Medicina di Famiglia e Specialistica
COVID-19

Varianti di SARS‑CoV-2 e efficacia dei vaccini

16 Feb 2022

da Rivista Medicina Generale SIMG Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie

Evoluzione nella comprensione dei meccanismi alla base della comparsa delle varianti di SARS‑CoV-2 e della efficacia dei vaccini
anti COVID‑19

Ignazio Grattagliano, Alessandro Rossi, Claudio Cricelli

Direttivo Nazionale SIMG

 

La diffusione dell’infezione da virus SARS‑CoV‑2 continua a preoccupare il mondo intero a causa della progressiva comparsa di nuove varianti che comportano da un lato il persistere della pandemia e dall’altro mettono a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari ospedalieri e territoriali a causa della necessità di nuove e ricorrenti ondate di ricoveri e della pressione assistenziale per i medici curanti (informazioni, procedure, notifiche, monitoraggio pazienti, …).

In questo articolo cerchiamo di fare il punto sulla situazione a livello generale e di rispondere ad alcuni dei più importanti quesiti sull’argomento varianti e sulla tenuta dell’efficacia vaccinale.

Quando una variante  di SARS‑CoV-2 diventa un problema sanitario?

Le caratteristiche della proteina Spike di SARS‑CoV‑2 rappresentano a tutti gli effetti la chiave di lettura di molti aspetti legati all’infezione ed alla sua diffusione (Fig. 1). La proteina Spike è altamente immunogena; la sua porzione recettoriale (RBD) si lega alle cellule e favorisce l’ingresso del virus. Affinché SARS‑CoV‑2 penetri le cellule è essenziale che avvenga un processo di trasferimento transmembrana basato su un’attivazione biochimica mediata da RBD di Spike su cellule che esprimono ACE-2 (enzima 2 di conversione dell’angiotensina) e TMPRSS-2 (Transmembrane Serine Protease 2) 1. Cambiamenti nella conformazione della proteina Spike e di conseguenza del suo potere immunogeno sono alla base dell’insorgenza della maggior parte delle mutazioni e quindi delle varianti. Al tempo stesso essa rappresenta il target della neutralizzazione del virus da parte degli anticorpi e, indirettamente, dei vaccini 2.

 

Guardando all’evoluzione di SARS‑CoV‑2, occorre sottolineare innanzitutto come la capacità di mutazione dei coronavirus sia generalmente più bassa rispetto a quella di altri virus a RNA 3. Tuttavia, l’elevata diffusione dell’infezione è noto aumentare di per sé la probabilità di insorgenza di mutazioni 4. Generalmente, allo stesso tempo, è ben noto come la maggior parte delle mutazioni di un virus non solo non risulti essere né meno aggressiva né più deleteria rispetto al virus originale, ma una buona proporzione di esse sarà probabilmente più benevola 3,4. La nota mutazione D614G (variante inglese) ha ad esempio consentito alla proteina Spike di diventare più infettante. Questa mutazione ha una elevata capacità diffusiva tanto da rimpiazzare precedenti linee virali.

Una serie di fattori influisce sulla selezione naturale e quindi sulla eterogeneità delle varianti: la trasmissibilità, la severità della malattia indotta, la predisposizione dell’ospite all’infezione ed alla malattia, l’efficacia dei vaccini e delle cure, la capacità diagnostica 5.

L’origine delle varianti non è sempre individuabile. I meccanismi più frequenti, attraverso i quali si generano varianti di virus selvaggi che possono infettare l’uomo, sono riassumibili in fonti zoonotiche e sacche di riserva animale, insufficiente controllo dell’infezione da parte di terapie incomplete, evoluzione accelerata in corso di infezioni persistenti soprattutto in soggetti immunocompromessi in cui una risposta subottimale può favorire la genesi di varianti resistenti agli anticorpi neutralizzanti il virus originario 6-8. Un elevato turnover virale con una modesta capacità di mutazione basata su errori della RNA polimerasi virale può portare alla comparsa di differenti gradi di diversificazione del virus. In questo giro di potenziali mutazioni che si generano, meccanismi di compenso fanno si che buona parte delle mutazioni non siano compatibili con la sopravvivenza stessa del virus. In questo modo le performance virali associate a mutazioni potenzialmente più aggressive possono essere spontaneamente corrette da mutazioni compensatorie (Fig. 2).

 

L’identificazione delle nuove varianti di SARS‑CoV‑2, secondo l’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), deve essere classificata con lettere greche progressive ed il loro successivo monitoraggio richiede la valutazione di alcuni parametri di impatto fenotipico: trasmissibilità, gravità della malattia, rischio di reinfezione basato sulla tenuta della risposta immunitaria, capacità diagnostica. Da un punto di vista clinico poi devono essere valutati e registrati i potenziali cambiamenti del corteo sintomatologico che possono accompagnare la comparsa delle varianti. Ad esempio, mentre da un lato stiamo assistendo alla scomparsa di ageusia e anosmia, tipici della forma selvaggia di SARS‑CoV‑2, i sintomi di maggiore frequenza associati alle varianti, persino in soggetti non vaccinati, sono la cefalea, la faringite, la rinorrea, la febbre e la tosse persistente.

In che modo le varianti influiscono sulla efficacia del vaccino?

Un aspetto importante di salute pubblica è rappresentato dall’azione che le varianti hanno sul mantenimento dell’efficacia vaccinale. I fattori principali che caratterizzano questi effetti sono fondamentalmente due: la virulenza della variante e la tipologia di vaccino utilizzato.

Già la variante Beta, identificata per la prima volta in Qatar, dimostrava virulenza immutata ma qualche capacità di evadere in parte la sorveglianza immunologica secondaria al vaccino a RNAm ed a quelli a vettore virale. Una ridotta capacità neutralizzante da parte degli anticorpi generati da vaccino è stata però definitivamente osservata con la successiva variante (delta), capace di evadere l’efficacia vaccinale soprattutto nel caso di vaccini a vettore virale.

Gli studi di laboratorio in cui si cimentano in vitro l’attività del virus e la risposta del sistema immunitario prevalentemente cellulare, presentano molte limitazioni e quindi offrono pochi vantaggi rispetto alla valutazione sulla popolazione. Il più importante aiuto è dato soprattutto dalla possibilità comparativa di più vaccini in poco tempo. Purtroppo, una lunga serie di limitazioni riduce l’importanza e la ricaduta pratica degli studi in vitro: mutazioni possono verificarsi nei vari passaggi della coltura cellulare e di conseguenza influenzare i risultati; non sono state ancora standardizzate le metodologie colturali per il virus SARS‑CoV‑2; sono tuttora sconosciuti i correlati di protezione; gli anticorpi neutralizzanti sono solo una parte della risposta immune conferita dai vaccini. Occorre inoltre sottolineare come siano tuttora sconosciuti i correlati di protezione e gli anticorpi neutralizzanti siano solo una parte della risposta immune conferita dai vaccini, che coinvolge anche la componente linfocitaria T e della memoria immunologica.

La variante delta, attualmente la più diffusa, ha dimostrato di essere meno sensibile alla capacità neutralizzante degli anticorpi prodotti dai vaccini disegnati per essere efficaci contro il virus selvaggio ed in particolare di quelli a vettore virale 9 (Fig. 3).

 

Dai primi studi sulla nuova variante omicron è emerso che la mutazione sottostante questa variante comporterebbe una maggiore trasmissibilità rispetto alle precedenti, mentre alcuni modelli matematici stimano che in pochi mesi potrebbe diventare la variante dominante. è stato calcolato che omicron presenti più di 30 mutazioni nella proteina Spike e 15 nella RBD su cui i vaccini COVID‑19 sono basati. Sempre sulla base di dati preliminari, sembrerebbe che la vaccinazione booster con vaccino a RNAm incrementi significativamente la risposta immunitaria umorale nei confronti di questa variante 10.

Sarà necessario aggiornare i vaccini e i richiami?

Gli sviluppi della ricerca sono essenziali affinché si possa raggiungere un efficace controllo a lungo termine sulla comparsa di nuove varianti. Queste ipotesi di lavoro si basano inevitabilmente sull’uso di dosi periodiche di richiamo dei vaccini, in modo che si possa rispondere ai seguenti quesiti chiave: quando è il momento migliore per la somministrazione di dosi di richiamo? A chi somministrarle e quando? Tutte le varianti dovranno essere perseguite e studiate? Dovremmo aumentare i controlli sulle varianti al momento della identificazione o quando ci accorgiamo che l’immunità generale si è ridotta? è più valido un approccio vaccinale eterologo o omologo?

L’impatto delle vaccinazioni sulla trasmissione del virus è argomento di grande interesse e dibattito scientifico, in quanto ci si chiede se le varianti inficino l’efficacia dei vaccini. Infatti, abbiamo notato come la variante delta riduca l’efficacia protettiva dei vaccini nei confronti della malattia sintomatica. Anche l’impatto sulla trasmissione dell’infezione nei soggetti vaccinati sembra essere poco conosciuta anche se probabilmente compromessa 11. Allo stesso tempo ci si chiede quale possa essere l’effetto di una precedente esposizione al virus (malattia) e/o vaccinazione, ma per avere queste informazioni occorre testare ripetutamente nel tempo i soggetti infettati e quelli vaccinati. Questi aspetti sono di estremo interesse soprattutto in tutti quei contesti in cui non c’è grande disponibilità di vaccini.

I vaccini restano indispensabili per ridurre il rischio di malattia grave e morte nei confronti della variante al momento dominante, la delta, per cui è fondamentale aumentare le coperture vaccinali il più rapidamente possibile, con la terza dose nelle persone per cui è raccomandata e iniziando il ciclo per chi non l’ha ancora fatto. Nel caso invece della emergente variante omicron, i risultati di uno studio di efficacia vaccinale condotto nel Regno Unito, pubblicati come preprint, sembrano indicare una diminuzione della capacità dei vaccini di proteggere da infezione e malattia lieve, ma che la capacità di prevenire i casi gravi resta valida, rispetto alla variante delta nelle persone vaccinate con solo due dosi  mentre la dose booster fornirebbe un significativo aumento della protezione contro la malattia lieve ed è probabile che fornisca una protezione ancora maggiore contro le forme gravi della malattia. I risultati di questo studio sottolineano l’importanza di aumentare la copertura vaccinale con le dosi booster.

Per quanto riguarda omicron, in realtà è ancora troppo presto per conoscere l’esatta misura in cui la vaccinazione o la precedente infezione da SARS‑CoV‑2 proteggano. I primi dati non sono confortanti. Il 70% della popolazione del Regno Unito ha avuto due dosi di vaccino anti COVID‑19, mentre la percentuale della popolazione che dimostra di possedere anticorpi contro SARS‑CoV‑2 supera il 90%. In UK, dove il vaccino a vettore virale è quello maggiormente utilizzato, la protezione contro la malattia sintomatica a 6 mesi dopo due dosi del vaccino COVID‑19 potrebbe essere inferiore al 10% per l’omicron rispetto al 40% per la variante delta. Da studi preliminari sembrerebbe che dosi booster di vaccino a RNAm sia in grado di innalzare i livelli circolanti di anticorpi neutralizzanti il virus, risultando pertanto protettivi nei confronti di malattia grave 12,13. In assenza di correlati di protezione utili nei confronti della malattia COVID‑19, gli anticorpi circolanti sembrerebbero rappresentare quindi dei marcatori surrogati di protezione, in quanto rappresenterebbero solo una parte della risposta immunitaria completa costituita dalle cellule T e della difesa di superficie mucosale.

La scarsa azione dei vaccini a RNAm sulla produzione di immunoglobuline mucosali sarebbe alla base della inefficiente protezione di questi vaccini nei confronti dell’infezione 14.

Uno degli obiettivi per il futuro è quello di pensare ad un vaccino universale, unico per tutti i virus (panvirus vaccine), un vaccino cioè che non può essere superato per capacità neutralizzante il virus da parte di varianti in quanto capace di legare strutture proprie del virus non modificabili senza che comportino gravi conseguenze per la sopravvivenza del virus stesso (epitopi conservati) 13. Questi epitopi sono identificabili attraverso specifiche tecniche di laboratorio (Fig. 4).

 

Come continueranno ad evolversi le varianti?

La comparsa di varianti è la naturale conseguenza della circolazione e replicazione del virus.

Questioni aperte restano ad oggi l’ottimizzazione delle schedule di somministrazione vaccinale e le posologie, le dosi di richiamo, i correlati di protezione, e l’efficacia vaccinale nei confronti delle varianti. Resta fondamentale la collaborazione internazionale quale chiave di lettura per espandere ed ottimizzare la sorveglianza sulla comparsa delle varianti.

Infine, occorre sottolineare che fintanto che i casi di infezione nel mondo resteranno alti e non ci sarà una equa distribuzione di vaccini tra le nazioni, la probabilità di formazione di nuove varianti resterà alta. Il modo più efficace per combattere l’insorgenza di varianti è la vaccinazione quanto più veloce e diffusa possibile. La vaccinazione ad oggi è la misura migliore per evitare malattia grave ed ospedalizzazione.

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