Medicina di Famiglia e Specialistica
Malattie respiratorie

La spirometria

7 Mar 2022

Fabiano Di Marco

Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio,
Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano

Direttore UOC Pneumologia, ASST – Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo

 

La spirometria è un esame non invasivo, di facile esecuzione, riproducibile e a basso costo. Non esistono controindicazioni assolute all’esecuzione di questo esame ma solo delle controindicazioni relative che devono tenere in considerazione: il transitorio aumento dell’attività cardiaca (motivo per il quale va evitata in pazienti con un recente infarto o instabili dal punto di vista emodinamico), delle pressioni intracraniche (attenzione ai pazienti con recenti ictus o interventi neurochirurgici), delle pressioni a livello delle cavità nasali e seni paranasali (cautela nel caso di un recente intervento ORL) e delle pressioni a livello alveolare/pleurico (non eseguire l’esame nel caso di recente pneumotorace). Ai pazienti viene solitamente chiesto di sospendere la terapia inalatoria in modo da poter eseguire l’esame in condizioni cosiddette di “base”; in altri casi, invece, il medico è interessato a valutare la funzione respiratoria con la terapia inalatoria in atto. Qualunque sia la scelta, la condizione nella quale l’esame viene eseguito va sempre riportata nel referto.

La spirometria consente di indagare l’origine di sintomi respiratori molto comuni, come la dispnea e la tosse, di porre diagnosi di alcune patologie respiratorie, soprattutto l’asma e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), di valutare l’impatto respiratorio di tutte le patologie che coinvolgono l’apparato respiratorio e di verificare l’evoluzione spontanea di numerose malattie o di osservare l’esito di un trattamento farmacologico o non farmacologico. Inoltre, sempre la spirometria viene impiegata per valutare l’idoneità dei pazienti a essere sottoposti all’anestesia generale e agli interventi toracici o lo stato di salute dei soggetti sani che si debbano sottoporre ad attività sportiva agonistica.

In generale, questo strumento è sottoutilizzato nella pratica clinica. La maggior parte dei pazienti con sintomi respiratori o non si rivolgono al medico, soprattutto se fumatori, oppure eseguono altri esami strumentali, come gli esami ematici, l’Rx del torace o l’elettrocardiogramma che, pur potendo essere di interesse, non consentono di diagnosticare condizioni comuni come appunto l’asma e la BPCO.

L’attuale realtà, sia nel nostro Paese così come nella quasi totalità dei Paesi industrializzati, è che i pazienti vengano etichettati come affetti da asma o BPCO senza essersi mai sottoposti a una spirometria. Questo porta da un lato a una sottodiagnosi di asma e BPCO, e dall’altro a una diagnosi errata soprattutto di BPCO di pazienti che ricevono questa diagnosi coi soli dati clinici (pazienti anziani con tosse o dispnea).

La recente pandemia di COVID-19 ha ulteriormente aggravato questa condizione di inadeguato utilizzo della spirometria. Infatti, durante tutta la prima ondata pandemica, tra la fine di febbraio e fine aprile-inizio maggio 2020, la quasi totalità dei laboratori di fisiopatologia è rimasta chiusa, mentre da lì in poi l’attività è stata limitata e/o riorganizzata per rispettare tutte le norme volte a limitare i contagi.

Va ricordato che i filtri utilizzati per eseguire l’esame sono da sempre sia antibatterici che antivirali; l’attenzione va quindi rivolta ai ricambi d’aria e alla sanificazione di tutte le superfici. Gli ambienti vanno poi rivisti dal momento che non è più possibile far eseguire nella stessa stanza le prove di funzione respiratoria a più soggetti/pazienti contemporaneamente. Proprio per razionalizzare l’impiego delle prove di funzione respiratoria durante il periodo pandemico la Società Italiana di Pneumologia (SIP) [Italian Respiratory Society (IRS)] ha pubblicato un documento che contiene tutte le indicazioni necessarie declinate in base alla fase della pandemia, vale a dire dal livello di contagio presente nella popolazione (Milanese M, et al. Suggestions for lung function testing in the context of COVID-19. Respir Med 2021;177:106292. https://doi.org/10.1016/j.rmed.2020.106292).

Fatte queste premesse si dovrebbero sottoporre alla spirometria i pazienti con dispnea da sforzo, soprattutto se fumatori e con altri sintomi respiratori, come la tosse o la produzione di espettorato, oppure, anche se giovani, con un profilo suggestivo per asma. L’avanzamento tecnologico ha consentito di avere degli strumenti molto compatti, a volte portatili e a basso costo; l’impegno maggiore è la formazione del tecnico di fisiopatologia, nella quasi totalità dei casi un infermiere che abbia l’esperienza necessaria per far eseguire ai soggetti/pazienti la manovra in modo ottimale. La fase di refertazione, infatti, pur richiedendo una formazione adeguata, risulta nel complesso meno complessa rispetto alla fase di esecuzione.

La spirometria consente di diagnosticare una sindrome disventilatoria di tipo ostruttivo, la cui presenza è testimoniata da una riduzione del rapporto tra il volume espirato dal paziente durante il primo secondo di una espirazione forzata (volume espirato massimo nel primo secondo, VEMS, o forced expiratory volume in one second, FEV1 in lingua inglese) e la capacità vitale (CV o vital capacity, VC, in lingua inglese).

Nel caso in cui un paziente mostri un profilo ostruttivo viene solitamente eseguito un test di reversibilità bronchiale che prevede l’inalazione di 400 mcg di salbutamolo (un beta-2 agonista inalatorio a rapida e breve durata d’azione) per poi ripetere la spirometria dopo 15-20 minuti. Gli scenari possibili sono sostanzialmente tre:

  1. non si assiste a un miglioramento significativo (i.e. incremento del FEV1 o della capacità vitale di almeno 200 ml e del 12% rispetto al basale);
  2. si assiste a un incremento significativo della spirometria ma con il permanere di una ostruzione;
  3. la spirometria non solo migliora ma torna addirittura alla normalità.

Nel primo caso è più probabile la diagnosi di BPCO, anche se non si può escludere l’asma, mentre nel secondo, soprattutto se il miglioramento è molto significativo, è più probabile che il paziente sia affetto da asma, anche se non si può escludere la BPCO. Il terzo e ultimo caso è nel contesto clinico il più semplice, dal momento che è sostanzialmente certa la diagnosi di asma, giaccé un quadro di BPCO è incompatibile, essendo legato in buona parte a delle alterazioni anatomiche irreversibili, con delle prove di funzione respiratoria nella norma.

Infine, la spirometria semplice può dare delle indicazioni anche su una sindrome disventilatoria di tipo restrittivo, presente ad esempio nel caso di interstiziopatie o patologie neuromuscolari. Va però sottolineato come la conferma definitiva di una restrizione richieda la valutazione della capacità polmonare totale, la cui misura richieda strumenti diversi dallo spirometro come ad esempio la cabina pletismografica.

 

 

 

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