Medicina di Famiglia e Specialistica
Ginecologia

La vulvodinia, dalla diagnosi alla gestione: le potenzialità di un nutraceutico

14 Ott 2024

Piercarlo Salari

Medico e divulgatore medico scientifico – Milano

Sottostimata, multifattoriale e invalidante: sono forse queste le principali prerogative che caratterizzano la vulvodinia, una condizione o, come è stata ribattezzata dalle linee guida sul dolore pelvico cronico dell’European Association of Urology (EAU), sindrome del dolore vulvare. Si tratta, infatti, di una sindrome neuropatica associata a dolore vulvare cronico e, di conseguenza, a importanti implicazioni sulla sfera umorale (depressione, calo dell’autostima), relazionale e lavorativa, sulla sessualità e sulla qualità di vita.

La sua prevalenza nel corso dell’età fertile risulta compresa tra il 10 e il 18%, ma nella letteratura scientifica sono riportate stime anche fino al 28%. L’ampiezza di questa variabilità rispecchia l’eterogeneità delle manifestazioni, che possono variare da un fastidio sopportabile e temporaneo a un bruciore o dolore lancinante, scatenato dal semplice contatto con la biancheria intima, protratto per diversi mesi e talvolta associato a un’irradiazione alla regione lombo-sacrale. Questa complessa e proteiforme sintomatologia può ostacolare la diagnosi, che in molte donne viene posta con un ritardo di anni (e in quasi un terzo dei casi omessa) e che, una volta formulata, può diventare a sua volta responsabile di ulteriore frustrazione. Va tra l’altro sottolineato che fino a pochi anni fa era diffusa una concezione erronea secondo cui la vulvodinia era considerata non una malattia, bensì una forma psicosomatica, generalmente correlata a stati di ansia e grossolanamente “liquidata” come disturbo immaginario: per questo motivo le donne, nel timore di restare inascoltate e soprattutto incomprese, erano restie a parlare con il ginecologo dei propri sintomi. Lo scenario è oggi radicalmente cambiato a fronte della maggiore sensibilità e attenzione nei confronti della patologia e del progresso nell’ambito clinico-diagnostico, tra cui va segnalata la recentissima introduzione di un test genetico predittivo.

Eziopatogenesi, fisiopatologia e clinica

Il sottotipo più comune di vulvodinia (80% dei casi) è la “vestibolodinia provocata”, nella quale il dolore si localizza al vestibolo vulvare ed è scatenato dal contatto o da un episodio di penetrazione vaginale, come ad esempio un rapporto sessuale o l’utilizzo di assorbenti. Nelle forme più severe l’interessamento si estende, invece, all’intero distretto vulvare. La patogenesi è articolata (Figura) e chiama in causa numerosi fattori eziologici, tra cui in particolare: candidosi ricorrente, infezioni vulvovaginali, iperattività mastocitaria, alterazioni ormonali (ipoestrogenismo), processi infiammatori e immunoallergici, polimorfismi genetici e vulnerabilità psicogena.

Dall’interazione di tali fattori scaturisce una fenomenologia neuroinfiammatoria che, a seguito della sensibilizzazione delle fibre nervose vestibolari, si consolida in un quadro di infiammazione cronica persistente, nel quale la vulvodinia tende a insorgere indipendentemente dai rapporti sessuali o da altri fattori scatenanti. Essa può essere esacerbata da una semplice pressione sull’area vulvare e si accompagna a delle gravose ripercussioni sul benessere psicofisico e sulla sfera intima. Il più delle volte, inoltre, a questa complessa dinamica patogenetica si associano una disfunzione e ipertonia della muscolatura del pavimento pelvico: la contrazione involontaria della muscolatura innesca così un circolo vizioso che amplifica la percezione del disagio e che può arrivare a compromettere la motilità intestinale.

La diagnosi di vulvodinia presuppone naturalmente l’esclusione delle altre possibili cause di dolore vulvare, di natura infettiva (cistite, infezioni urinarie croniche o recidivanti, colonizzazione vaginale da parte di microrganismi quali Candida, Gardnerella o Escherichia coli), dermo-infiammatoria (lichen in primis), neoplastica (per esempio carcinoma squamocellulare della vulva), neurologica (per esempio compressione o danni del nervo pudendo, sclerosi multipla, nevralgia post-erpetica) o funzionale (vaginismo). Altrettanto importante è la ricerca di fattori in grado di accentuare o di mantenere le manifestazioni della vulvodinia, a partire dai detergenti impiegati per l’igiene intima e dallo stile di vita.

Strategie e criticità gestionali

Alla luce degli elementi sopra illustrati, l’orientamento attuale considera la vulvodinia non un’entità nosologica singola e ben distinta, quanto piuttosto una costellazione di molteplici condizioni patologiche, risultato dell’effetto sommatorio di vari trigger, ciascuno dei quali caratterizzato da un ruolo e da una predominanza differenti nella singola paziente. Per questa ragione, allo stato attuale, non esiste una linea di trattamento standardizzata e universalmente condivisa, ma piuttosto si profila la necessità di un approccio personalizzato, multidisciplinare – con il coinvolgimento di più professionisti, tra cui ginecologi, sessuologi, gastroenterologi, fisiatri, neurologi e psicoterapeuti – e multimodale, nonché di fare riferimento a documenti ufficiali, come le già citate linee guida EAU sul dolore pelvico cronico.

A seconda dei casi, pertanto, in aggiunta a delle indicazioni comportamentali personalizzate, può essere contemplato il ricorso a infiltrazioni di anestetici locali, antinfiammatori, antimicotici, miorilassanti, modulatori del dolore neuropatico (antidepressivi triciclici) e/o sedute di riabilitazione del pavimento pelvico mirate a ridurre l’ipertono della muscolatura perivaginale.

Da qui l’elevato interesse per delle strategie in grado di alleviare la sintomatologia, di consentire un impiego protratto ed evitare in fase acuta un impiego esagerato di antispastici e di antidolorifici, che possono comportare degli effetti indesiderati e registrare, nel corso del tempo, un calo di efficacia.

Alleanze virtuose racchiuse in un nutraceutico

Tra i preparati disponibili è da segnalare un’associazione costituita da Cernilton (Graminex G63), un estratto di polline titolato e purificato da allergeni, Quercetina, Bromelina, Malva e Valeriana, formulata in compresse a rilascio modificato e caratterizzata da una duplice azione, sul dolore e sul benessere intestinale.

Per meglio evidenziare la complementarità e la sinergia dei suoi componenti, è opportuno un rapido richiamo alle loro peculiarità:

Cernilton, la cui efficacia analgesica è riconosciuta dalle citate linee guida EAU, ha dimostrato di ridurre la comparsa del dolore e dei crampi al basso ventre, migliorando la qualità di vita delle pazienti con dolore pelvico cronico;

Quercetina, bioflavonoide polifenolico dotato di proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, anch’esso accreditato dalle linee guida EAU, esplica un’ampia e documentata modulazione nei confronti del rilascio di citochine e leucotrieni che giustifica il suo intervento sul dolore, con particolare riguardo all’iperalgesia e all’allodinia;

Bromelina, caratterizzata da un variegato spettro di attività, tra cui, in questo ambito, sono particolarmente apprezzate quella antiedemigena e quella antinfiammatoria, oltre alla sua efficacia come antidolorifico e neuroprotettore, soprattutto a livello del nervo sciatico;

Malva e Valeriana, tra le varie azioni note, agiscono rispettivamente sull’intestino, promuovendone la regolarizzazione della motilità, e sui circuiti dell’ansia e della paura, che contribuiscono alle alterazioni dell’assetto umorale e all’amplificazione del dolore nell’area pelvica o perineale.

Appare quindi evidente il razionale formulativo di questo nutraceutico, concepito con una duplice finalità: da un lato contrastare i meccanismi fisiopatologici della vulvodinia (con particolare riferimento all’infiammazione, ai processi nocicettivi, alla congestione vascolare a livello pelvico e allo spasmo muscolare) e dall’altro mitigare una sintomatologia che, come già accennato, è accompagnata da delle gravose ripercussioni sull’equilibrio psicofisico della paziente.

Osservazioni conclusive

A dispetto del suo rilevante impatto epidemiologico e delle sue conseguenze sulla sessualità e sulla qualità di vita generale delle pazienti, va ricordato che la vulvodinia non è stata inclusa nei livelli essenziali di assistenza, il che si riflette in una scarsa attenzione sotto il profilo sia culturale sia sociosanitario e impone odierno lo sforzo per un riconoscimento clinico il più possibile precoce, presupposto irrinunciabile per una terapia altrettanto tempestiva che, tuttavia, come poc’anzi accennato, è tutt’altro che priva di difficoltà.

In questo scenario, nel quale la vulvodinia si delinea agli occhi del medico come una sfida su più fronti, si può affermare che il nutraceutico su descritto possieda tutti i requisiti per una gestione della vulvodinia cronica e al tempo stesso mirata ai suoi risvolti proteiformi, dalla neuroflogosi al benessere mentale, dal dolore addominale e pelvico ai disturbi gastrointestinali.

Riferimenti bibliografici

 

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