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Medicina di Famiglia e Specialistica
Infettivologia

La resistenza agli antibiotici: una sfida globale che l’Italia non può assolutamente ignorare

5 Dic 2024
resistenza-antibiotici

a cura di Piercarlo Salari, medico e divulgatore medico scientifico – Milano

 

Quello che in microbiologia si configura come un fenomeno naturale o come un selettivo meccanismo di sopravvivenza diventa nella realtà una sfida sotto il profilo clinico, gravato da serie problematiche a livello socioassistenziale. Non a caso ogni anno, il 18 novembre, si celebra la Giornata Mondiale di Sensibilizzazione sulla Resistenza agli Antibiotici e si aggiornano i dati e le previsioni, dalle quali si prospetta che in Italia, in mancanza di iniziative adeguate, nel 2050 l’antibiotico-resistenza (AMR) sarà la prima causa di morte, superando perfino le malattie oncologiche.
Secondo l’ultimo rapporto di sorveglianza dell’ECDC europeo, nel nostro continente si stima che l’AMR sia responsabile ogni anno di oltre 670mila infezioni e di oltre 35mila decessi, di cui circa 12mila in Italia, che vanta il triste primato. L’aumento delle infezioni comporta anche un gravoso impatto economico, complessivamente quantificato in circa 1,5 miliardi di euro l’anno. Tra il 2019 e il 2023 il consumo di antibiotici nell’UE è aumentato dell’1%, in paradossale controtendenza rispetto all’obiettivo di riduzione del 20% entro il 2030 raccomandato dal Consiglio dell’Unione Europea.

 

Le implicazioni

Nella pratica clinica tale evento determina conseguenze tutt’altro che trascurabili, delle quali tre, in particolare, meritano di essere evidenziate: innanzitutto, se un antibiotico diventa inefficace, deve essere necessariamente sostituito con un altro antibiotico, il che determina un ulteriore rischio di nuove resistenze; in secondo luogo va ricordato che batteri di specie diverse possono diventare resistenti, annullando in questo modo l’effetto anche di altri antibiotici e favorendo la trasmissione di resistenze multiple anche ai batteri che costituiscono la normale flora residente nei vari distretti dell’organismo; infine, a seguito dell’inefficacia degli antibiotici di comune impiego, la cura delle infezioni, in particolare negli individui fragili e immunocompromessi, diventa sempre più problematica, soprattutto in mancanza di molecole alternative.
Alla luce di queste riflessioni, non deve quindi sorprendere il fatto che la comparsa di AMR – se già in condizioni normali è soltanto una questione di tempo – possa essere amplificata da svariati fattori, la maggior parte dei quali legati alla modalità di impiego e all’orientamento prescrittivo della classe medica nei confronti di questa classe di farmaci.

 

Alle radici del problema

I determinanti dell’AMR sono principalmente tre: l’uso inappropriato o eccessivo di antibiotici, l’esposizione a dosi sub-terapeutiche di una molecola per un lungo periodo e l’impiego di antibiotici dotati di bassa potenza. Il primo aumenta la pressione selettiva sui batteri, promuovendo l’insorgenza e la moltiplicazione di ceppi resistenti. Tale pressione può infatti selezionare ceppi patogeni o della normale flora batterica, che sono intrinsecamente meno sensibili o che acquisiscono determinanti genetici di resistenza da altri microrganismi: questo può indurre o de-reprimere geni di resistenza, come per esempio la beta-lattamasi, amplificare un ceppo intrinsecamente resistente, come nel caso di enterococchi vancomicino-resistenti, o facilitare la diffusione clonale di un patogeno, quale per esempio Streptococcus pneumoniae penicillino-resistente.
Nella pratica clinica, una delle cause del consumo eccessivo è da ricercare nell’uso empirico di antimicrobici: in situazioni in cui è opportuna un’azione rapida, la terapia preferita è spesso quella che prevede la somministrazione di differenti antibiotici contemporaneamente, nella speranza che uno tra questi possa agire contro il patogeno non identificato.
Più diffusa, tuttavia, è l’eccessiva prescrizione di antibiotici nell’ambito delle cure primarie: di fronte a un paziente con infezione il medico tende spesso a prescrivere una terapia antibiotica basata sull’esperienza passata e sull’epidemiologia locale, senza preoccuparsi, attraverso degli esami di laboratorio, di individuare il patogeno e il relativo spettro di sensibilità agli antimicrobici. Il rischio di questa pratica diffusa è ovviamente l’inefficacia della terapia, con la necessità di prescrivere ulteriori antibiotici che si presumono efficaci per l’agente non tempestivamente identificato, sottoponendo il microbiota del paziente a una ripetuta e intensa pressione selettiva, anch’essa favorente lo sviluppo di AMR. Oggi, infatti, si riscontrano molte più resistenze in soggetti complessivamente sani con piccole patologie infettive rispetto a pazienti ricoverati con infezioni più gravi: una spiegazione plausibile è la mal practice di non eseguire, prima di somministrare un antibiotico, un esame microbiologico, che non deve essere riservato soltanto ai casi di fallimento terapeutico.

A questi elementi si aggiunge anche il comportamento irrazionale e purtroppo comune, in particolare nelle fasce di popolazione adulta e in genitori molto apprensivi, di fare ricorso agli antibiotici senza un consulto medico, come nel caso in cui il farmaco sia già disponibile in casa, per esempio avanzato da cicli terapeutici precedenti o inutilizzati, o venga fornito da parenti o da conoscenti: in tale evenienza la tipologia di antibiotico, la posologia e la durata di assunzione si configurano nell’utilizzo di un farmaco il più delle volte inappropriato per l’infezione in corso, in dosi non idonee e per tempi generalmente inferiori rispetto a quelli necessari.

 

L’approccio

Contrastare l’AMR, oltre a essere un impegno, è una necessità doverosa, che ricade soprattutto sui medici di medicina generale (MMG), alla luce del loro duplice ruolo di riferimento e di guida per la salute e al tempo stesso di prescrittori. Sono disponibili online numerose risorse educazionali, come per esempio i materiali messi a punto dalla Global Respiratory Infection Partnership (GRIP), al cui portale si rimanda.
Va però tenuto presente che nella pratica clinica i criteri di appropriatezza prescrittiva e gli accorgimenti per promuovere un impiego consapevole e responsabile degli antibiotici devono essere opportunamente adattati e contestualizzati: in altre parole per affrontare l’AMR non è sufficiente l’applicazione meccanica di regole o di algoritmi comportamentali da parte dei medici. Basti pensare, per esempio, che in molti casi gli antibiotici vengono assunti deliberatamente dai pazienti perché “avanzati” da terapie pregresse, e che i medici vengono consultati a seguito del fallimento di un trattamento empirico autoprescritto. È quindi fondamentale che il MMG conosca lo scenario epidemiologico del proprio territorio, che sia costantemente aggiornato sul profilo delle resistenze batteriche e che possieda capacità di comunicazione assertiva.

 

Gli spunti emersi da una survey

Al di là di quanto sin qui affermato, l’efficacia di un intervento non può in ogni caso prescindere dalla conoscenza della realtà socioassistenziale, che è in costante evoluzione. A tale scopo un’indagine nazionale coordinata da Iqvia e presentata al 41° Congresso Nazionale SIMG, recentemente svoltosi a Firenze, ha evidenziato alcuni aspetti di particolare rilevanza.
Le infezioni respiratorie si sono confermate quale ragione principale di richiesta inappropriata di antibiotici, che l’80% dei MMG considera la causa principale di AMR, seguita dalla mancata aderenza alla terapia (48%) quando prescritta. La maggior parte dei MMG valuta gli antibiotici realmente necessari in meno di un terzo dei propri pazienti, ma con una peculiarità: il 59% dei MMG con meno di un anno di esperienza pensa che meno del 10% dei propri pazienti abbia bisogno di antibiotici, ma a partire dal secondo anno di anzianità professionale tale valore si riduce in media al 40% in tutte le fasce d’età dei MMG indipendentemente dal numero di assistiti. I medici giovani risultano pertanto i più attenti, ossia quelli maggiormente disposti a contestare una domanda prescrittiva immotivata.
Altri risultati interessanti sono che l’86% dei MMG prescrive farmaci sintomatici, in particolare antinfiammatori non steroidei, il 59% ritiene fondamentale l’educazione del paziente e, in generale, si profila la mancanza di una cultura dei test diagnostici: soltanto il 28% dei MMG identifica nell’antibiogramma uno strumento fondamentale per prevenire l’antibiotico-resistenza e solo il 25% considera i test diagnostici utili per l’appropriatezza prescrittiva. Un ultimo spunto emerso dalla survey, infine, è la profilazione del paziente più a rischio di abuso di antibiotici, che tende a seguire questi comportamenti: cerca di velocizzare la guarigione, è convinto che l’antibiotico sia una panacea, lo chiede con insistenza e di propria iniziativa e si informa su Google.

 

Riferimenti bibliografici

 

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