Medicina di Famiglia e Specialistica
Oncologia

Tumore della prostata: nuovi orientamenti per prevenzione, diagnosi precoce e accesso alle cure

15 Mar 2023
tumore-prostata

a cura di Piercarlo Salari, medico e divulgatore medico scientifico – Milano

 

Sono 40.500 i nuovi casi stimati nel 2022, pari al 19,8 per cento di tutti i tumori maschili, con una prevalenza di 546 mila uomini. Questi, in sintesi, i dati epidemiologici del carcinoma prostatico, per il quale Fondazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere) ha presentato in una conferenza stampa un documento rivolto alle Istituzioni che, partendo dalle Raccomandazioni europee, identifica le possibili traiettorie di intervento per promuovere una corretta informazione e facilitare l’accesso a una diagnosi precoce. Da qui la necessità di reimpostare l’approccio al paziente, con un particolare riguardo alla prevenzione, alla luce delle esperienze acquisite negli ultimi anni, delle evidenze scientifiche, nonché della necessità di efficientare percorsi ad alta specializzazione e multidisciplinari e di garantire equità di accesso alle cure sul territorio nazionale.

 

Fattori di rischio: qualcosa è cambiato

I fattori di rischio tradizionali sono l’età – ragion per cui l’invecchiamento della popolazione lascia prevedere un incremento di incidenza nel prossimo futuro – l’etnia – gli afroamericani sono notoriamente più interessati rispetto ai caucasici – e lo stile di vita (alimentazione iperlipidica e ipercalorica e sedentarietà), ma oggi l’attenzione va focalizzata sul rischio eredo-familiare. “Fino a poco tempo fa si sottolineava che il rischio di sviluppare un carcinoma prostatico raddoppiava se ne era stato già affetto un parente di primo grado e poteva aumentare anche di 5-10 volte se si erano verificati più casi in famiglia” afferma Giairo Conti, segretario della Società Italiana di Uro-Oncologia (SiUrO). “La scoperta di mutazioni genetiche comuni in tumori di pancreas, mammella, ovaio, colon e melanoma ha portato a considerare la familiarità del carcinoma prostatico nella prospettiva di una malattia non più di genere e a rivedere i criteri operativi per la diagnosi precoce o meglio tempestiva, utilizzando i numerosi strumenti diagnostici disponibili. Continuiamo, infatti, a vedere pazienti giovani con tumori aggressivi e rapidamente progressivi che devono essere opportunamente identificati: lo screening di massa, infatti, basato sul PSA, non si è rivelato efficace, per cui occorre circoscrivere la popolazione target. Il medico di Medicina generale è perciò fondamentale per intercettare individui d’età inferiore a 50 anni, indagando la presenza di fattori di rischio eredo-familiari e di sintomi urinari sospetti”.

 

L’importanza della correttezza di impiego e interpretazione del PSA

Il PSA – è bene ricordarlo – è un marker organo-specifico più che tumore-specifico: “Le evidenze indicano che il suo impiego in uno screening di popolazione, nel migliore dei casi, potrebbe determinare soltanto una minima riduzione della mortalità cancro-specifica, ma non una diminuzione della mortalità globale e porterebbe tra l’altro a una sovradiagnosi, ossia alla diagnosi di lesioni neoplastiche che, nonostante la conferma istologica, senza lo screening non sarebbero mai giunte all’attenzione del clinico durante la vita del paziente” commenta Nicolò Borsellino, Direttore dell’UOC Oncologia Medica dell’Ospedale Buccheri La Ferla-Fatebenefratelli di Palermo. “Se dunque importanti studi e linee guida internazionali non raccomandano politiche di screening di popolazione, diversa è la problematica dell’uso spontaneo o opportunistico del PSA come screening individuale, ossia basato sulla valutazione del singolo paziente, che deve essere adeguatamente informato su rischi e benefici di questo atteggiamento”. Le linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), infatti, per il dosaggio del PSA come screening stabiliscono il limite inferiore a 50 anni nei soggetti senza fattori di rischio e quello superiore a 75 anni e/o l’attesa di vita inferiore a dieci anni, in quanto ci sono cause competitive di morte che attenuerebbero il beneficio individuale dello screening, che può essere invece anticipato a 40-45 anni in presenza di fattori di rischio, quali familiarità o etnia.

“Il carcinoma prostatico si associa poi a sindromi ereditarie, tra cui la sindrome di Lynch e soprattutto la sindrome HPOC (Hereditary Breast and Ovarian Cancer o sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio), legata a mutazioni che colpiscono geni coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA, più frequentemente BRCA1/2, che sotto il profilo ereditario concatenano il carcinoma prostatico a quello della mammella, dell’ovaio e del pancreas” aggiunge Borsellino. “In circa il 12-15% dei pazienti con carcinoma prostatico si verificano mutazioni germinali associate alla trasmissione ereditaria del tumore, per cui è importante suggerire al medico di Medicina generale di raccogliere sempre l’anamnesi familiare dei propri assistiti, per evidenziare possibili sindromi ereditarie e nel caso avviare il paziente a una consulenza oncogenetica dal genetista medico, che provvederà a richiedere il test BRCA. Tale procedura, definita mini-counseling, è un percorso strutturato all’interno dei PDTA delle Prostate Units, individuate dagli assessorati regionali alla salute come centri specialistici”.

 

Comunicazione, informazione e strategie

Secondo l’indagine “La consapevolezza sul tumore alla prostata”, realizzata da Fondazione Onda in collaborazione con Elma Research nel 2021, solo tre uomini su dieci si ritengono sufficientemente informati relativamente al carcinoma prostatico. Scarsa è l’attitudine a sottoporsi a controlli in assenza di problematiche specifiche o disturbi manifesti, in una sfera come quella urologica che attiene alla dimensione sessuale e riproduttiva. Sono le donne in molti casi a intervenire nel motivare gli uomini a eseguire controlli, come conferma il 57 per cento delle intervistate nella survey. “La Medicina generale è un osservatorio privilegiato” commenta Andrea Salvetti, Referente Area oncologica SIMG, Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie. “La conoscenza in tema di prevenzione dei tumori e in particolare del carcinoma prostatico è ancora scarsa e non è facile proporre uno screening a un uomo sano, ingenerando il timore di un eventuale esito positivo. La Medicina generale dovrebbe perciò dedicare più tempo alla comunicazione, che è tempo di cura. Serve anche un’adeguata formazione: tutti gli operatori dovrebbero insomma collaborare di più e soprattutto parlare la stessa lingua, trasmettendo al paziente messaggi coerenti”. Senza dimenticare un presupposto essenziale: “La comunicazione deve essere bidirezionale – osserva Conti – ossia richiede che ci sia ascolto da parte del paziente e diventa ancor più delicata nella proposta della sorveglianza attiva, che può essere proposta nei casi di tumore poco aggressivi e a basso rischio, per i quali un atteggiamento di vigile attesa consente di evitare gli effetti collaterali di un trattamento con la sicurezza di un attento monitoraggio clinico”.

 

Il Documento di Fondazione Onda

Le principali linee strategiche di intervento proposte dal documento rivolto da Fondazione Onda alle Istituzioni si possono riassumere nei punti seguenti:

  • promuovere una corretta educazione alla salute sessuale e riproduttiva presso la popolazione maschile, fin dalla giovane età, abbattendo i tabù e valorizzando il ruolo del medico specialista di riferimento nella sua tutela;
  • incrementare l’informazione e la consapevolezza sul tumore della prostata, con particolare riferimento ai fattori di rischio e al ruolo della diagnosi precoce, evidenziando l’importanza di sottoporsi regolarmente a controlli specialistici urologici, in particolare dopo i 50 anni (dopo i 40 anni, in caso di familiarità positiva) pur in assenza di sintomatologia;
  • garantire l’accesso a un’informazione chiara e corretta sui benefici e sui rischi della diagnosi precoce per il carcinoma prostatico, nonché sui limiti delle tecniche attualmente in uso per lo screening;
  • garantire un accesso equo ed omogeneo su tutto il territorio nazionale alla diagnosi precoce del carcinoma prostatico, con copertura della popolazione interessata e secondo linee guida condivise dalla comunità scientifica;
  • potenziare il ruolo del medico di Medicina generale nella promozione della salute maschile e nella prevenzione attiva primaria e secondaria del tumore della prostata, investendo nella formazione specifica sul territorio nazionale;
  • promuovere attività di informazione e sensibilizzazione sulla prevenzione e diagnosi precoce del tumore della prostata rivolte anche alle donne, in considerazione del ruolo femminile nel favorire una prevenzione urologica attiva da parte del proprio partner, nell’intercettare i primi campanelli di allarme e nel sollecitare un tempestivo accesso ai percorsi specialistici di diagnosi e cura.

 

Bibliografia

 

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