Medicina di Famiglia e Specialistica
Metabolismo

La vitamina D nelle malattie autoimmuni

7 Lug 2022

da Vitamin D UpDates

Davide Gatti, Francesca Pistillo, Giulia Bonasera, Giulia Zanetti, Valeria Messina

UOC Reumatologia, Università di Verona

 

Introduzione

Che la vitamina D non possa essere considerata solo come una semplice vitamina correlata con il metabolismo osseo è ormai un dato assodato.

Chiunque sa bene che l’esposizione alla luce solare migliora lo stato di benessere e la spiegazione non può ridursi solo alla produzione di endorfine da parte dei cheratinociti esposti alla radiazione UV 1.

Le evidenze storiche sull’efficacia dell’elioterapia sono numerose a partire dal premio Nobel di cui, addirittura nel lontano 1903, Niels Ryberg Finsen è stato insignito proprio per aver dimostrato la straordinaria e rapida efficacia terapeutica sulle lesioni cutanee tubercolari (lupus vulgaris) dell’esposizione alla luce solare 2. La vitamina D va quindi ben oltre al solo metabolismo osseo e lo conferma anche l’osservazione che il recettore per la vitamina D (VDR) è sostanzialmente quasi ubiquitario nel nostro organismo ed è ben rappresentato in particolare soprattutto nei tessuti extrascheletrici 3. Inoltre, tale recettore è stato riscontrato anche nei lieviti e in animali del tutto privi di apparato scheletrico e dentario quali le lamprede 4. Tra le azioni extrascheletriche della vitamina D questa review si concentrerà su quella relativa alla modulazione della risposta immunitaria. Il VDR viene espresso da molte cellule del sistema immunitario (sia innato che adattativo), molte delle quali (in particolare macrofagi e cellule dendritiche) peraltro possiedono l’intero corredo enzimatico necessario per trasformare la vitamina D nella sua forma attiva che andrà così ad agire sulla stessa cellula (attività autocrina) o sulle cellule vicine (attività paracrina) 5.

 

Vitamina D e cellule immunitarie

L’effetto della vitamina D sulle cellule immunitarie è stato molto studiato in questi anni ed è stato riassunto nella Tabella I. I monociti/macrofagi giocano un ruolo chiave per la protezione delle infezioni producendo citochine pro-infiammatorie. Il legame di componenti patogeni (batterici, virali o micotici) con i recettori toll-like espressi sulla superficie di monociti e macrofagi induce la sovra-espressione del VDR e del citocromo CYP27B1 che è indispensabile per l’attivazione della vitamina D all’interno della cellula. Il legame della vitamina D attivata [1,25(OH)2D] con VDR a livello intracellulare forma un eterodimero che legandosi al DNA induce la produzione di catelicidina e b-defensine. Questi peptidi antibatterici una volta liberati a livello extracellulare agiscono distruggendo direttamente le membrane cellulari di batteri e virus o attivando altri meccanismi di difesa innata, quali ad esempio l’autofagia 6.

Le cellule dendritiche agiscono da cellule presentatrici dell’antigene alle cellule T, innescando così la risposta immunitaria adattativa.

In presenza della forma attiva della vitamina D si realizza una downregolazione del Sistema Maggiore di Istocompatibilità di classe II (MHC di classe II) e delle molecole co-stimolatorie (quali ad es. CD40, CD80 e CD86), espresse sulle cellule dendritiche, con conseguente minore attivazione delle cellule T. A questo si associa anche un effetto inibente sulla produzione delle citochine pro-infiammatorie IL-12 e IL-23 (e quindi anche sulla IL-17) oltre che lo stimolo alla produzione di IL-10 che è invece ad azione antinfiammatoria 6.

Le cellule T, una volta attivate dalle cellule dendritiche presentanti l’antigene, inducono una risposta immunitaria antigene-specifica.

Anche i linfociti T esprimono sia il VDR che il CYP27B1. È interessante notare però come ci siano bassi livelli di VDR nei linfociti T naïve con valori che vanno incontro a un progressivo aumento dopo la loro attivazione cellulare.

L’effetto della vitamina D attivata [1,25(OH)2D] è quello di:

  • ridurre la differenziazione Th1;
  • ridurre la produzione di citochine infiammatorie (IL-2, IFNg e TNF-a);
  • ridurre la differenziazione Th17;
  • promuovere la differenziazione di tipo Th2;
  • promuovere la secrezione di citochine antinfiammatorie (IL-4, IL-5 e IL-10);
  • promuovere la differenziazione dei linfociti T-regolatori.

Tutte queste azioni assicurano un’attenta modulazione della risposta immunitaria prevenendone una, sempre possibile, esagerata attivazione 6,7 che è alla base delle malattie autoimmunitarie.

I linfociti B nel sistema immunitario sono i protagonisti della produzione di autoanticorpi. Anche queste cellule esprimono il VDR e il CYP27B1. Anche nel loro caso l’attivazione della vitamina D sembra avere un ruolo prevalentemente regolatore che si realizza mediante meccanismi indiretti e diretti.

Il meccanismo indiretto avviene grazie alla soppressione della differenziazione, proliferazione e produzione di anticorpi delle cellule B da parte delle cellule T helper trattate con 1,25(OH)2D, mentre quello diretto grazie all’effetto che ha la vitamina D di soppressione della differenziazione delle cellule B e/o della loro maturazione a cellule memoria e plasmacellule 6.

Se consideriamo l’azione generale della vitamina D (nella sua forma attiva) sul sistema immunitario (Tab. I) appare abbastanza evidente come vi sia uno stimolo sulla capacità innata distruttiva dei vari patogeni, ma al contempo anche una consensuale modulazione della risposta adattativa antigene specifica. Infatti, il ruolo della risposta Th1 è quello di amplificazione della risposta infiammatoria che deve a sua volta essere in qualche modo controllata dalla risposta Th2. La vitamina D sembrerebbe agire favorendo questo tipo di “controllo”. È interessante notare come l’azione della 1,25(OH)2D sia sempre inibitoria a carico delle cellule linfocitarie, ma con gradi di inibizione molto diversa. Ci sarebbe un’inibizione marcata a carico delle cellule che sostengono e amplificano le Th1, Th17 e B cell, mentre l’effetto inibitorio sarebbe molto più blando sulle cellule che regolano-spengono la risposta immunitaria (Th2 e Treg). In tal modo il risultato finale, in presenza di adeguati livelli di vitamina D, sarebbe quindi quello di una “relativa stimolazione” di queste ultime con conseguente azione di tipo immuno-modulatore 7 (Fig. 1).

 

 

 

Vitamina D e malattie autoimmuni

I risultati di numerosi studi epidemiologici non lasciano alcun dubbio sull’elevata prevalenza di ipovitaminosi D in soggetti affetti da malattie reumatiche autoimmunitarie!

I pazienti con artrite reumatoide (AR), artropatia psoriasica (PSA), spondilite anchilosante (AS), sclerosi sistemica (SS) e lupus eritematoso sistemico (LES) hanno livelli circolanti di 25-idrossi-vitamina D [25(OH)D] di almeno 8-10 ng/mL inferiori rispetto ai controlli sani 8.

Lo studio CARMA 9 ha confrontato lo stato vitaminico D di 2.234 pazienti affetti da AR, PSA e AS con quello di 667 soggetti di pari età ma sani, rilevando una carenza di vitamina D [25(OH)D sierica < 20 ng/mL] nel 40-41% nei pazienti rispetto al 27% dei soggetti sani (p < 0,001).

Per di più, dall’analisi statistica è emersa anche una correlazione (seppur ai limiti della significatività) tra il deficit vitaminico D con l’indicatore di gravità nella AR (maggior rischio di positività ACPA nei pazienti con AR con OR = 1,45; con intervallo di confidenza al 95% (IC 95%) 0,99-2,12 e p = 0,056) e con la compromissione funzionale nella AS (maggior rischio di compromissione funzionale legata alla malattia con OR = 1,08; con IC 95% 0,99-1,17; p = 0,07) 9. Malgrado i dati disponibili è tuttora difficile stabilire con certezza una relazione di causa-effetto tra la carenza vitaminica D e le patologie autoimmuni. In alcuni modelli animali di malattie autoimmuni la vitamina D è risultata in grado di rallentarne sviluppo e/o progressione 10.

Contraddittori sono invece i risultati di studi osservazionali sull’uomo, mentre in genere deludenti quelli relativi alla supplementazione vitaminica D di soggetti con malattie autoimmuni accertata 10. Non c’è pertanto al momento sufficiente evidence sulla possibile efficacia della supplementazione di vitamina D nella prevenzione dell’insorgenza di malattie autoimmuni. Sarebbero necessari studi longitudinali a lungo termine eseguiti sulla popolazione generale. Questo tipo di studio è stato finalmente disponibile e i risultati appaiono davvero incoraggianti. Lo studio VITAL, recentemente pubblicato, si è posto l’obiettivo di indagare se la vitamina D (associata o meno ad acidi grassi omega 3 a catena lunga) sia in grado di ridurre il rischio di malattie autoimmuni 10. Si tratta di un trial clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, realizzato negli USA che ha coinvolto 25.871 soggetti (12.786 uomini ≥ 50 anni e 13.085 donne ≥ 55 anni) seguiti in media per oltre 5 anni. I soggetti erano randomizzati ad assumere quotidianamente 2.000 UI di vitamina D (o placebo) e acidi grassi omega 3 (1.000 mg/die) o placebo. L’obiettivo dello studio, per espressa ammissione degli stessi ricercatori che lo hanno realizzato, non intendeva analizzare gli effetti della supplementazione con vitamina D di una coorte di soggetti carenti, ma bensì su un campione rappresentativo di anziani statunitensi nella popolazione generale. Il fatto poi che siano stati esclusi dall’arruolamento i soggetti con una storia di patologia renale o epatica cronica, con ipercalcemia, neoplasie maligne, malattie cardiovascolari o altre malattie gravi, ha permesso di selezione quindi solo soggetti sostanzialmente sani. Per questo motivo non deve stupire poi che il numero di soggetti che hanno sviluppato nel corso dello studio le patologie autoimmunitarie considerate sia stato comunque in numero assoluto esiguo (278 casi, che rappresenta in pratica un’incidenza di nuovi casi poco superiore all’1% nei 5 anni di osservazione). Le patologie prese in considerazione erano l’artrite reumatoide, la polimialgia reumatica, le tireopatie autoimmuni, la psoriasi e le malattie infiammatorie intestinali, ma era previsto comunque uno spazio in cui il clinico poteva scrivere tutte le altre malattie autoimmuni di nuova insorgenza.

Dai risultati emerge come la supplementazione quotidiana con vitamina D (per 5 anni) con o senza acidi grassi omega 3, assicuri una riduzione dell’insorgenza di malattie autoimmuni (con diagnosi confermata) del 22%, statisticamente significativa.

La grande mole di dati disponibili in questo studio ci permette di proporre alcune considerazioni molto interessanti:

  • rispetto al braccio di riferimento in placebo (placebo con vitamina D e placebo con acidi grassi omega 3) la riduzione significativa del rischio (sempre considerando solo i casi con diagnosi confermata) è emersa solo tra chi aveva ricevuto vitamina D e acidi grassi omega 3 insieme (OR = 0,69 con IC 95% 0,49-0,96: p = 0,03), o che aveva ricevuto vitamina D da sola (OR = 0,68 con IC 95% 0,48-0,94: p = 0,02), ma non tra quelli che avevano ricevuto solo grassi omega 3 (OR = 0,74 con IC 95% 0,54-1,03, p = 0,07 non significativo);
  • dal momento che le malattie autoimmuni si sviluppano lentamente nel tempo 11, nello studio era prevista anche un’analisi ulteriore che escludeva gli eventi comparsi durante i primi due anni considerando solo gli ultimi tre anni dell’intervento. Anche in questo caso il gruppo trattato con vitamina D aveva un’incidenza di malattia autoimmune confermata ridotta del 39% rispetto al gruppo placebo (p = 0,005); mentre nel gruppo trattato con acidi grassi omega 3 si è registrato una riduzione solo del 10% dei nuovi casi di malattia autoimmune confermata rispetto al gruppo placebo che non ha neanche raggiunto la significatività statistica (p = 0,54).

 

Conclusioni

Le mie conclusioni ricalcano molto quelle degli Autori di questo straordinario lavoro che qui vi ho presentato e con i quali mi trovo completamente d’accordo.

Le malattie autoimmuni sappiamo bene che sono un gruppo di condizioni eterogenee con meccanismi patogenetici spesso simili che si accompagnano a severe conseguenze in termini sia di morbilità che di mortalità. L’aver per la prima volta dimostrato in maniera chiara come in una popolazione di soggetti anziani e sostanzialmente sani la supplementazione cronica quotidiana di 2.000 UI di vitamina (da sola o in combinazione con acidi grassi omega 3) sia in grado di ridurne l’incidenza con effetti più pronunciati dopo due anni, ha un’importanza non trascurabile.

In fondo si tratta di una supplementazione priva di rischi di tossicità e ben tollerata a fronte dell’attuale assoluta mancanza di trattamenti che siano efficaci nel ridurre l’incidenza delle malattie autoimmuni.

Mi auguro che ben presto ci siano studi di analoga qualità che vadano a indagare questa opportunità preventiva in soggetti più giovani e magari in soggetti a elevato rischio di sviluppare questo tipo di malattie.

 

Bibliografia

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