della GMP (Buone Norme di Fabbricazione), GLP (Buone Norme di Laboratorio), GCP (Buona Pratica Clinica) e quindi più affidabile: ad esempio, uno studio condotto nel 2017 su 31 nutraceutici, analizzati mediante cromatografia liquida con rilevamento elettrochimico per la quantificazione di melatonina e serotonina 18, ha dimostrato che il contenuto di melatonina non era in accordo con l’etichetta entro un margine del 10% in oltre il 71% dei nutraceutici, con variazioni notevoli anche tra lotti diversi dello stesso preparato, ed erano presenti altre sostanze farmacologicamente attive e potenzialmente non necessarie, se non pericolose, come la serotonina. MRP 2 mg è efficace e significativa sia nel ridurre il tempo di addormentamento, che sul mantenimento del sonno e riduzione dei risvegli notturni (Fig. 4). 

 

Figura 4. Effetto della melatonina a rilascio prolungato 2 mg su tempo di latenza, qualità del sonno e vigilanza al momento del risveglio (da Lemoine, Zisapel, 2012; Paul et al., 2004, mod.) 19,20.

 

È importante che il farmaco venga assunto sempre allo stesso orario (circa 2 ore prima dell’ora di addormentamento desiderata). È necessario quindi che il paziente sia opportunamente istruito sull’utilizzo corretto del farmaco e sul fatto che potrebbero essere necessari 2-3 giorni prima di poter ottenere i primi effetti sui parametri del sonno. Il ripristino dei livelli fisiologici di melatonina ottenuto con MRP 2 mg, a differenza degli ipnotici sedativi, consente quindi di normalizzare la struttura del sonno 21 (Fig. 5). Ripristinare un fisiologico ritmo sonno-veglia può avere un outcome positivo anche nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari legati all’alterazione della struttura del sonno: ad esempio, è dimostrato come ripristinare il ritmo sonno-veglia possa migliorare il controllo dell’ipertensione notturna 22,23. 

 

Figura 5. La melatonina a rilascio prolungato 2 mg preserva la fisiologica architettura del sonno rispetto agli ipnotici sedativi (da Arbon et al., 2015) 21.

 

Ovviamente è importante, oltre al trattamento farmacologico, migliorare l’igiene del sonno, osservando i comportamenti virtuosi (rilassamento serale, condizioni di oscurità e silenzio nella stanza, evitare di assumere sostanze stimolanti o alcoliche la sera, evitare pasti serali ipercalorici, evitare l’esercizio fisico prima di coricarsi, ecc.) che possono favorire un sonno di qualità 5. Anche da questo punto di vista, è importante il dialogo con il paziente per ottenere la sua collaborazione terapeutica.

 

Bibliografia

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Domande ai relatori

 

Giovambattista Desideri

È doveroso per il geriatra occuparsi dei disturbi del sonno nel paziente anziano?

I disturbi del sonno sono assai frequenti nell’anziano e hanno ricadute importanti sulla qualità di vita e sullo stato di salute di chi ne soffre e degli eventuali caregiver. È importante, quindi, che il geriatra ponga sempre particolare attenzione ai disturbi del sonno, anche in ragione del fatto che non di rado vengono gestiti con una certa leggerezza, talora addirittura autonomamente da parte del paziente con autoprescrizioni di farmaci che negli anziani possono indurre risposte differenti rispetto alle attese o effetti indesiderati anche gravi, per la possibile interazione con altri trattamenti.

Perché è fondamentale prestare attenzione alla scelta dei farmaci per i disturbi del sonno nel paziente anziano?

I farmaci di più diffuso utilizzo per i disturbi del sonno nell’anziano – i sedativo-ipnotici – non sono scevri da effetti indesiderati sia nel medio (aumentato rischio di cadute) che nel lungo termine (aumentato rischio di declino cognitivo), motivo per cui le linee guida ne consigliano l’uso per periodi di tempo limitato e sotto controllo medico. Purtroppo l’uso di questi farmaci raggiunge un valore massimo nella popolazione di 85 anni di età e oltre, che è quella verso la quale è necessario porre maggiore cautela nell’utilizzo dei farmaci sedativo-ipnotici, spesso assunti a dosaggi non adeguati e per tempi eccessivamente lunghi.

 

Dario Arnaldi

Quali sono le principali ‘’insidie’’ nella gestione dell’insonnia nel paziente anziano?

Nel paziente anziano con disturbi del sonno, il pericolo principale è quello di diagnosticare erroneamente una insonnia quando invece il paziente presenta un disturbo da anticipazione di fase. Cioè, va a dormire molto presto e di conseguenza si sveglia troppo presto.

Diagnosticare e trattare l’insonnia, potrebbe migliorare la gestione dei pazienti con decadimento cognitivo?

Senza dubbio il sonno svolge un ruolo importante nei processi cognitivi, in particolare nell’anziano. Pertanto, migliorare la qualità del sonno potrebbe aiutare nel migliorare la gestione del soggetto anziano affetto da deterioramento cognitivo.

 

 

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