Medicina di Famiglia e Specialistica
Malattie Cardiovascolari

SGLT2-inibitori nello scompenso cardiaco: dai trial clinici a una nuova prospettiva terapeutica

18 Gen 2023

Piercarlo Salari

Medico e divulgatore medico scientifico – Milano

 

 

Uno sviluppo aneddotico imprevisto, sulla linea di altri esempi storici della farmacologia, un’evoluzione annunciata o un “fraintendimento delle nostre conoscenze”, come recita il titolo dell’editoriale pubblicato sull’ultimo numero del Journal of the American College of Cardiology? Trovare una connotazione adeguata è forse ancora difficile, ma un’evidenza importante riguarda l’ingresso a pieno titolo degli SGLT2 inibitori (SGLT2-i o glifozine, canaglifozin, dapaglifozin ed empaglifozin), ipoglicemizzanti di più recente introduzione, nel trattamento dello scompenso cardiaco (SC), in aggiunta alla terapia standard ottimizzata. Se si esamina la letteratura scientifica si scopre che già sette anni fa era stato documentato il favorevole profilo di sicurezza nei pazienti diabetici con SC, una comorbilità frequente del diabete di tipo 2 che al tempo stesso rappresenta un’importante controindicazione all’impiego di alcune molecole.

 

Una realtà preoccupante

Lo scompenso cardiaco, più che come malattia, è definibile come una sindrome a genesi multifattoriale, frutto dell’interazione di variegate dinamiche fisiopatologiche che si traducono in una riduzione della frazione di eiezione (LVEF), associata a una proporzionale compromissione del quadro clinico e della qualità di vita. Lo scenario epidemiologico è allarmante: la prevalenza dello SC tra i 45 e i 75 anni è compresa tra 1,6 e 4,6 casi per 1000 nel sesso maschile e tra 0,9 e 2,2 casi in quello femminile, per un ammontare complessivo di circa 600mila individui affetti; circa l’1% degli uomini svilupperà uno scompenso cardiaco dopo i 75 anni e il 2% delle donne dopo gli 80 anni. Il 40% dei pazienti decede entro un anno dalla prima ospedalizzazione e la sopravvivenza ad oltre cinque anni dalla diagnosi è del 25% negli uomini e del 38% nelle donne. I dati del Ministero della Salute sottolineano che lo SC rappresenta la prima causa di ricovero negli ultrasessantacinquenni e che la prevalenza, pari a circa il 10% a 65 anni, raddoppia a ogni decade di età, a fronte dell’allungamento della vita media e del miglioramento del trattamento dell’infarto miocardico e delle malattie croniche ad esso predisponenti.

 

Verso la quadruplice terapia dello scompenso

Gli obiettivi del trattamento sono la riduzione della mortalità e delle (re)-ospedalizzazioni, che arrivano a interessare il 30% dei pazienti entro 60-90 giorni dalla loro dimissione. Il paziente con SC è spesso complesso a causa delle frequenti comorbilità (almeno una nel 74% dei casi), di cui è fondamentale tenere conto per un approccio mirato. Gli SGLT2-i si sono dimostrati efficaci nel ridurre l’endpoint composito di morte e ospedalizzazione per SC anche in assenza di diabete, acquisendo così il diritto di ingresso nell’armamentario terapeutico in aggiunta alle tre classi già validate dalle linee guida dell’European Society of Cardiology (ESH): ACE inibitori o sartani, β-bloccanti e antialdosteronici.

 

Il meccanismo d’azione degli SGLT2-i

Gli SGLT2-i inibiscono i co-trasportatori sodio-glucosio SGLT1, e soprattutto SGLT2, localizzati rispettivamente nell’intestino tenue e nel tubulo contorto prossimale; SGLT2, in particolare, è responsabile del riassorbimento del 90% del glucosio nel rene. Gli SGLT2-i, che già avevano dimostrato di contrastare la progressione della nefropatia diabetica verso il grado più avanzato di insufficienza renale, a livello cardiaco determinano una riduzione sia del pre-carico, a seguito di natriuresi e diuresi osmotica, sia del post-carico, attraverso la riduzione della pressione arteriosa – di circa 4 mmHg – secondaria alla riduzione della sodiemia e del volume circolante e all’inibizione del sistema simpatico. Tra gli studi di maggiore rilevanza meritano di essere citati l’EMPAREG-CV OUTCOME e CANVAS, condotti rispettivamente con empaglifozin e canaglifozin in pazienti diabetici e, in soggetti non diabetici, DAPA-HF e DELIVER, con dapaglifozin, ed EMPEROR-Preserved e Reduced, che hanno documentato l’efficacia di empaglifozin, in aggiunta alla terapia standard, nell’intero spettro di frazione di LVEF.

 

Diabete e scompenso: un rapporto bidirezionale

Diabete e SC sono strettamente intercorrelati: i pazienti con diabete sono infatti predisposti allo sviluppo della cardiomiopatia diabetica, caratterizzata da un’alterazione precoce della funzione diastolica, associata a ipertrofia e apoptosi dei cardiomiociti e fibrosi miocardica, mentre quelli con SC sono a maggior rischio di andare incontro a diabete mellito. Da qui l’importanza di uno stretto monitoraggio clinico delle due condizioni e il razionale, o meglio l’opportunità, di sfruttare gli effetti pleiotropici degli SLGT2-i.

 

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