Medicina di Famiglia e Specialistica
Salute e sanità

Moderata e costante: ecco l’attività fisica che contribuisce a mantenere in salute il nostro microbiota

13 Mag 2022

Da AP&B Alimentazione Prevenzione e Benessere – Rivista a cura di NFI Nutrition Foundation of Italy

 

di Fabio Fioravanti

 

Esiste una correlazione tra l’attività fisica e la composizione del microbiota intestinale? Sembrerebbe di sì, anche se con modalità che dipendono dall’intensità dell’esercizio, e che sarebbero più favorevoli per l’esercizio moderato che per quello ad alta intensità. L’attività fisica, se ben calibrata, affiancherebbe le abitudini alimentari corrette nel contribuire a portare il microbiota verso una configurazione protettiva contro le più comuni malattie che si riscontrano nella popolazione.
Questi temi sono stati affrontati in una recente review (*) pubblicata su Journal of the International Society of Sports Nutrition; il gruppo di esperti che ha firmato la sintesi comprende ricercatori americani, neozelandesi, canadesi, britannici, nonché il dottor Marco Pane, microbiologo, che dirige la Ricerca e Sviluppo di Probiotical, Novara, che risponde alle nostre domande.

 

DOMANDA: Si parla sempre più di microbiota, e dei suoi effetti sulla salute: ma sappiamo qual è il profilo del microbiota che si potrebbe definire “sano”?

RISPOSTA: Definire quando il microbiota intestinale di un individuo in condizioni normo-fisiologiche, come potrebbe essere un atleta, può essere classificato come “sano” non è semplice. Mancano ancora parametri di riferimento condivisi. In pratica, si tratta di identificare e validare dei marcatori di salute del microbiota che siano utili e rappresentativi.

 

D.: Quali potrebbero essere, per esempio?

R.: Per esempio, quelli che rilevano gli indici di biodiversità a livello intestinale. Anche nel caso del microbiota sembra infatti, così come per tutti gli ecosistemi naturali conosciuti, che una maggiore biodiversità correli con una maggiore resistenza e una maggiore capacità di adattamento a fronte di eventi stressanti acuti o cronici. Un esempio è la capacità del microbiota intestinale di ritornare all’equilibrio dopo un trattamento antibiotico (che solitamente abbatte gli indici di biodiversità).
Dalle prime indagini disponibili sembrerebbe che la biodiversità intestinale correli positivamente con l’esercizio fisico e negativamente con uno stile di vita sedentario.
Uno stile di vita attivo o sedentario, d’altra parte, comprende un gran numero di variabili, che non permette facili riflessioni di natura riduzionista. Per esempio, l’osservazione che gli atleti professionisti di rugby presentano una biodiversità del microbiota intestinale più elevata rispetto ad un gruppo controllo sano è dovuta alla loro maggiore attività sportiva oppure alle importanti differenze presenti tra la loro dieta e quella dei soggetti di controllo? La risposta sta probabilmente nel mezzo.
È interessante constatare che gli atleti coinvolti nello studio presentano un incremento di specifici pathway metabolici, come quelli della sintesi batterica di acidi grassi a corta catena (acetato, propionato e butirrato), ampiamente descritti in letteratura per gli effetti positivi che sembrano svolgere (come un migliore turn-over muscolare).
È d’altra parte importante precisare che nemmeno gli indici di biodiversità sono pienamente in grado di caratterizzare sistemi così complessi. Probabilmente uno strumento ancora più potente è la valutazione dei pathway metabolici funzionali del microbiota nello sportivo, affiancando quindi agli studi di metagenomica (che valutano chi cambia in termini tassonomici) quelli di metabolomica (cosa cambia in termini metabolici).

D.: Una persona che pratica attività sportiva si può considerare a minor rischio di incorrere nelle malattie più diffuse nella nostra società?

R.: È molto interessante notare che il rischio di infezioni delle vie respiratorie, o certi sintomi gastrointestinali, seguono un andamento da curva a “J” in funzione del livello dell’attività sportiva. In sintesi, soggetti sedentari presentano rischi maggiori rispetto a soggetti che praticano attività fisica moderata: ma, sorprendentemente, gli allenamenti ad alta intensità, tipici degli sportivi professionisti, sembrano associarsi invece a un rischio più elevato, rispetto a quello rilevato sia per il soggetto con attività moderata ma anche per il soggetto sedentario.

 

D.: Come si spiegano queste osservazioni?

R.: Un’ipotesi è che lo stress causato dall’allenamento ad alta intensità porti ad una alterazione di alcuni “elementi di raccordo” tra il microbiota e il tratto digerente, soprattutto in termini di permeabilità intestinale e di conseguente infiammazione sistemica.
È affascinante notare che durante l’esercizio fisico si verificano delle alterazioni fisiologiche del tratto gastrointesitnale, soprattutto in termini di riduzione del volume di sangue in ambito viscerale (ipoperfusione splancnica) e conseguente aumento del volume di sangue a livello toracico.
Questo fenomeno è associato a un aumento del danno epiteliale intestinale e a un incremento dei marcatori dell’infiammazione plasmatici (MPO e calprotectina) e dei Lipopolisaccaridi (LPS), che rappresentano una componente di membrana cellulare esterna dei batteri Gram-negativi con attività sistemica infiammatoria. E poiché gli LPS sono esclusivamente di origine batterica, si deve concludere che, se l’esercizio fisico intenso porta a un aumento di queste sostanze nel circolo sistemico, vuol dire che il microbiota intestinale concorre indirettamente alle alterazioni della permeabilità intestinale, e quindi a una condizione di endotossinemia, con conseguente vulnerabilità sistemica.
Questo complesso di fenomeni potrebbe spiegare il maggior grado di infiammazione cronica che si osserva in chi pratica sport ad elevata intensità (e magari anche la maggiore frequenza di episodi di diarrea, di disturbi gastrointestinali o il maggiore uso di antibiotici rispetto alle persone che svolgono un’attività fisica più moderata).

 

D.: Con l’infiammazione può coesistere anche uno stato di depressione immunitaria?

R.: Sembrerebbe di sì. Fenomeni di immunodepressione possono rilevarsi tra gli atleti soggetti ad allenamento intenso, stress psicologico e sonno alterato, con un conseguente incremento delle infezioni delle vie respiratorie. È interessante notare che circa il 70% del sistema immunitario è localizzato a livello gastro-intestinale (GALT, o tessuto linfoide associato all’intestino) e che pertanto, come le prime evidenze sembrano confermare, un microbiota sano possa concorrere a una risposta immune adeguata e quindi a un decremento dei fattori di rischio delle infezioni delle vie respiratorie.

 

D.: Un consiglio al riguardo?

R.: Il consiglio è di non estremizzare l’attività fisica, ma di praticarla in modo moderato. Come quasi sempre, il veleno è nella dose.
L’attività fisica di natura aerobica, inoltre, è tendenzialmente preferibile rispetto all’anaerobica ad elevata intensità o lunga durata. Specie se fatta all’aria aperta o in contesti naturali: meglio andare in un parco, piuttosto che in casa o in palestra, perché ci esponiamo ad una carica microbica naturale, ricca e varia, che concorre al mantenimento della biodiversità del nostro microbiota.

 

D.: Fino a che punto la nutrizione può avere un ruolo nel regolare il microbiota di chi pratica attività sportiva?

R.: Svolge sicuramente un ruolo estremamente rilevante, e non solo per l’atleta, ma anche per la popolazione generale. Certamente, confrontare l’assetto del microbiota di chi svolge attività sportiva con quello di una persona sana, ma fisicamente meno attiva, deve prendere in considerazione numerose variabili, anche di natura alimentare.
Una cosa è certa: i programmi nutrizionali degli sportivi seguono indicazioni primariamente funzionali alla performance, ma non necessariamente benefici per il microbiota intestinale.

 

D.: Quali sono le principali caratteristiche dell’alimentazione tipica di chi pratica attività sportiva?

R.: Le linee guida per queste persone suggeriscono generalmente un maggior apporto di carboidrati semplici, per mantenere adeguati livelli di glucosio nel sangue anche durante lo sforzo e massimizzare le riserve di glicogeno; un alto livello di proteine animali e, aspetto degno di riflessione e studio, una riduzione delle fibre fermentescibili (al fine di facilitare lo svuotamento gastrico e ridurre il discomfort intestinale), che tuttavia rappresentano il nutrimento elettivo del nostro microbiota.

 

D.: In questo contesto, l’integrazione probiotica può avere un ruolo specifico nelle persone che svolgono un’intensa attività sportiva?

R.: Si stanno accumulando evidenze sul contributo dell’integrazione probiotica contribuisca al miglioramento della performance atletica, o perlomeno alla riduzione di alcuni effetti collaterali dell’allenamento intenso.
Un microrganismo probiotico può infatti manifestare una ricca gamma di possibili effetti favorevoli per l’organismo, per esempio, incrementando l’assorbimento di alcuni specifici nutrienti, quali alcuni amminoacidi, o stimolando la produzione endogena di acidi grassi a corta catena.
Oppure, ancora, contribuendo a mantenere un sistema immunitario più sano e reattivo, così come a contrastare attivamente alcuni potenziali patogeni con cui lo sportivo può venire in contatto o ai quali è particolarmente vulnerabile. Non da ultimo, a offrire un efficace affiancamento all’uso di antibiotici favorendo quindi il ripristino di una flora intestinale equilibrata.
È tuttavia importante segnalare che per gli integratori probiotici ammessi al commercio dovrebbe essere sempre reperibile una solida bibliografia scientifica e clinica, che rappresenta l’ossatura dell’impiego razionale del prodotto. Io spero sempre che la scelta tra i vari probiotici disponibili sul mercato sia dettata da queste informazioni, e non dalla confezione più attraente o dalla pubblicità più accattivante.

 

D.: La ricerca sta individuando nuovi microrganismi che potrebbero essere specificamente utili al riguardo?

R.: Sì, certamente. La ricerca sta procedendo in due macro-aree: da un lato è importante cercare di capire quali sono i regimi dietetici e di stile di vita che garantiscono non solo un miglioramento in termini di prestazioni, miglior recupero muscolare o minor rischio di malattia, ma anche una maggior tutela del microbiota: che lo mantenga in altre parole “sano”. Il passaggio, insomma, da un approccio riduzionista dieta-individuo a uno più complesso quale dieta-microbiota-individuo, di cui il microbiota stesso è una inevitabile e sostanziale interfaccia.
Il secondo approccio studia quali microrganismi probiotici possano migliorare direttamente i parametri che più sono interessanti per coloro che svolgono attività sportiva. Per esempio, la riduzione di alcuni marker dell’infiammazione o in maggiore assorbimento di nutrienti, o ancora una chiara riduzione di frequenza, intensità e durata delle infezioni delle vie respiratorie.

 

D.: L’esposizione ai batteri ambientali, anche attraverso l’alimentazione, sembra decisiva al riguardo. Può approfondire questo tema?

R.: Attualmente, siamo sempre meno esposti nei nostri ambienti di vita a una naturale carica batterica, virale o parassitica. A partire dalla prima infanzia: in passato le famiglie erano allargate, c’erano molti animali domestici, i bambini giocavano per terra, ora molto meno. L’igiene era mantenuta: ma non in modo maniacale. L’alimentazione era generalmente più ricca in fibre e comprendeva molti alimenti o preparazioni fermentate, quindi ricche di microrganismi.
Oggi, per contro, molti alimenti sono additivati con conservanti e preservanti che, per definizione, possiedono un’azione batteriostatica o battericida. Un discorso simile riguarda le modalità del parto, che esponevano il bambino alla flora vaginale e fecale: cosa che non si verifica quando il parto avviene con modalità cesarea. Anche per quanto riguarda l’alimentazione del neonato, resta preferibile l’allattamento al seno, se possibilmente per due-tre anni, per ottimizzare l’assetto del microbiota.
I comportamenti a questo livello, in altre parole, sono drasticamente cambiati e, se da un lato rileviamo che queste modificazioni hanno determinato il crollo delle tossinfezioni alimentari (che erano una frequente causa di malattia o di morte dei bambini, fino a meno di un secolo fa), osserviamo dall’altro l’impennata delle malattie a carico del sistema immunitario, di tipo ipo- o iper-reattivo e al conseguente incremento delle diagnosi di allergie, di malattie su base auto-immunitaria, eccetera.

 

D.: A parte l’integrazione probiotica, quali tipi di alimenti si potrebbero consigliare, a chi svolga un’attività fisica intensa, ma anche a chi sia meno attivo, per mantenere il microbiota in salute?

R.: La scelta più importante è probabilmente un semplice yogurt bianco al giorno, naturale e non dolcificato, con i suoi fermenti lattici. È uno dei pochi prodotti reperibili sul mercato che contiene al suo interno microrganismi vitali, derivati dalla fermentazione.
Anche molte persone intolleranti al lattosio possono consumare lo yogurt senza problemi, proprio perché i microrganismi che trasformano il latte in yogurt lo utilizzano per potersi sviluppare.
Una dieta ricca in fibre contribuisce poi certamente al mantenimento di un microbiota sano: bisogna tuttavia considerare la possibilità di avere qualche leggero disturbo gastrointestinale, come gonfiore e flatulenza. Il consiglio di un buon nutrizionista può probabilmente aiutare a selezionare una dieta che possa rivelarsi benefica tanto per il microbiota intestinale che per il suo ospite.

 

Alcune regole da ricordare quando si acquista un probiotico

Fondamentale – come ricorda Marco Pane – sarebbe la disponibilità di una chiara comunicazione scientifica, in un settore che non è ancora pienamente regolamentato (anche se in Italia le disposizioni ministeriali sono molto chiare). Ecco alcune informazioni utili per individuare prodotti di qualità:
1. Una chiara indicazione dei microrganismi presenti nel prodotto, non un termine come “fermenti lattici”, o nomi generici: non danno garanzia di provenienza, né tantomeno è possibile ricondurli ad una letteratura di riferimento;
2. La chiara indicazione del numero di cellule vitali presenti nel prodotto, con la garanzia del mantenimento del titolo fino alla scadenza;
3. Ovviamente un razionale tecnico-scientifico, o la possibilità di rintracciarlo.

*Mohr AE, Jäger R, Carpenter KC, et al. The athletic gut microbiota. J Int Soc Sports Nutr. 2020; 17:24- 33.

 

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