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Psicologia, psichiatria

Prevenzione, diagnosi precoce e trattamento delle demenze: il ruolo del medico di medicina generale

4 Mar 2021

Demenze: prevenzione, riconoscimento precoce e prima ipotesi di diagnosi

 

Il concetto di prevenzione della demenza è di origine relativamente recente ed è in netto contrasto con la visione pessimistica che tradizionalmente si associa alle malattie legate all’invecchiamento, sia nella popolazione generale che in una parte consistente degli operatori sanitari.

Il fondamento di questo atteggiamento negativo, ancora prevalente, si può far risalire alla classica concezione biologica della “perdita dei neuroni” che si manifesta nell’invecchiamento normale e, in forma accelerata e aumentata, nelle malattie degenerative legate all’età. Le ovvie differenze interindividuali nel funzionamento cognitivo in età avanzata, secondo questa visione strettamente deterministica, dipendono in modo esclusivo o comunque predominante da fattori non modificabili, come, ad esempio, il patrimonio genetico.

La possibilità di prevenzione è strettamente legata allo sviluppo del concetto di plasticità cerebrale, ovvero della modificabilità strutturale e funzionale del cervello in seguito a fattori ed esperienze ambientali. Nel caso della malattia di Alzheimer il contributo di fattori potenzialmente modificabili alla comparsa di demenza ha un peso stimato del 35%.

I fattori principali sono nove:

bassi livelli di scolarità, ipertensione e obesità nelle fasi intermedie della vita, sordità, depressione in età avanzata, diabete, sedentarietà, fumo e isolamento sociale.

Gli elementi che compongono la lista non sono certamente una sorpresa per un medico, ma forse sorprendente è l’entità del loro contributo: nel caso di una patologia a impatto epidemiologico così elevato, la possibilità di ridurre o comunque ritardare la comparsa delle manifestazioni cliniche a livello di prevenzione primaria o secondaria (in soggetti anziani con iniziali deficit cognitivi) in misura così ragguardevole non è certamente trascurabile.

Il ruolo del medico di medicina generale

Essendo il MMG (medico di medicina generale) la maggior parte delle volte il primo punto di contatto della persona potenzialmente affetta da demenza, il suo ruolo, prima di un possibile invio ai CDCD (Centro per i Disturbi Cognitivi e Demenze), è quello di escludere potenziali cause reversibili di deficit cognitivo come, per esempio, depressione, disturbi d’ansia, deficienza da vitamina B12, disturbi metabolici e della tiroide e forme tumorali (tramite TAC-cerebrale senza contrasto).

Questo processo appare però inficiato dalla natura insidiosa del processo neurodegenerativo, dalle sue molteplici forme e dalla scarsa consapevolezza che il paziente a volte può avere circa i suoi disturbi (è importante un’attenta valutazione anche del caregiver del paziente). I maggiori trigger per il sospetto di demenza sono per lo più segni e sintomi sottili di natura cognitivo-comportamentale, piccole alterazioni nella vita quotidiana che vanno a innestarsi violentemente o meno nella vita dell’assistito.

Esempi, non esaustivi, possono essere episodi di disorientamento spaziale in luoghi conosciuti, assidue dimenticanze in persone che non hanno mai avuto problemi di memoria o alterazioni dell’umore in pazienti senza storia di pregresse diagnosi psichiatriche. Particolare attenzione dovrà essere posta, come abbiamo visto nella sezione precedente, a persone con patologie che aumentano il rischio di sviluppare demenza o a eventi intercorrenti che possono innescare una rapida caduta cognitiva. Ne sono da esempio ospedalizzazioni traumatiche e/o operazioni chirurgiche in grado di indebolire una riserva cognitiva che, prima dell’evento “traumatico”, compensava piuttosto bene le alterazioni non ancora evidenti.

 

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Demenze: trattamento farmacologico e non farmacologico e gestione dello stress del caregiver

 

Il trattamento del paziente affetto da demenza coinvolge più ambiti, così come accade per qualsiasi paziente complesso, in quanto deve prevedere la partecipazione di più figure, sanitarie e non, in un’alleanza che va costruita e fatta crescere, nella quale hanno importanza aspetti medici, di formazione e di solidarietà.

Come in tutte le situazioni nelle quali serve un’integrazione tra competenze e figure diverse, questa modalità di presa in carico non risulta affatto facile.

Al di là delle discussioni di tipo amministrativo su chi sia il riferimento e su chi debba farsi carico del paziente, argomento delicato e sul quale serve un accordo politicamente condiviso, il medico di medicina generale, almeno in molte delle realtà italiane, è al centro di questo incrocio quale referente per la salute, spesso dell’intera famiglia.

I farmaci per le demenze

Attualmente sono autorizzati solo pochi farmaci specificatamente per le demenze, rivolti esclusivamente alla malattia di Alzheimer. Non sono stati sviluppati trattamenti specifici per altre forme di demenza (per esempio le demenze frontotemporali), anche per una minore conoscenza delle basi fisiopatologiche.

Nel paziente demente vengono spesso utilizzati diversi altri farmaci psicotropi per controllare sintomi quali depressione o agitazione, oltre ai “normali” altri farmaci usati per le malattie comuni associate all’invecchiamento. Le molecole oggi approvate e disponibili in Italia per il trattamento della malattia di Alzheimer sono quattro: donepezil, rivastigmina, galantamina, memantina, in ordine temporale di approvazione.

I primi tre sono approvati per le forme lievi e moderate, la memantina per moderate e gravi. Dal 2002 (autorizzazione di memantina) nessun nuovo farmaco ha superato il vaglio clinico ed è stato approvato per il trattamento della malattia. Una battuta d’arresto che dura da 18 anni.

Terapie non farmacologiche nel paziente anziano affetto da demenza

Non disponendo attualmente di una terapia risolutiva per il trattamento delle demenze, l’approccio che mostra i migliori risultati è quello che associa alla terapia farmacologica un intervento psicosociale.

Gli interventi psicosociali sono trattamenti non farmacologici che, anche se non comportano gli effetti collaterali tipici dei farmaci, vanno proposti in maniera appropriata alla fase di malattia dell’individuo. Sottoporre il paziente ad attività frustranti, perché non calibrate sul bilancio risorse/ deficit individuali presenti, potrebbe comportare un esacerbarsi di difficoltà cognitive e affettivo-comportamentali; offrendo, invece, al paziente un commisurato intervento psicosociale, è possibile migliorare significativamente la qualità di vita della diade paziente-caregiver.

Molti interventi psicosociali vengono proposti come attività routinarie all’interno delle Residenze Sanitarie Assistenziali, ma alcuni, erogati da realtà pubbliche, private o associazionistiche, trovano applicazione anche per gli anziani residenti al domicilio.

Cruciale anche in questo caso il ruolo del medico di medicina generale nel valutare e proporre uno di questi interventi, facendo rete con le realtà presenti sul territorio.

 

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