Medicina di Famiglia e Specialistica
Metabolismo

Studio VITAL: luci e ombre

13 Giu 2023
vitamina-D-cucchiaio

da Vitamin D UpDates

 

Introduzione

La vitamina D è un ormone liposolubile che ha un ruolo fondamentale nella regolazione dell’assorbimento intestinale di calcio. 

Il colecalciferolo è convertito dall’enzima epatico 25-idrossilasi in calcifediolo e successivamente, sotto il controllo del paratormone (PTH), dall’enzima renale 1-25-idrossilasi, nella forma biologicamente attiva, il calcitriolo.

Il calcitriolo regola direttamente l’assorbimento di calcio elementare dall’intestino ed è quindi fondamentale per garantire un adeguato substrato per la formazione dello scheletro. 

 

In condizioni di bassi livelli di vitamina D si riduce l’assorbimento intestinale di calcio e il calcio necessario per l’omeostasi sanguigna viene prelevato dallo scheletro sotto l’influsso del PTH1. È noto quindi, dalla fisiologia, che la grave carenza di vitamina D porti allo sviluppo di osteomalacia (nell’adulto) e di rachitismo (nel bambino)2.

Le prime evidenze cliniche/storiche del ruolo fondamentale della vitamina D sullo sviluppo dell’osteomalacia e nel metabolismo scheletrico provengono da antichi reperti di scheletri di soggetti con deformità e multiple fratture ossee e da evidenze empiriche. 

È noto che le popolazioni che vivono al di sopra del 37° parallelo sono a più elevato rischio di sviluppare rachitismo/osteomalacia. 

L’essere umano è in grado di sintetizzare vitamina D3 tramite conversione fotochimica. Le radiazioni ultraviolette B portano alla conversione del 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo nella cute. Tuttavia, nelle regioni nord o sud del pianeta le radiazioni di UVB della lunghezza d’onda necessaria per la sintesi della vitamina D non raggiungono la superficie. 

È stato inoltre riscontrato che i bambini rachitici esposti al sole miglioravano il quadro clinico, fino alla completa guarigione. 

La vitamina D può essere altresì assunta nella dieta (è presente in quantità discrete nel grasso animale). È stato dimostrato che nelle popolazioni scandinave il rischio era particolarmente elevato per i soggetti che risiedevano nell’entroterra e che pertanto avevano una dieta scarsa o addirittura priva di pesce, la fonte animale principale di vitamina D alimentare. Il fegato del merluzzo è estremamente ricco di vitamina D e ha protetto per secoli le popolazioni nordiche dallo sviluppo di osteomalacia/rachitismo. 

È quindi ampiamente assodato che la vitamina D sia un nutriente/ormone di fondamentale importanza per la salute scheletrica. 

Le evidenze si sono ulteriormente rafforzate negli anni più recenti. Sono stati pubblicati numerosi studi, soprattutto osservazionali ma anche interventistici, che confermano l’importanza della vitamina D e, in particolare, sottolineano l’effetto deleterio, marcato, della carenza/deficienza di vitamina D sull’osso. 

È interessante notare che gli studi osservazionali condotti su popolazioni a rischio di frattura siano sostanzialmente tutti concordi nell’evidenziare il ruolo negativo della carenza di vitamina D sull’aumento del rischio di frattura. 

Al contrario, c’è una discreta incertezza proveniente dai dati interventistici. Alcuni trial clinici, infatti, non sono riusciti a dimostrare un effetto positivo della vitamina D sulla riduzione del rischio di frattura. Tuttavia, vanno assolutamente sottolineati i limiti di tali studi che, sebbene siano stati condotti con estremo rigore scientifico e su ampie popolazioni, non possono e non devono influenzare negativamente le nostre scelte cliniche. 

In particolare, mi focalizzerò sui punti di debolezza del recente trial clinico randomizzato “VITamin D and OmegA-3 TriaL (VITAL)” di cui è stato pubblicato di recente lo studio ancillare sulle fratture da fragilità3.

 

Lo “studio VITamin D and OmegA-3 TriaL (VITAL)”

Lo studio VITAL è un trial clinico pragmatico randomizzato in cieco in cui venivano somministrati vitamina D, omega-3 o placebo secondo uno schema fattoriale.

In sintesi, i partecipanti (oltre 25.000 individui risiedenti negli Stati Uniti d’America) potevano ricevere una combinazione di vitamina D e omega-3 oppure vitamina D e placebo oppure omega-3 e placebo oppure una doppia compressa di placebo 4. Lo studio, nato nel 2010 all’Università di Harvard, si prefiggeva come obiettivo principale di dimostrare un possibile effetto della vitamina D e degli omega-3 sull’incidenza di malattie autoimmuni e di cancro (Figg. 1, 2). Erano stati però pensati anche numerosi altri studi ancillari, tra cui anche studi mirati alla salute scheletrica e alle fratture. In una quota dei pazienti arruolati veniva anche raccolto siero per l’analisi di biomarker e venivano eseguiti degli esami strumentali per valutare la densità ossea e la fragilità.

Premesse, contesto e popolazione dello studio VITAL

Prima di entrare nel dettaglio dello studio, è importante ricordare le motivazioni che hanno spinto gli sperimentatori a condurre questo mega-trial.

Negli Stati Uniti è estremamente frequente la somministrazione di vitamina D con preparati detti “over the counter (OTC)” che sono, per definizione, di facile reperimento nei normali supermercati.

La diffusione è nata e si è sviluppata in seguito alla credenza, fortemente radicata nella società americana, che per la salute sia essenziale un supplemento multivitaminico (spesso contenente alte dosi di vitamina D) costante e a tutte le età. L’abitudine ad assumere OTC è così radicata che il mercato è in costante aumento e ha raggiunto, negli Stati Uniti, la strabiliante cifra di 30 miliardi di dollari/anno nel 2023. È di fondamentale importanza questa premessa per capire il contesto in cui è stato svolto lo studio VITAL.

In particolare, per comprendere che gli obiettivi dello studio VITAL erano soprattutto legati a dimostrare che l’inappropriata assunzione di vitamina D e omega-3 è, per l’appunto, inappropriata.

È inoltre importante riconoscere il contesto dello studio VITAL per comprendere al meglio le caratteristiche della popolazione in studio. Nello studio VITAL sono stati arruolati soggetti di mezza età con alcune caratteristiche peculiari. La più importante è sicuramente l’elevata scolarità: l’arruolamento, infatti, è avvenuto tramite lettera inviata al domicilio del soggetto e comprendeva questionari complessi che necessitavano di un’adeguata conoscenza medica-scientifica. Questo presupposto, insieme all’invio di brochure informative su vitamina D e omega-3, ha portato all’arruolamento di una quota notevole di pazienti che già assumevano vitamina D prima dello studio (il 42,6% dei pazienti arruolati assumevano vitamina D fuori dallo studio). Questa quota di pazienti aveva, infatti, livelli medi di 25-idrossi-vitamina D [25(OH)D] di 34,9 ng/mL prima di entrare nello studio. Nel VITAL, inoltre, era consentito continuare l’assunzione di integratori di vitamina D fino a 800 UI al giorno. È inoltre sorprendente notare che i soggetti che non assumevano vitamina D all’inizio dello studio avevano livelli medi di 25(OH)D ematici di 27,4 ng/mL, più che adeguati al mantenimento della salute scheletrica.

In conclusione, il VITAL ha arruolato, in media, pazienti che mai avremmo trattato con dosi supplementari di vitamina D nella pratica clinica. Questa popolazione era inoltre a basso rischio di frattura già al baseline e solo 1 paziente su 10 presentava una storia di frattura da fragilità e solo 1 su 20 era trattato con farmaci per l’osteoporosi. La Tabella I mostra le caratteristiche basali della popolazione dello studio VITAL 8.

 

 

Risultati dello studio VITAL, primary endopoint e incidenza di fratture

I soggetti arruolati nello studio VITAL, dopo essere stati randomizzati, sono stati seguiti con dei questionari annuali per oltre 5 anni e numerosi outcome sono stati valutati annualmente e al termine dello studio.

Il primary endpoint (incidenza di fratture da fragilità nei due gruppi di randomizzazione) non è stato raggiunto; l’incidenza di fratture era sovrapponibile nei due gruppi.

Prima di entrare nel dettaglio dei risultati dello studio ancillare sulle fratture è importante stabilire il rate fratturativo osservato, cioè il numero di fratture a cui i pazienti sono andati incontro durante il follow-up. Questo ci consente, ancora una volta, di comprendere meglio le caratteristiche degli individui arruolati nello studio. Sono state osservate 865 fratture da fragilità (escludendo fratture patologiche, traumatiche, periprotesiche ecc.) durante un follow-up mediano di 5,3 anni, che corrisponde a un rischio di frattura del 3,3% a 5 anni e quindi, approssimativamente, a un rischio a 10 anni del 6,6%, ampiamente sotto la soglia di trattamento farmacologico per l’osteoporosi. Similmente è stata osservata una incidenza di fratture femorali a 10 anni dello 0,8%, ancora sotto la soglia per il trattamento, solitamente posta al 3%. È quindi evidente che la popolazione arruolata era a basso rischio di frattura già prima di entrare nello studio e lo è rimasta durante tutta la durata dell’analisi.

 

Safety della vitamina D

L’incidenza di ipercalcemia, calcolosi renale ed eventi avversi in generali era simile nei pazienti. Tuttavia, si è assistito a una riduzione degli eventi di sanguinamento gastrointestinale e di rash cutaneo nei pazienti trattati con vitamina D.

Il profilo di safety era quindi a favore del braccio in trattamento attivo con vitamina D.

 

Analisi nei sottogruppi e livelli di vitamina D

In un sottogruppo della popolazione dello studio sono stati analizzati i valori di 25(OH) D dopo 2 anni (oltre che al baseline). Come atteso, i livelli di 25(OH)D sono aumentati significativamente (dal punto di vista statistico ma non clinico) nel sottogruppo trattato con vitamina D (29,2 ng/mL ® 41,2 ng/mL), ma, in maniera non molto sorprendente, anche i pazienti nel braccio placebo hanno mantenuto adeguati livelli di vitamina D, raggiungendo al 2° anno valori di 29,4 ng/mL. Ancora una volta questo denota come i pazienti arruolati fossero in gran parte già in supplementazione e come questi l’avessero proseguita durante il follow-up. Sono state pertanto condotte numerose sub-analisi in base al livello basale di 25(OH)D, ma, anche in questo caso, non è stata trovata una riduzione (significativa) del rischio di frattura. Tuttavia, il dato laboratoristico era disponibile solo in una piccola porzione della coorte e, di questi, solo una minoranza aveva livelli di vitamina D insufficienti. Inoltre, nei 401 soggetti che avevano livelli di 25(OH)D sotto ai 12 ng/mL, l’incidenza di fratture è stata del 3,7% a 5 anni, estremamente simile all’intera coorte. Questo dato, all’apparenza controintuitivo, è però spiegabile con l’ammissione di terapia vitaminica fino a 800 UI/die extra-studio. Erano inoltre ammessi dosaggi di 25(OH)D extra studio secondo la pratica clinica corrente e non è escluso che i pazienti con livelli molto bassi avessero iniziato supplementazione con vitamina D causando un bias di fondamentale importanza (esclusione di pazienti dall’analisi o aumento dei livelli di vitamina D anche nel gruppo in placebo). Da notare, inoltre, che i livelli di PTH e di calcemia nella popolazione in studio erano normali e lo erano anche nel sottogruppo con ipovitaminosi D (la presenza di iperparatiroidismo di ogni natura era un criterio di esclusione). Questo implica che i pazienti carenti di vitamina D lo erano, con ogni probabilità, da poco tempo e/o che i meccanismi di compenso omeostatico dell’asse PTH/calcemia/25(OH)D non erano ancora instaurati o del tutto evidenti. Non è stata condotta un’analisi stratificata sulla base dei valori di 25(OH)D al termine dello studio.

Sono state condotte sub-analisi in sottogruppi a particolare rischio di frattura, come i pazienti con pregresse fratture o pazienti in trattamento con farmaci per l’osteoporosi. In questi sottogruppi (comunque minoritari) il rischio di frattura non era differente tra gruppo placebo e gruppo in vitamina D. Tuttavia, si è dimostrata un’incidenza di fratture numericamente inferiore nel gruppo in trattamento attivo (Tab. II). È interessante sottolineare che la numerosità di questi sottogruppi fosse insufficiente per provare una riduzione del rischio di frattura. Inoltre, l’incidenza di fratture era non particolarmente elevata. Nei pazienti con terapia per l’osteoporosi era dell’11,3% a 5 anni (circa 22% a 10 anni) e nei soggetti con pregresse fratture era dell’11,9% a 5 anni (circa 23-24% a 10 anni). Per confronto, nell’estensione a 10 anni dello studio FREEDOM (trial clinico con denosumab) l’incidenza cumulativa a 10 anni di tutte le fratture da fragilità dei pazienti trattati con denosumab era del 16,3% contro il 26% nel braccio in placebo “virtuale”, molto simile rispetto allo studio VITAL. È quindi difficile pensare che la vitamina D da sola possa avere un effetto anti-fratturativo evidente in così pochi pazienti a così basso rischio. Tuttavia, è sufficiente ipotizzare un raddoppio della numerosità della casistica (mantenendo uguali i tassi di incidenza fratturativa) in questi sottogruppi per raggiungere la significatività statistica a favore della vitamina D (Tab. II). È infatti noto che nei pazienti in trattamento con farmaci anti-osteoporotici sia ancora più fondamentale raggiungere e mantenere adeguati livelli di vitamina D (probabilmente oltre alla soglia di 20-30 ng/mL) per massimizzare l’effetto anti-fratturativo dei farmaci 5. Questo dato è ulteriormente confermato dall’evidenza, proveniente da un’ulteriore sub-analisi sempre nello studio VITAL, di una significativa riduzione del rischio di frattura da fragilità maggiore (MOF) nei pazienti in trattamento con farmaci anti-osteoporotici [HR 0,54 (95% IC 0,29-0,99)].

 

 

Conclusioni

Sebbene abbia dei limiti, il VITAL è uno studio di fondamentale importanza. Lo studio è stato condotto con rigore e su una popolazione molto ampia, seguita per un lungo periodo, e ci ha portato importanti conferme anche sui potenziali effetti extra-scheletrici della vitamina D. Tuttavia, nello studio ancillare sulle fratture da fragilità non si è assistito a una riduzione dell’incidenza di fratture nel gruppo trattato con vitamina D. Questo risultato era ampiamente prevedibile considerati gli importanti limiti dello studio e la popolazione a basso rischio arruolata. In pazienti selezionati, come ad esempio quelli affetti da osteoporosi, il trattamento con vitamina D è e rimane fondamentale per preservare la salute dello scheletro. Questa importante osservazione è stata peraltro ribadita anche dagli stessi autori dello studio VITAL, i quali suggeriscono di raggiungere e mantenere in tutti i pazienti con osteoporosi soglie di 25(OH)D ≥ 30 ng/mL 8.

In conclusione, l’effetto scheletrico della vitamina D parrebbe essere più evidente nei soggetti carenti di vitamina D a rischio di frattura o in condizioni di osteomalacia.

 

Bibliografia

  1. Adami S, Viapiana O, Gatti D, et al. Relationship between serum parathyroid hormone, vitamin D sufficiency, age, and calcium intake. Bone 2008;42:267- 270. https://doi.org/10.1016/j.bone.2007.10.003
  2. Laurent MR, Bravenboer N, Van Schoor NM, et al. Rickets and osteomalacia. In: Primer on the metabolic bone diseases and disorders of mineral metabolism. John Wiley & Sons, Ltd 2018, pp. 684-694. https://doi.org/10.1002/9781119266594.ch89
  3. LeBoff MS, Chou SH, Ratliff KA, et al. Supplemental vitamin D and incident fractures in midlife and older adults. N Engl J Med 2022;387:299-309. https://doi.org/10.1056/NEJMoa2202106
  4. Manson JE, Cook NR, Lee I-M, et al. Vitamin D supplements and prevention of cancer and cardiovascular disease. N Engl J Med 2019;380:33-44. https://doi.org/10.1056/NEJMoa1809944
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  7. Chandler PD, Chen WY, Ajala ON, et al. Effect of vitamin D3 supplements on development of advanced cancer: a secondary analysis of the VITAL Randomized Clinical Trial. JAMA Network Open 2020;3:e2025850. https://doi.org/10.1001/jamanetworkopen.2020.25850
  8. LeBoff MS, Greenspan SL, Insogna KL, et al. The clinician’s guide to prevention and treatment of osteoporosis. Osteoporos Int 2022;33:2049-2102. https://doi.org/10.1007/s00198-021-05900-y

 

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