Medicina di Famiglia e Specialistica
Dolore

Vitamina D e dolore

7 Giu 2022

da Vitamin D UpDates

Leonardo Triggiani 

UOC Neurologia, Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma

 

Il dolore, secondo la recente definizione dell’International Association for the Study of Pain, è una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a, o che assomiglia a quella associata a, un danno tissutale attuale o potenziale 1. Numerose patologie hanno nel dolore la loro principale espressione clinica e contribuiscono, in modo rilevante, alla morbidità e mortalità su scala globale.

Benché si riscontri in letteratura la crescente evidenza di una possibile relazione tra bassi livelli di 25-idrossi vitamina D [25(OH)D] e differenti tipologie di dolore acuto o cronico e di come un’adeguata integrazione di vitamina D, in particolare nei pazienti con deficit, porti a un miglioramento della sintomatologia dolorosa, i trial clinici, condotti a questo scopo, hanno fornito risultati inconsistenti o discordanti che, di volta in volta, sono stati attribuiti a selezione dei partecipanti, misure di esito, dimensione del campione, dose di vitamina D e/o durata del follow-up. Tuttavia, i potenziali meccanismi per cui la vitamina D potrebbe esercitare effetti analgesici restano ancora poco conosciuti.

La ricerca clinica nell’area della correlazione tra dolore cronico e carenza di vitamina D è limitata. Ci sono ancora pochi studi randomizzati controllati in cieco. Tuttavia, studi sperimentali mostrano la capacità della vitamina D di esercitare influenze anatomiche e fisiologiche sulla manifestazione del dolore, giocando così un ruolo positivo sull’eziopatogenesi e sul mantenimento degli stati di dolore cronico e sulla comorbilità associata. Manifestazioni dolorose associate a cambiamenti immunologici, ormonali e neuronali sono potenzialmente influenzate dai livelli di vitamina D. Infatti, sono stati riscontrati bassi livelli di vitamina D in pazienti con vari stati dolorosi come la cefalea, il dolore addominale, la gonalgia, la lombalgia, il dolore persistente muscolo-scheletrico, il dolore toracico costocondritico, la “failed back syndrome” e la fibromialgia.

 

Evidenze sperimentali

L’interazione tra la vitamina D e il suo recettore VDR sembra svolgere un ruolo di miglioramento del sintomo dolore attraverso la modulazione dei geni chiave del dolore. Alcuni di questi geni del dolore sono comuni sia alla nocicezione superficiale che alla nocicezione viscerale, ad esempio TRPV1, il recettore toll-like, i fattori trofici come NGF, GDNF e EGFR (Tab. I). Inoltre, l’ipotesi che la vitamina D possa influire sulle vie di segnalazione del dolore è biologicamente plausibile perché l’espressione genica della vitamina D e/o del suo recettore VDR, è stata dimostrata nella cute (trasduzione del segnale del dolore), nei neuroni del ganglio della radice dorsale (DRG) (conduzione), nel midollo spinale (trasmissione/modulazione) e nel cervello (percezione del dolore) (Fig. 1). L’espressione del recettore della vitamina D è stata riportata nei neuroni periferici e centrali coinvolti nel rilevamento ed elaborazione del dolore. Espressioni della trascrizione per il recettore nucleare della vitamina D e/o degli enzimi che regolano la forma attiva dei livelli di vitamina D sono state dimostrate nelle fibre nervose dei neuroni del DRG che terminano a livello della cute, nei neuroni del midollo spinale e del cervello. Il livello di trascrizione del VDR nei neuroni del DRG è più elevato rispetto ad altre regioni del sistema nervoso. L’attività della vitamina D è determinata da due enzimi, CYP27B1 (attiva la vitamina D nel rene) e CYP24A1 (inattiva la vitamina D attiva). Questi due enzimi, insieme con VDR, sono espressi anche nei neuroni nocicettori e nel cervello 2.

 

 

 

 

La vitamina D e il VDR svolgono un ruolo nella trasduzione del segnale doloroso. La vitamina D interagisce con le terminazioni nervose del neurone nocicettivo nella pelle per rilevare direttamente gli stimoli proinfiammatori dolorosi e anche per controllare l’attività del canale TRPV1 nei linfociti T. Il VDR potrebbe svolgere un ruolo nella modulazione dell’espressione dei geni del dolore, ad esempio quelli coinvolti nello sviluppo dei neuroni e delle cellule di Schwann e anche dei canali ionici espressi nei neuroni nocicettori che innervano la pelle. Alterazioni nell’espressione o nella funzione della vitamina D di regolazione di enzimi, nell’espressione del VDR, nei bersagli del VDR sulla cute e/o sui neuroni sensoriali o sulle cellule gliali associate, potrebbero probabilmente avere un impatto su condizioni di dolore cronico come il dolore neuropatico e la neuropatia diabetica dolorosa 3.

L’interazione tra la vitamina D e il Nerve Growth Factor (NGF) influenza l’elaborazione del segnale nocicettivo. La vitamina D aumenta l’espressione del NGF nei neuroni del DRG che innervano la cute nei ratti, così come nei neuroni dell’ippocampo. NGF è un fattore neurotrofico necessario per lo sviluppo e la maturità dei nocicettori. Sembra che i livelli di NGF, in condizioni patologiche, aumentino in risposta all’infiammazione. Inoltre, NGF stimola il rilascio del peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) dalle terminazioni periferiche del DRG. Si ritiene che CGRP promuova e mantenga i neuroni nocicettivi sensibilizzati, questo implica anche il suo ruolo nel dolore cronico. La sensibilizzazione è anche potenziata dall’aumentato inserimento, facilitato da NGF, di TRPV1, canale ionico implicato nella risposta allo stimolo termico nella membrana cellulare. Inoltre, il livello di trascrizione di varie isoforme di canali del sodio (ad es. Nav1.6, Nav1.7, Nav1.8 e Nav1.9) è modulato da NGF e alla fine si traduce in un aumento nella densità di corrente del sodio e della sensibilità alla nocicezione, principalmente tramite Nav1.8. Inoltre, si ritiene che lo sviluppo dell’iperalgesia durante l’infiammazione derivi da un aumento nell’espressione di Nav1.7 promossa da NGF. Ne consegue che NGF è fondamentale per lo sviluppo dei neuroni nocicettori e nell’elaborazione del dolore; tuttavia, non è chiaro se questo sia un effetto diretto della vitamina D su NGF o se l’esito è indiretto tramite vie di segnalazione extranucleari o nucleari 4.

Un altro fattore neurotrofico, denominato Glial cell line-derived neurotrophic factor (GDNF), espresso in una piccola popolazione di neuroni del DRG, è implicato nel promuovere la sopravvivenza e l’attività di grandi neuroni sensitivi cutanei e propriocettivi. Il GDNF svolge un ruolo centrale nella trasmissione del dolore. Recenti studi hanno dimostrato che il GDNF e il suo recettore C-Ret sono regolati direttamente dalla vitamina D. Si potrebbe ipotizzare che sia la vitamina D che il suo recettore potrebbero svolgere un ruolo nel dolore neuropatico, mediato dal canale del sodio, attraverso la modulazione dell’espressione del GDNF; tuttavia, è necessaria una verifica sperimentale 5.

Il recettore dell’Epidermal Growth Factor (EGFR) e i suoi effettori sono stati recentemente identificati come nuove vie di segnalazione coinvolte nell’elaborazione del dolore ed è noto che anche la loro espressione è regolata dalla vitamina D. L’EGFR è ampiamente espresso nelle cellule del corpo comprese le cellule epiteliali, i neuroni coinvolti nella trasmissione del dolore e i cheratinociti della pelle, questi ultimi costituiscono una fonte primaria di vitamina D per l’organismo. La disregolazione della segnalazione esercitata dall’EGFR è ritenuta essere alla base della patogenesi di diversi tumori, ma ci sono anche prove del suo ruolo in altre patologie che provocano dolore così come nei meccanismi alla base del rilevamento ed elaborazione del dolore. L’EGFR è un attore chiave nell’elaborazione e nella rilevazione del dolore. Dal momento che è già noto che EGFR funge da importante hub e relè di segnali da una varietà di stimoli, il suo nuovo ruolo nell’elaborazione dei segnali del dolore fornirebbe un valore aggiunto alla sua denominazione proposta di “hub o relè principale” di segnalazione cellulare. Quindi, l’inibizione di questo importante hub di segnalazione costituito dall’EGFR, da parte della vitamina D, potrebbe spiegare gli effetti analgesici di quest’ultima. In effetti, diversi studi suggeriscono che la vitamina D inibisce l’espressione del gene EGFR direttamente o indirettamente 6.

 

Studi clinici (Tab. II)

Warner et al. hanno valutato l’effetto del trattamento con vitamina D in pazienti con dolore muscolo-scheletrico diffuso e osteoartrosi (controlli). I pazienti con livelli di 25-idrossivitamina D ≥ 20 ng/mL sono stati randomizzati a ricevere placebo o ergocalciferolo 50.000 UI una volta alla settimana per 3 mesi. Il trattamento con vitamina D non ha avuto effetti sul dolore rispetto al basale [Visual Analog Scale (VAS) p = 0,73; Functional Pain Score (FPS) p = 0,18] o a 3 mesi rispetto al placebo (VAS p = 0,12; FPS p = 0,05, a favore del placebo). Gli autori concludono che bassi livelli di vitamina D non sono associati a dolore muscolo-scheletrico diffuso e il trattamento con vitamina D non riduce il dolore nei pazienti con dolore diffuso che hanno bassi livelli di vitamina D 7.

 

 

Schreuder et al. hanno studiato l’effetto della vitamina D3 ad alte dosi sui disturbi muscolo-scheletrici persistenti non specifici negli immigrati non occidentali carenti di vitamina D e valutato la correlazione tra tipologia di dolore e beneficio derivato dal trattamento. I pazienti sono stati randomizzati a placebo o vitamina D (150.000 UI di vitamina D3 per via orale); alla settimana 6, i pazienti nel gruppo originale con vitamina D sono stati randomizzati una seconda volta per ricevere la vitamina D (di nuovo) o per passare al placebo, mentre i pazienti nel gruppo originale con placebo sono stati tutti passati alla vitamina D. I pazienti nel gruppo vitamina D avevano una probabilità significativamente maggiore rispetto al gruppo placebo di riportare sollievo dal dolore 6 settimane dopo il trattamento (34,9% vs 19,5%, p = 0,04) e una migliore capacità di salire le scale (21,0% vs 8,4%, p = ,008). Veniva quindi riscontrato un piccolo effetto positivo 6 settimane dopo un’alta dose di vitamina D3 sul dolore muscolo-scheletrico persistente non specifico 8.

McAlindon et al. in uno studio volto a determinare se l’integrazione di vitamina D riduce i sintomi e la progressione strutturale dell’osteoartrosi del ginocchio, hanno randomizzato i partecipanti a ricevere placebo o colecalciferolo orale, 2.000 UI/die, con un aumento della dose per elevare i livelli sierici a più di 36 ng/ml. Il dolore al ginocchio è diminuito in entrambi i gruppi di una media di -2,31 [con intervallo di confidenza al 95% (IC 95%), da -3,24 a -1,38] nel gruppo di trattamento e di -1,46 (IC 95%, da -2,33 a -0,60) nel gruppo placebo, senza differenze significative in qualsiasi momento. La percentuale del volume della cartilagine è diminuita della stessa misura in entrambi i gruppi (media, -4,30; IC 95%, da -5,48 a -3,12 vs media, -4,25; IC 95%, da -6,12 a -2,39) (p = 0,96). Non ci sono state differenze in nessuno degli end point clinici secondari. In questo studio l’integrazione di vitamina D per 2 anni a una dose sufficiente per elevare i livelli plasmatici di 25-idrossivitamina D a più di 36 ng/mL, rispetto al placebo, non ha ridotto il dolore al ginocchio o la perdita di volume della cartilagine nei pazienti con osteoartrosi sintomatica del ginocchio 9.

Sanghi et al. hanno condotto uno studio per indagare se il trattamento con vitamina D potesse ridurre il dolore al ginocchio, migliorare la funzione e modificare i livelli di marcatori biochimici rilevanti nei pazienti con osteoartrosi del ginocchio e deficit di vitamina D. A 12 mesi, il dolore al ginocchio era diminuito nel gruppo vitamina D in media di -0,26 (IC 95%, da -2,82 a -1,43) su VAS e -0,55 (IC 95%, da -0,07 a 1,02) su WOMAC, mentre nel gruppo placebo, è aumentato in media di 0,13 (IC 95%, da -0,03 a 0,29) sul VAS e di 1,16 (IC 95%, da 0,82 a 1,49) sul WOMAC (dimensione dell’effetto = 0,37 e 0,78). Allo stesso modo la funzione del ginocchio è migliorata nel gruppo vitamina D in media di -1,36 (IC 95%, da -1,87 a -0,85) rispetto al gruppo placebo che aveva una media di 0,69 (IC 95%, da -0,03 a 1,41; dimensione dell’effetto = 0,06). C’erano cambiamenti biochimici significativi nel calcio totale sierico, 25(OH)D e fosfatasi alcalina. I risultati dello studio suggeriscono che esiste un piccolo, ma statisticamente significativo, beneficio clinico nel trattamento con vitamina D nei pazienti con osteoartrosi del ginocchio 10.

Rastelli et al. hanno condotto uno studio randomizzato di fase II in doppio cieco controllato con placebo per determinare se la supplementazione di vitamina D2 ad alte dosi (HDD) nelle donne che ricevono anastrozolo, come terapia adiuvante per il carcinoma mammario, migliora i sintomi muscolo-scheletrici indotti dagli inibitori dell’aromatasi (AIMSS) e la perdita ossea. Le pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale e AIMSS sono state stratificate in base al livello basale di 25-idrossivitamina D [25(OH)D). Il gruppo A (20-29 ng/mL) ha ricevuto capsule HDD 50.000 UI settimanalmente per 8 settimane e poi mensilmente per 4 mesi o placebo. Il gruppo B (10-19 ng/mL) ha ricevuto HDD per 16 settimane e poi mensilmente per 2 mesi o placebo. A 2 mesi, tutti i punteggi relativi alle scale del dolore sono risultati migliori nel gruppo HDD rispetto al gruppo placebo. La BMD al collo del femore è diminuita nel placebo e non è cambiata nel gruppo HDD (p = 0,06). Lo studio ha dimostrato che l’HDD settimanale migliora l’AIMSS e può avere un effetto positivo sulla densità ossea. Gli autori suggeriscono che strategie di integrazione di vitamina D per le pazienti con cancro al seno, in terapia con inibitori delle aromatasi, dovrebbero essere ulteriormente studiate 11.

Wepner et al. hanno studiato 30 donne con sindrome fibromialgica, con livelli sierici di calcifediolo < 32 ng/mL (80 nmol/L), randomizzate al gruppo di trattamento o di controllo (placebo), con l’obiettivo di raggiungere livelli sierici di calcifediolo tra 32 e 48 ng/mL per 20 settimane tramite integrazione orale con colecalciferolo. La rivalutazione è stata eseguita in entrambi i gruppi dopo altre 24 settimane senza supplementazione di colecalciferolo. Una marcata riduzione del dolore è stata notata durante il periodo di trattamento nel gruppo sottoposto a terapia con effetto significativo nei punteggi della scala VAS. Questo è stato anche correlato con i punteggi sulla scala del funzionamento del ruolo fisico della Short Form Health Survey 36. L’ottimizzazione dei livelli di calcifediolo nella sindrome fibromialgica  ha avuto un effetto positivo sulla percezione del dolore. Gli autori ritengono che la terapia con vitamina D possa essere presa in considerazione nei pazienti con sindrome fibromialgica 12.

Sakalli et al. hanno studiato i benefici di una singola dose per via orale o di vitamina D somministrata per via parenterale sull’aumento della qualità della vita e della mobilità funzionale e sulla diminuzione del dolore negli anziani. Nello studio sono stati inclusi i soggetti anziani residenti in comunità di età superiore ai 65 anni. Ai soggetti sono state somministrate 300.000 UI di vitamina D per via orale e parenterale e sono stati valutati dopo 4 settimane. I soggetti sono stati divisi in quattro gruppi composti ciascuno da 30 soggetti. Il primo gruppo ha preso vitamina D i.m., il secondo gruppo ha assunto i.m. placebo, il terzo gruppo ha assunto p.o. vitamina D e il quarto gruppo ha assunto p.o. placebo. Dopo il trattamento, il livello di PTH del primo gruppo è risultato ridotto (p = 0,0001) e il livello di vitamina D è aumentato significativamente (P = 0,0001). Nel terzo gruppo, il livello di PTH (paratormone) è risultato ridotto (p = 0,0001), il livello di vitamina D è aumentato (p = 0,004) e l’escrezione di calcio nelle 24 ore nelle urine (p = 0,015) è aumentata in modo significativo. Quando sono stati valutati il ​​dolore, la mobilità funzionale e la qualità della vita, nel primo gruppo il Time up and go test (TUG) (p = 0,0001) e la VAS (p = 0,0001) sono diminuiti significativamente, mentre i parametri SF-36: funzionamento fisico (p = 0,0001), ruolo fisico (0,006), dolore fisico (p = 0,0001), salute generale (p = 0,007), funzionamento sociale (p = 0,05) e salute mentale (p = 0,048) sono aumentati in modo significativo. Nel secondo gruppo, la VAS (p = 0,001) è diminuita, il ruolo fisico (p = 0,009) e il ruolo emotivo (p = 0,034) sono aumentati in modo significativo. Nel terzo gruppo, il TUG (p = 0,0001) e la VAS (p = 0,002) sono diminuiti, mentre la funzione fisica (p = 0,0001) e il ruolo fisico (0,001) sono aumentati in modo significativo. Nel quarto gruppo, la VAS (p = 0,007) è diminuita in modo significativo. Gli autori concludono che la somministrazione di megadose di vitamina D aumenta la qualità della vita, diminuisce il dolore e migliora la mobilità funzionale negli anziani 13.

Gendelman et al. hanno valutato l’impatto della somministrazione di 4.000 UI di vitamina D, rispetto a placebo, sul dolore e sui parametri sierologici nei pazienti con dolore muscolo-scheletrico. Sono stati arruolati 80 pazienti e la terapia è stata somministrata per 3 mesi. I parametri sono stati valutati in tre punti temporali: prima dell’intervento, alla settimana 6 e alla settimana 12. Il gruppo che ha ricevuto vitamina D ha ottenuto una riduzione statisticamente significativa della VAS durante lo studio rispetto al gruppo placebo. La necessità di una “terapia di salvataggio” analgesica era significativamente più bassa nel gruppo trattato con vitamina D. I livelli di TNFα (fattore di necrosi tumorale alfa) sono diminuiti del 54,3% nel gruppo trattato con vitamina D e sono aumentati del 16,1% nel gruppo placebo. La PGE2 (prostaglandina E2) è diminuita del 39,2% nel gruppo trattato con vitamina D ed è aumentata del 16% nel gruppo placebo. I livelli di leucotriene B4 (LTB4) sono diminuiti in entrambi i gruppi del 24% (p < 0,05). Secondo gli autori, l’aggiunta di 4.000 UI di vitamina D per i pazienti con dolore muscolo-scheletrico può portare a un calo più rapido dei punteggi VAS consecutivi e a una diminuzione dei livelli di citochine infiammatorie e correlate al dolore 14.

Jin et al. hanno confrontato gli effetti della supplementazione di vitamina D rispetto al placebo sul dolore e sul volume della cartilagine del ginocchio in pazienti con osteoartrosi sintomatica e bassi livelli di vitamina D. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un trattamento mensile con vitamina D3 orale (50.000 UI; n = 209) o un placebo identico (n = 204) per 2 anni. Il livello di 25-idrossivitamina D è aumentato di più nel gruppo vitamina D (40,6 nmol/L) rispetto al gruppo placebo (6,7 nmol/L) (p < 0,001) in 2 anni. Non ci sono state differenze significative nella variazione annuale del volume della cartilagine tibiale o nel punteggio del dolore. Non ci sono state differenze significative nella modifica dei difetti della cartilagine tibiofemorale o nella modifica delle lesioni del midollo osseo tibiofemorale. Questi risultati non supportano l’uso della supplementazione di vitamina D per prevenire la perdita della cartilagine tibiale o migliorare il dolore nei pazienti con osteoartrosi del ginocchio 15.

Wu et al. hanno condotto uno studio allo scopo di confrontare l’effetto della supplementazione mensile di vitamina D ad alte dosi sul punteggio del questionario sull’impatto del dolore (PIQ-6) e sulla prescrizione di analgesici nella popolazione generale. I partecipanti, di età compresa tra 50 e 84 anni, sono stati assegnati in modo casuale a ricevere capsule mensili da 100.000 UI di vitamina D3 (n = 2558) o placebo (n = 2550) per una mediana di 3,3 anni. Non è stata riscontrata differenza nel punteggio medio PIQ-6 alla fine del follow-up (media aggiustata differenza: 0,06; p = 0,82) tra i partecipanti del gruppo vitamina D (n = 2041) o placebo (n = 2014). La percentuale di partecipanti che hanno assunto uno o più oppioidi era simile nel gruppo vitamina D (n = 559, 21,9%) rispetto al placebo (n = 593, 23,3%); il rischio relativo (RR) aggiustato per età, sesso e l’etnia era 0,94 (p = 0,24). Risultati simili sono stati osservati per la somministrazione di FANS (RR = 0,94; p = 0,24) e altri non oppioidi (RR = 0,98; p = 0,34). Concentrandosi sui partecipanti carenti di vitamina D (< 50 nmol/L, 24,9%), c’era un minor rischio di somministrazione di FANS nel gruppo vitamina D rispetto a placebo (RR = 0,87; p = 0,009); tutte le altre analisi dei sottogruppi non sono risultate significative. Lo studio ha dimostrato che la supplementazione mensile di vitamina D ad alte dosi non migliora il punteggio medio PIQ-6 e non riduce l’assunzione di analgesici nella popolazione generale 16.

Frankling et al. nel recente studio “Palliative-D” hanno testato l’ipotesi che la correzione della carenza di vitamina D possa ridurre l’uso di oppioidi nei pazienti oncologici ricoverati in cure palliative. I pazienti con cancro avanzato e 25-idrossivitamina D < 50 nmol/L sono stati randomizzati a vitamina D3 4000 UI/die o placebo per 12 settimane. L’endpoint primario era la differenza di uso di oppioidi a lunga durata d’azione (fentanil ug/h) tra i gruppi durante 12 settimane. Il gruppo dei pazienti trattati ha avuto un aumento significativamente minore delle dosi di oppioidi rispetto al gruppo placebo (p = 0,03). La fatigue ridotta dalla vitamina D, valutata con ESAS (Edmonton Symptom Assessment Scale), era -1,1 punti dopo 12 settimane (p < 0,01). Secondo gli autori, la correzione della carenza di vitamina D può avere effetti positivi sull’uso di oppioidi e sull’affaticamento nei pazienti sottoposti a trattamento palliativo per il cancro, ma solo in quelli con un tempo di sopravvivenza superiore a 12 settimane 17.

 

Conclusioni

Bassi livelli di vitamina D sono implicati in varie condizioni di dolore cronico. La ricerca ha dimostrato che la vitamina D esercita influenze anatomiche, ormonali, neurologiche e immunologiche sulla manifestazione del dolore, svolgendo così un ruolo nella patogenesi e nel mantenimento degli stati dolorosi cronici e nella comorbilità associata. 

Si ipotizza che la vitamina D fornisca benefici clinici nei pazienti con dolore cronico ed esistono diversi studi osservazionali che hanno mostrato sollievo dal dolore con la supplementazione di vitamina D. Tuttavia, i risultati degli studi hanno spesso fornito risultati discordanti. Le ragioni di queste discrepanze sono molteplici. Una delle ragioni è la definizione precisa dei livelli sierici di 25(OH)D3 per determinare la sua carenza, il range di normalità e il cut-off per la tossicità. La difficoltà di stabilire fisiopatologicamente livelli carenti di 25(OH)D3 è stata attribuita a variazioni di metodo (strumenti statistici), alla differenza tra i saggi sperimentali utilizzati (tecnici), alla latitudine geografica o ad altre variazioni negli individui oggetto di studio. Pertanto, è stato sostenuto che il cosiddetto intervallo “normale” per i livelli sierici di 25(OH)D3 dovrebbe essere definito su base individuale e nell’ambito del contesto clinico. Le variazioni sieriche possono inoltre derivare anche da polimorfismi genetici negli enzimi di elaborazione della vitamina D e da cambiamenti nella farmacocinetica e farmacodinamica della vitamina D. Un altro livello di complessità può derivare dalle variazioni specifiche nello stato di malattia degli individui e questo è particolarmente importante nel dolore cronico che mostra un’estrema eterogeneità tra gli individui e la sua percezione può essere molto personalizzata. Quest’ultimo aspetto porta a grandi sfide nella valutazione accurata del dolore soprattutto quando si fa affidamento sull’auto-segnalazione da parte di chi ne soffre. Pertanto, è urgente lo sviluppo di affidabili marcatori biologici del dolore che possano essere accuratamente utilizzati nella valutazione dolore negli studi clinici. C’è quindi bisogno di ampi studi clinici randomizzati controllati che tengano conto delle molte variabili in gioco, per determinare in modo definitivo il beneficio analgesico della vitamina D nel dolore cronico e se l’effetto è o meno limitato ai pazienti che sono carenti di vitamina D.

 

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