Medicina di Famiglia e Specialistica
Malattie Cardiovascolari

Prevenzione dell’ipertensione: ruolo della dieta e dello stile di vita

14 Ott 2024
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Da AP&B Alimentazione Prevenzione e Benessere – Rivista a cura di NFI Nutrition Foundation of Italy

 

Responsabili di quasi 18 milioni di decessi ogni anno, le malattie cardiovascolari sono la principale causa di mortalità prematura dovuta alle cosiddette “malattie non trasmissibili” (NCD: non-communicable diseases) in tutto il mondo. Nonostante negli ultimi decenni il loro trend di incidenza sia decrescente (grazie, probabilmente, al migliore controllo dei loro fattori di rischio), l’onere in vite umane perdute a causa loro continua a superare quelle causate dal cancro, dalle malattie polmonari croniche e dal diabete.

È dunque ampiamente giustificata l’attenzione all’ipertensione, così come alla resistenza all’insulina, alle dislipidemie, ai fattori comportamentali, al consumo di tabacco, e alle diverse strategie potenzialmente utili per controllare adeguatamente tutti questi fattori.

Affrontiamo in particolare il tema dell’ipertensione con la Prof.ssa Maria Lorenza Muiesan, ordinario di Medicina Interna all’Università di Brescia e Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione (SIIA), tra gli autori che hanno partecipato allo studio APPROACH (Arterial blood PRessure, smOke, diAbetes, CHolesterol and their management in hypertensive outpatients referred to European Society of Hypertension (ESH) Excellence Centers in Italy – the APPROACH study).

 

Domanda: Che cosa si intende con il termine “ipertensione” e quanto è diffusa tra la popolazione questa condizione patologica?

Risposta: Il termine ipertensione corrisponde a una definizione sostanzialmente arbitraria, che si basa sull’associazione tra l’aumento dei valori di pressione arteriosa e la successiva comparsa di complicanze a carico di alcuni organi quali il cuore, il cervello e il rene, determinando in ultima istanza eventi clinici come le sindromi coronariche acute, lo scompenso cardiaco, l’ictus e l’insufficienza renale terminale. I valori soglia nella popolazione adulta necessari per definire la presenza di ipertensione arteriosa sono di 140 mmHg (millimetri di mercurio) per la pressione sistolica (massima) e di 90 mmHg per la pressione diastolica (minima). Per la popolazione pediatrica si fa invece riferimento a una serie di valori stabiliti in base alla distribuzione percentile della pressione in relazione con l’età. Negli adulti la prevalenza media dell’ipertensione è del 30%; è molto variabile, però, a seconda della fascia di età. Nei giovani è inferiore e si aggira intorno al 5-10%, per aumentare progressivamente a partire dai quaranta – cinquant’anni e arrivare all’80-90% nelle persone con più di ottant’anni. Esiste quindi un chiaro incremento legato in modo diretto all’aumento dell’età.

 

Esistono campanelli d’allarme, o sintomi specifici, che ne permettono la diagnosi precoce? A che età sarebbe opportuno iniziare a controllare i valori pressori in modo periodico (e con che frequenza)?

Purtroppo non esistono segnali dello stato ipertensivo, che quando è presente reca danno all’organismo in modo silente: è proprio per questo motivo che l’ipertensione viene ormai da tempo definita “il killer silenzioso”. Nella popolazione serpeggia l’idea che l’ipertensione possa essere causa di mal di testa. In realtà questo non è vero ed è più probabile che esista invece un nesso inverso. È il dolore, sia alla testa che ad altre parti del corpo, in altre parole, che può essere responsabile di un aumento della pressione arteriosa.
Chiarito questo concetto, bisognerebbe misurare i valori pressori fin dall’età pediatrica, recuperando la buona prassi che qualche decennio fa veniva svolta dai medici scolastici e proseguire periodicamente con i controlli nell’arco della vita.
Ciò è molto importante in quanto, purtroppo, la prevalenza di ipertensione in bambini e adolescenti è in aumento negli ultimi anni, parallelamente all’aumento dell’obesità. In età pediatrica, quindi, oggi è possibile riscontrare una vera e propria ipertensione essenziale e non più, come in passato, identificare prevalentemente casi di ipertensione secondaria derivanti da patologie renali o endocrinologiche.
Negli adulti, in presenza di valori nella norma, suggeriamo un controllo almeno ogni due anni. Se sono presenti familiarità, altri fattori di rischio o valori entro la soglia normale/alta del range (130/139 mmHg – 85/89 mmHg) si dovrebbe invece farlo ogni 6/12 mesi, perché questa popolazione ha una maggiore predisposizione a diventare ipertesa in un periodo di tempo più breve.

 

Come misurare correttamente la pressione

La pressione andrebbe misurata per tre volte consecutive, tenendo conto dei risultati omogenei e scartando un eventuale risultato eccessivo, spesso il primo, che può derivare da una iniziale reazione di allarme, che si può manifestare quando si è di fronte a un “camice bianco” (medico, farmacista…), ma anche, sorprendentemente durante l’automisurazione.

 

Ci sono accorgimenti particolari per misurare la pressione?

Oggi è possibile misurare la pressione a casa (automisurazione domiciliare) grazie alla disponibilità di misuratori automatici o semiautomatici a prezzo contenuto. È indispensabile sapere utilizzare queste apparecchiature correttamente, senza commettere errori per non rischiare di ottenere risultati falsati. La Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa ha reso disponibile dalla propria pagina web un vademecum molto completo consultabile da tutti (https://siia.it/per-il-pubblico/ipertensione/come-si-misura-la-pressione-arteriosa).
È importante, per esempio, rilevare i valori in condizioni normali alla mattina o alla sera prima di cena (non lungo la giornata durante le attività, né mentre si accusa un qualsiasi disturbo), mettendosi seduti comodamente e rilassati, con le gambe non incrociate, in un ambiente tranquillo, con temperatura confortevole da almeno cinque minuti e senza chiacchiere o altre distrazioni. Il braccio deve rimanere appoggiato su un tavolo con il bracciale all’altezza del cuore. Inoltre non si dovrebbe bere caffeina nell’ora precedente alla misurazione, né aver fumato da almeno un quarto d’ora.

 

Quali sono le principali conseguenze della pressione alta se non si interviene tempestivamente? Quali sono gli organi che ne risentono maggiormente?

Valori di pressione costantemente elevati possono comportare, inizialmente, danni a carico dei vasi arteriosi di calibro maggiore, come l’aorta, ma anche delle arterie molto piccole che compongono il microcircolo, come quelle del parenchima renale, della retina o presenti a livello cardiaco e cerebrale. Nel tempo possono svilupparsi danni a carico del ventricolo sinistro (es. ipertrofia), danni a livello renale con aumento dell’escrezione di albumina nelle urine e un peggioramento della filtrazione renale. A lungo andare il danno preclinico, clinicamente silente, conduce alla comparsa di eventi acuti come ictus, infarto del miocardio, scompenso cardiaco e insufficienza renale.
Nella prima fase, quando il danno non è ancora clinicamente evidente, l’impostazione di una terapia adeguata ed efficace può determinarne la regressione o evitare la progressione verso gli eventi acuti. La terapia antiipertensiva, che attualmente si basa su almeno 4 classi di farmaci principali (inibitori del sistema renina–angiotensina, calcio antagonisti, betabloccanti e diuretici) è anche indispensabile per evitare la comparsa di nuovi eventi in chi ne abbia già avuti.

 

Che ruolo hanno l’alimentazione e lo stile di vita nella prevenzione e nel controllo dell’ipertensione?

L’alimentazione e lo stile di vita hanno un ruolo importantissimo e devono essere sempre controllati con attenzione, indipendentemente dalla terapia farmacologica. Correggere lo stile di vita può determinare una riduzione dei valori pressori, riuscendo a riportarli entro un range di normalità in chi li abbia solo lievemente aumentati (pressione arteriosa normale-alta o ipertensione di grado 1, con rischio cardiovascolare basso) ed è quindi il primo passo da compiere; ma contribuisce anche a migliorare il controllo pressorio in chi stia già assumendo farmaci antiipertensivi. Ciò significa: smettere di fumare (evitando anche le cigarette elettroniche), combattere la sedentarietà praticando attività fisica e, per quanto riguarda la nutrizione, ridurre l’apporto calorico quando è eccessivo, cercando di perdere peso se si è sovrappeso o obesi, e scegliere alimenti senza esagerare con il contenuto di sale complessivo.

 

Esistono quantità di sale che possono essere considerate ”sicure”? Quali sono (se ci sono) gli alimenti da evitare?

Le quantità di cloruro di sodio considerate sicure sono 2 grammi al giorno, corrispondenti a 5 g di sale da cucina (che sono pari a un cucchiaino). Ricordo che il contenuto di sale è riportato nell’etichetta di moltissimi prodotti confezionati e sarebbe utile, quindi, dare uno sguardo per rendersi conto di quali privilegiare e quali evitare. Tra i più dannosi da questo punto di vista, per esempio, le patatine e tutti gli snack salati di cui i giovani vanno ghiotti e che hanno un effetto deleterio anche nelle popolazioni meno a rischio, promuovendo la patologia in giovane età, sia per il contenuto di sale sia per quello calorico. È noto che sono molto ricchi di sale anche gli insaccati, ma una fonte altrettanto importante di sale nell’alimentazione degli italiani, a cui forse non si presta abbastanza attenzione, è rappresentata dal pane, che viene consumato in quantità; spesso acquistato fresco in panetteria è quindi privo di etichetta con i valori nutrizionali e del sodio (con l’eccezione del pane toscano sciapo dell’Italia centrale)1. Infine non dimentichiamo di controllare il contenuto di sodio dell’acqua minerale in bottiglia, perché anche in questo caso ci sono forti differenze tra una fonte e l’altra.

 

Si sente spesso parlare del ruolo del potassio, che avrebbe un effetto opposto sulla pressione rispetto al sodio (e quindi al sale): che cosa ci può dire al proposito? E del sale iposodico?

Il rischio dell’utilizzo del sale iposodico è di compensare il minor potere salante con una maggiore quantità di prodotto, tornando a introdurre la stessa quantità di cloruro di sodio. Un vantaggio, invece, è che contiene una quota di potassio, sostanza a cui sono state attribuite proprietà benefiche nell’abbassamento dei valori pressori grazie a osservazioni provenienti da studi clinici specifici. Il meccanismo attraverso cui il potassio riesce ad abbassare la pressione arteriosa è indipendente da quanto sodio viene assunto, e sembra essere attribuibile a un effetto vasodilatatorio diretto. In ogni caso è utile aumentare il consumo di alimenti che ne sono particolarmente ricchi, dato che in Italia l’assunzione da parte della popolazione risulta essere spesso insufficiente1. Il più noto è forse la banana ma, in realtà, ne contengono quantità molto maggiori i fagioli cannellini (contenuto di potassio doppio delle banane), gli spinaci e l’avocado. Attenzione invece a intervenire tramite integratori, specie in corso di terapie antipertensive che potrebbero in sé fare aumentare i livelli di potassio nell’organismo (es. ACE-inibitori, antagonisti dell’angiotensina II, diuretici risparmiatori di potassio…). Non bisogna correre il rischio di esagerare e cadere nell’eccesso (iperpotassiemia). Il quantitativo consigliato di potassio da assumere al giorno è 3,5 grammi, al massimo 5.

 

Che consigli può dare ai nostri lettori circa il consumo di caffè e di tè? Il primo, soprattutto, rappresenta un’abitudine molto consolidata nella popolazione italiana che forse, a volte, eccede nelle quantità. In questo caso, ci possono essere conseguenze per chi tende ad avere la pressione alta?

Queste due bevande contengono metil-xantine (es. caffeina), sostanze con azione simpaticomimetica che tendono a dare nelle prime ore dall’assunzione un incremento dei valori di pressione2. In realtà si è scoperto che nel lungo termine il loro consumo a dosi moderate non è rilevante sotto questo profilo. Ci sono molti studi epidemiologici, anche italiani, in cui si è osservato che bere tre caffè al giorno non si associa a un aumento di pressione arteriosa né allo sviluppo nel tempo di ipertensione3,4, anche se i pazienti sono stati osservati nell’arco di lunghi periodi di tempo (es. 10 anni). Tra l’altro aumentare l’assunzione di caffè induce un effetto diuretico e potrebbe contribuire ad abbassare la pressione attraverso una sorta di meccanismo di autoregolazione.

 

Ha altri consigli da dare riguardo a bevande di largo consumo?

Sì. Raccomando di evitare le bevande gassate dolcificate con fruttosio, molto consumate dai giovani, poiché causano un aumento dell’acido urico che è associato a un innalzamento della pressione arteriosa. La presenza di fruttosio è verificabile in etichetta nella lista degli ingredienti. Inoltre ci tengo a ricordare che l’alcol è ben più dannoso per la pressione del caffè e andrebbe accuratamente evitato se si vuole mantenere un comportamento di prevenzione. Una recente metanalisi5 analizza la variazione del rischio di sviluppare ipertensione in relazione alla dose accettata come “normale” di assunzione di alcol, pari a 12 grammi al giorno (1 bicchiere di vino, una lattina di birra, una piccola dose di superalcolico). È emerso che con la completa astensione dall’alcol (es. astemi) il rischio di diventare ipertesi si riduce dell’11%. Aumentando il consumo a 24, 36 e 48 grammi (2, 3, 4 volte oltre la soglia consentita) il rischio aumenta progressivamente fino al 33% (per 48 grammi).

 

Quando è necessario ricorrere all’intervento farmacologico? In questi casi, è comunque opportuno continuare ad agire su stile di vita e alimentazione?

La decisione di intraprendere una terapia farmacologica compete in prima battuta al medico di medicina generale e in seguito, o nei casi più complessi, allo specialista dell’ipertensione. In Italia esistono oltre 120 centri specializzati nella diagnosi e terapia individuabili su Internet anche attraverso il sito SIIA (https://siia.it/centri-e-ambulatori). La terapia viene impostata tenendo conto non soltanto dei livelli di pressione arteriosa rilevati e del corrispondente grado di ipertensione (I, II, III: il più grave, corrisponde a valori superiori a 180/110 mmHg), ma anche della presenza di una serie di fattori di rischio cardiovascolare molto più ampia rispetto al passato. Non solo quindi i più noti (come, per esempio, colesterolo LDL, sovrappeso e obesità, circonferenza addominale elevata, familiarità, diabete, fumo) ma anche malattie autoimmuni (a causa dello stato infiammatorio cronico associato), presenza di danno d’organo evidenziabile con esami strumentali, iperuricemia, stati depressivi, stato socioeconomico svantaggiato (e quindi, per esempio, stile di vita peggiore, minore accesso alle cure), ipertensione in gravidanza. Gli elementi da considerare sono davvero numerosi6,7. In ogni caso anche chi assume uno o più farmaci per combattere l’ipertensione deve comunque mettere in atto contemporaneamente le correzioni dello stile di vita di cui abbiamo parlato.

 

Ha un messaggio conclusivo a cui tiene particolarmente che desidera rivolgere ai lettori di AP&B?

Sì. Il messaggio più importante è quello di misurare i valori di pressione arteriosa con attenzione e cura, seguendo le istruzioni, per poi tenerli sotto controllo con uno o più dei metodi a disposizione che abbiamo descritto, sia farmacologici che non6,7. Questo è anche il messaggio caratterizzante della Campagna internazionale dell’ipertensione arteriosa che ogni anno viene rilanciato. Mantenere la pressione arteriosa nella norma consente di vivere più a lungo e in condizioni di salute migliori.

 

Bibliografia

  1. Galletti F, Agabiti-Rosei E, Bernini G, et al.; MINISAL-GIRCSI Program Study Group. Excess dietary sodium and inadequate potassium intake by hypertensive patients in Italy: results of the MINISAL-SIIA study program. J Hypertens 2014;32:48-56.
  2. Palatini P, Fania C, Mos L, et al. Coffee consumption and risk of cardiovascular events in hypertensive patients. Results from the HARVEST. Int J Cardiol 2016;212:131-7.
  3. Cicero AFG, Fogacci F, D’Addato S, et al., On Behalf Of The Brisighella Heart Study. Self-Reported Coffee Consumption and Central and Peripheral Blood Pressure in the Cohort of the Brisighella Heart Study. Nutrients 2023;15:312.
  4. Trevano FQ, Vela-Bernal S, Facchetti R, et al. Habitual coffee consumption and office, home, and ambulatory blood pressure: results of a 10-year prospective study. J Hypertens 2024;42:1094-1100.
  5. Cecchini M, Filippini T, Whelton PK, et al. Alcohol Intake and Risk of Hypertension: A Systematic Review and Dose-Response Meta-Analysis of Nonexperimental Cohort Studies. Hypertension 2024;81:1701-15.
  6. Charchar FJ, Prestes PR, Mills C et al. Lifestyle management of hypertension: International Society of Hypertension position paper endorsed by the World Hypertension League and European Society of Hypertension. J Hypertens 2024;42:23-49.
  7. Kreutz R, Brunström M, Burnier M, et al. European Society of Hypertension clinical practice guidelines for the management of arterial hypertension. Eur J Intern Med 2024:S0953-6205(24)00238-3.

 

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