Medicina di Famiglia e Specialistica
Dolore

La gestione del paziente con dolore cronico e patologie cardiovascolari: l’importanza di un approccio multidisciplinare

16 Nov 2023

Dr. Luigi Santoiemma1; Prof. Giuseppe De Angelis2; Dr. Paolo Pais3

1 Medico di medicina generale Asl Bari, Componente Commissione Tecnica del Farmaco Regione Puglia, Esperto AIFA;
2 Direttore della UOC di Cardiologia e UTIC ASST Rhodense Presidio di Rho e Passirana, Professore a contratto Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Milano, Professore a contratto Scuola di Specialità in Cardiochirurgia HSR di Milano;
3 Dirigente Medico, Specializzato in Anestesia e Terapia del Dolore, presso Azienda Sanitaria Locale To4 di Chivasso

 

Introduzione

Il dolore cronico e le patologie cardiovascolari (CV) spesso coesistono nello stesso paziente. Per tale motivo è importante valutare con attenzione entrambe le condizioni, al fine di identificare la corretta strategia di gestione che consenta di ottenere un efficace controllo della sintomatologia dolorosa e, allo stesso tempo, un’adeguata gestione dei fattori di rischio cardiovascolare.
L’approccio multidisciplinare (basato sulla collaborazione tra il medico di medicina generale, il cardiologo e il terapista del dolore) e interdisciplinare (con il coinvolgimento del paziente nelle scelte terapeutiche) rappresenta senza dubbio la strategia vincente per la gestione dei pazienti affetti da dolore cronico e patologie CV.
L’obiettivo del presente articolo è quello di valutare il ruolo di ciascuno degli attori coinvolti nella gestione del paziente con dolore cronico e patologie CV, per identificare dei punti di convergenza e delle possibili sinergie, al fine di ottimizzare l’efficacia della terapia e, possibilmente, migliorare la prognosi e la qualità di vita del paziente.

 

 

Associazione tra dolore cronico e patologie cardiovascolari

Il dolore cronico e le patologie cardiovascolari (CV) spesso coesistono nello stesso paziente. Sebbene i meccanismi alla base di tale associazione non siano del tutto noti, il dolore cronico sembra contribuire al rischio CV, come suggerito da numerose evidenze a supporto dell’associazione tra il dolore cronico e un’aumentata incidenza di infarto miocardico, di scompenso cardiaco e di morte per cause CV, indipendentemente dalla presenza di fattori CV noti, fattori socioeconomici, comorbidità e terapie farmacologiche 1. È stato inoltre recentemente dimostrato che il rischio di eventi CV aumenta nei pazienti con dolore cronico proporzionalmente alla durata e alla diffusione del dolore stesso (Fig. 1), confermando il possibile ruolo del dolore come fattore di rischio CV, con delle importanti implicazioni per la salute pubblica 1. Poiché infatti la presenza di dolore cronico diffuso sembra rendere conto del 9% del rischio attuale complessivo di eventi CV, questi pazienti rappresentano un importante target per delle strategie di prevenzione volte a ridurre l’impatto economico e sociale delle patologie CV 1.

 

 

 

L’associazione tra il dolore cronico e le patologie CV potrebbe derivare dal fatto che le due condizioni condividono alcuni meccanismi fisiopatologici, quali l’attivazione simpatica, l’infiammazione sistemica, l’attivazione delle cellule gliali e le alterazioni del microbiota 1, o addirittura una predisposizione genetica 2. Inoltre, la presenza di dolore cronico si associa spesso a stress psicologico, depressione e ansia, condizioni che possono contribuire al rischio CV 2-4. A causa delle limitazioni funzionali e di fattori quali la solitudine e l’assenza di supporto sociale, la presenza di dolore può indurre anche all’inattività fisica, un ben noto fattore di rischio per patologie CV 2,5. Per esempio, è stato dimostrato che i pazienti con dolore cronico muscolo-scheletrico presentano una probabilità quasi doppia di sviluppare delle patologie CV. Tra i fattori responsabili di questa associazione, oltre all’inattività fisica, figura anche l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), che rappresentano la classe di farmaci più frequentemente prescritta per il dolore muscolo-scheletrico e il cui utilizzo è stato associato a un aumento del rischio CV. Sembra infatti che i FANS provochino un aumento della pressione arteriosa e del rischio trombotico, oltre a una riduzione della funzione renale, effetti che potrebbero contribuire allo sviluppo di eventi CV 6.

Se da una parte le evidenze scientifiche a supporto dell’associazione tra le patologie CV e il dolore cronico sono in continuo aumento, dall’altra la consapevolezza dei clinici a questo riguardo è ancora scarsa, soprattutto a livello della medicina di base: è importante che il medico di medicina generale (MMG) sia cosciente che le due condizioni possono essere frequentemente presenti nello stesso paziente e che cerchi la strategia ottimale per gestirle contemporaneamente. Purtroppo, non esistono al momento attuale delle raccomandazioni ufficiali per la gestione dei pazienti con dolore cronico e patologie CV: sono necessari degli studi per valutare se i modelli di trattamento in grado di combinare gli interventi raccomandati dalle linee guida per la gestione separata del dolore cronico e delle patologie CV siano efficaci per trattare i pazienti affetti da entrambe le condizioni. Una possibile soluzione consiste nell’implementazione di interventi multimodali che associno gli approcci che si sono dimostrati efficaci per ridurre il dolore e la disabilità nei pazienti con dolore cronico e per migliorare la qualità di vita e la prognosi dei pazienti con patologie CV 6. A questo scopo solo una gestione multidisciplinare può consentire un trattamento ottimale delle due condizioni in parallelo, che potrebbe migliorare gli outcome di entrambe e la prognosi complessiva del paziente 7.

Alla luce di queste considerazioni, un intervento omnicomprensivo, basato sulla stretta collaborazione tra MMG, cardiologo e terapista del dolore, è fondamentale nei pazienti con dolore cronico e patologie CV e deve basarsi su un’attenta valutazione della sintomatologia dolorosa, così come del profilo di rischio CV, al fine di implementare un’adeguata strategia terapeutica efficace su entrambi i fronti, che tenga conto anche del profilo di sicurezza dei farmaci prescritti e delle possibili interazioni 1. Il controllo efficace del dolore assume quindi una doppia valenza in questi pazienti, contribuendo non solo al controllo della sintomatologia, alla riduzione della disabilità e alla salvaguardia della qualità della vita, ma potenzialmente anche alla limitazione del rischio CV e quindi al miglioramento della prognosi 1,6. Considerando che sia il dolore cronico, sia le patologie CV sono tra le principali cause di disabilità a livello globale, anche dei piccoli miglioramenti nella prevenzione, nella diagnosi e nel trattamento di queste condizioni spesso concomitanti possono avere un forte impatto in termini di sanità pubblica 1.

 

Dolore cronico: strategie di gestione e considerazioni per i pazienti a rischio CV

Il dolore cronico è tra le cinque principali cause di disabilità a livello mondiale, interessando il 20-30% della popolazione adulta 8. Secondo il modello biopsicosociale, il dolore cronico viene attualmente considerato come un’entità comprendente interazioni dinamiche tra fattori biologici, psicologici e sociali che si influenzano a vicenda. L’approccio ideale a tale condizione dovrebbe quindi essere di tipo multidisciplinare e multimodale, comprendente misure non farmacologiche e farmaci attivi sui diversi meccanismi patogenetici del sintomo doloroso 9. Negli ultimi anni la ricerca ha chiarito i meccanismi che portano alla cronicizzazione del dolore, comprendenti una serie di modifiche funzionali e strutturali delle componenti neurali coinvolte nella trasmissione e nella modulazione dello stimolo doloroso, responsabili in ultima analisi della cosiddetta sensibilizzazione periferica e centrale 10,11. È stato ipotizzato che lo sviluppo e il mantenimento di molte sindromi dolorose croniche possa derivare dallo squilibrio tra l’amplificazione dei segnali ascendenti e l’inadeguata attivazione delle vie inibitorie discendenti. Dal punto di vista clinico, è essenziale intervenire in maniera appropriata il più precocemente possibile, allo scopo di evitare la cronicizzazione del dolore e la compromissione della qualità di vita del paziente, associata allo sviluppo di ansia, depressione, incapacità di svolgere le attività quotidiane e sedentarietà, fattori che possono contribuire al rischio CV 10.

Tra le opzioni disponibili per trattare il dolore cronico, FANS, COXIB (COX-2 inibitori) e paracetamolo rappresentano i farmaci maggiormente impiegati, sebbene la loro utilità sia limitata al controllo del dolore lieve/moderato. A causa dell’inibizione periferica della sintesi di prostaglandine (PGE), FANS e COXIB possono determinare effetti indesiderati a livello cardiaco e renale, quali ipertensione, alterazioni degli elettroliti, scompenso cardiaco, insufficienza renale acuta o sindrome nefrosica 12. Inoltre è stato dimostrato che FANS e COXIB sono associati a un rischio aumentato di eventi CV e di mortalità, che nei pazienti con un pregresso infarto è risultato indipendente dalla durata del trattamento 13-16. Per questo motivo, FANS e COXIB sono controindicati nei pazienti con scompenso cardiaco grave; inoltre, i COXIB sono controindicati anche nei pazienti con patologie cerebrovascolari, arteriopatia periferica, cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco moderato e grave, e devono essere utilizzati con cautela nei pazienti con fattori di rischio CV 17. Secondo il position statement dell’ESC sulla sicurezza CV dei FANS, questi farmaci non dovrebbero essere utilizzati nei pazienti con patologie o fattori di rischio CV 18. In questi pazienti può essere preferibile l’utilizzo del paracetamolo, che tuttavia non è privo di rischi, a causa della potenziale epatotossicità, che può essere peggiorata nei pazienti con una storia di abuso alcolico, interazioni farmacologiche con il sistema del citocromo CYP450 e malnutrizione 19. A tale proposito, una survey condotta in Italia dopo l’introduzione della nota 66 di AIFA 17 per ridurre l’uso inappropriato di FANS e di COXIB nei pazienti a rischio CV ha rilevato una riduzione della prescrizione di questi farmaci come prima scelta per il controllo del dolore da parte del MMG, soprattutto nei pazienti con scompenso e arteriopatia periferica 20. Parallelamente è stato osservato un aumento della prescrizione di oppioidi nei pazienti con scompenso, arteriopatia periferica o altre patologie CV e una riduzione della prescrizione di paracetamolo 20.

Le recenti raccomandazioni cliniche della European Pain Federation affermano che l’analgesia oppioide può essere presa in considerazione in pazienti selezionati e altamente monitorati, se i trattamenti non farmacologici stabiliti o gli analgesici non oppioidi risultano inefficaci, controindicati o non tollerati 21. Anche l’American College of Physicians suggerisce che gli oppioidi dovrebbero essere usati solo quando i pazienti falliscono i trattamenti di prima linea, solo se i potenziali benefici superano i rischi per i singoli pazienti e dopo una discussione dei rischi noti e dei benefici realistici con i pazienti stessi 22. I trattamenti farmacologici dovrebbero inoltre essere sempre accoppiati con interventi non farmacologici, al fine di massimizzare i risultati 23. In questa prospettiva, di particolare interesse potrebbe essere individuare, tra gli oppioidi disponibili, le molecole dotate di una buona tollerabilità e di un’azione efficace anche sulle componenti neuropatiche del dolore.

Tapentadolo è un oppioide atipico, che combina l’azione agonista a livello dei recettori m per gli oppioidi (MOR) all’azione di inibizione del reuptake della noradrenalina (NRI): questo duplice meccanismo d’azione assicura un effetto multimodale sul controllo di vari tipi di dolore, da quello nocicettivo a quello neuropatico o misto, con un’efficacia analgesica sovrapponibile a quella dei classici oppioidi forti, quali ossicodone e morfina 10,24-27. La duplice azione di tapentadolo consente di ristabilire l’equilibrio tra le vie ascendenti di trasmissione degli stimoli nocicettivi e le vie discendenti inibitorie di modulazione del dolore, che risulta alterato nel dolore cronico 10. L’azione agonista a livello dei recettori µ per gli oppioidi inibisce infatti la trasmissione degli stimoli dolorosi attraverso le vie ascendenti, oltre a contribuire alla modulazione dei segnali sovraspinali attraverso l’azione sulle vie discendenti. D’altra parte, l’inibizione del reuptake della noradrenalina (NA) determina un aumento della NA a livello delle sinapsi spinali, mimando l’azione inibitoria sui neuroni nocicettivi spinali delle vie discendenti inibitorie 10. Il basso carico µ di tapentadolo, inferiore rispetto agli altri oppioidi forti (40% vs 100%), si traduce in una migliore tollerabilità gastrointestinale rispetto ad ossicodone 10,28. L’assenza di effetti sul sistema CV (intervallo QT, frequenza cardiaca, intervallo PR, durata QRS, morfologia dell’onda T o dell’onda U) lo rende adatto anche ai pazienti con comorbilità CV 29. Inoltre, grazie al basso rischio di interazioni farmacocinetiche derivante dal metabolismo che avviene per glucuronazione e, solo in misura clinicamente non rilevante, per via del CYP450, tapentadolo può facilitare la gestione del dolore cronico nei pazienti con comorbilità, spesso politrattati 10. Come con tutti gli oppioidi, anche con tapentadolo è necessario attenzionare l’uso concomitante di farmaci ad azione sedativa, come le benzodiazepine o altri farmaci ad azione depressiva sul SNC e sulla respirazione. Non è invece richiesta alcuna modifica del dosaggio nei pazienti con insufficienza renale lieve o moderata, insufficienza epatica lieve, o nei soggetti anziani. Le reazioni avverse al farmaco riferite dai pazienti nel corso degli studi clinici controllati con placebo, condotti con tapentadolo compresse a rilascio prolungato, sono state in prevalenza di entità lieve o moderata. Gli effetti indesiderati più frequenti hanno riguardato il tratto gastrointestinale e il sistema nervoso centrale (nausea, vertigini, stipsi, cefalea e sonnolenza) 29.

Riassumendo, l’approccio attuale al trattamento del dolore – sia acuto, sia soprattutto cronico – prevede quindi l’ottimizzazione della terapia multimodale, con una combinazione di interventi farmacologici e non farmacologici. Eventuali trattamenti a lungo termine a base di oppioidi devono essere monitorati e rivalutati periodicamente, prendendo in considerazione anche la riduzione della dose o l’interruzione del trattamento. Al fine di limitare la comparsa di eventi avversi e di ottimizzare l’efficacia della terapia, è opportuno scegliere accuratamente, tra gli oppioidi disponibili, quelli più adatti al profilo del singolo paziente, soprattutto in presenza di comorbilità o di trattamenti concomitanti, come nel caso del paziente ad alto rischio CV.

 

Patologie CV: strategie di gestione e di prevenzione

La patologia CV aterosclerotica (ASCVD), nella cui patogenesi la dislipidemia svolge un ruolo essenziale 30, rappresenta la principale causa di mortalità e di morbilità in tutto il mondo 31. Il colesterolo contenuto nelle lipoproteine a bassa densità (LDL-C) è, infatti, il principale responsabile della formazione della placca aterosclerotica 32. La penetrazione e la ritenzione delle LDL all’interno dell’intima della parete vascolare innesca una serie di modifiche responsabili dell’accumulo di colesterolo extracellulare e della formazione di cellule schiumose di derivazione dai macrofagi contenenti gocce di esteri di colesterolo, che acquisiscono un fenotipo infiammatorio e pro-trombotico 32.

Alcuni studi hanno dimostrato che il dolore, sia acuto che cronico, può alterare i livelli sierici di lipidi, in particolare di colesterolo totale e LDL-C 33. L’esatto meccanismo alla base di tale alterazione non è del tutto chiaro; tuttavia, potrebbero essere coinvolti dei meccanismi legati allo stress, come effetto diretto del dolore o come conseguenza dell’immobilizzazione associata al dolore 33. Inoltre, l’ipotesi dell’aterosclerosi lombare è stata proposta come possibile causa di low back pain 34.

Indipendentemente dalla causa dell’iperlipidemia, la riduzione dei livelli di LDL-C si associa a una riduzione del rischio di eventi CV, in misura proporzionale sia all’entità della riduzione, sia alla durata del trattamento 35. Secondo i risultati di una metanalisi comprendente 14 studi sull’efficacia e la sicurezza del trattamento con statine, per un totale di oltre 90.000 pazienti, per ogni riduzione di 1 mmol/L dei livelli di LDL-C l’incidenza di eventi coronarici maggiori si riduce del 23%, indipendentemente dai livelli basali e da altre caratteristiche del paziente 35.

Di conseguenza, le linee guida ESC/EAS del 2019 per la gestione delle dislipidemie ribadiscono l’importanza di una riduzione efficace dei livelli di LDL-C, raccomandando l’implementazione di strategie di trattamento sempre più precoci e aggressive e proponendo degli obiettivi terapeutici sempre più ambiziosi, differenziati in base al rischio CV complessivo del singolo paziente 36.

La stima del rischio CV complessivo è, quindi, la base della gestione di questi pazienti 30. L’applicazione di vari sistemi di stima del rischio CV (per es. SCORE, SCORE2) consente di distinguere diverse categorie di rischio (basso-moderato, elevato e molto elevato), sulla base delle quali impostare l’intervento terapeutico, tenendo conto anche delle eventuali comorbilità, delle terapie concomitanti e delle esigenze del paziente 30.

Le attuali linee guida propongono il cosiddetto approccio treat to target, che prevede la progressiva intensificazione del trattamento per raggiungere i target raccomandati di LDL-C definiti per ogni gruppo di rischio CV 30,36:

  • pazienti a rischio molto elevato: riduzione dei livelli di LDL-C ≥50% vs basale e livello target di LDL-C <1,4 mmol/L (<55 mg/dL);
  • pazienti a rischio elevato: riduzione dei livelli di LDL-C ≥50% vs basale e livello target di LDL-C <1,8 mmol/L (<70 mg/dL).

Tra le opzioni terapeutiche proposte per il raggiungimento dei livelli target raccomandati, le statine mantengono un ruolo chiave 36. Questi farmaci riducono la sintesi di colesterolo a livello del fegato, inibendo l’enzima HMG-CoA reduttasi, che rappresenta lo step limitante nella sintesi del colesterolo. La riduzione del colesterolo intracellulare promuove l’aumentata espressione dei recettori per le LDL sulla superficie degli epatociti, con un conseguente aumento dell’uptake delle LDL dal circolo e una riduzione dei loro livelli circolanti 36.

La riduzione dei livelli di LDL-C è dose-dipendente e varia in funzione del regime utilizzato. Si definisce regime ad alta intensità il dosaggio di una statina che determina in media una riduzione del 50% dei livelli di LDL-C, mentre si definisce regime a intensità moderata un dosaggio che determina una riduzione tra il 30 e il 50% 36. Un trattamento con una statina a elevata intensità è raccomandato per il raggiungimento dei target lipidici nei pazienti a rischio CV alto e molto alto 30,36.

Esiste una notevole variabilità interindividuale nella risposta alla terapia con statine: è quindi importante monitorare la risposta del paziente all’inizio del trattamento, per verificare l’adeguatezza del trattamento prescritto in funzione dei target raccomandati. Una possibile strategia è la seguente 36:

  • valutare il rischio CV complessivo del paziente (utilizzando i sistemi SCORE o SCORE2);
  • definire gli obiettivi terapeutici (in base alla categoria di rischio);
  • coinvolgere il paziente nella scelta della strategia di gestione del rischio CV;
  • scegliere un regime a base di statine e monitorare la risposta al trattamento, prevedendo l’eventuale uptitration o, se necessario, l’aggiunta di altri farmaci (ezetimibe o PCSK9i) per raggiungere i target raccomandati.

L’impiego esteso della terapia con statine ad elevata intensità, raccomandato dalle attuali linee guida, deriva dalla dimostrazione di un rapporto rischio/beneficio favorevole di questa classe di farmaci, sia in prevenzione secondaria, sia in prevenzione primaria 36. Per quanto riguarda il profilo di sicurezza, gli eventi avversi associati al trattamento con statine sono lievi e rari e non superano il vantaggio derivante dalla riduzione del rischio di eventi CV maggiori ottenibile con il trattamento 37. Tuttavia, il rischio di comparsa di eventi avversi aumenta all’aumentare dei farmaci prescritti, a causa della maggiore probabilità di interazioni farmacologiche 38. È quindi importante, nella scelta della terapia ipolipemizzante nei pazienti politrattati, privilegiare le molecole con un più basso rischio di interazioni.

Tra queste, rosuvastatina rappresenta una possibile opzione, in quanto il rischio di interazione si limita ai medicinali che inibiscono i trasportatori proteici OATP1B1 e BCRP, di cui rosuvastatina è substrato: la contemporanea somministrazione con ciclosporina o inibitori delle proteasi (quali atazanavir o ritonavir) può causare un aumento delle concentrazioni plasmatiche di rosuvastatina e aumentare il rischio di miopatia indotta dal farmaco 39. Al contrario, rosuvastatina non è né un inibitore né un induttore degli isoenzimi del citocromo P450 e non è un buon substrato per questi isoenzimi. Pertanto, non sono attese interazioni tra farmaci derivanti dal metabolismo mediato dal citocromo P450 39.

Sebbene il beneficio associato alla terapia con statine derivi dall’entità della riduzione dei livelli di LDL-C, indipendentemente dalla molecola utilizzata, esistono tuttavia delle differenze tra le varie statine attualmente disponibili, in termini di efficacia, tollerabilità ed effetti pleiotropici. Per esempio, una recente rassegna sistematica con metanalisi 40 ha dimostrato la superiorità di rosuvastatina rispetto ad atorvastatina in termini di efficacia nel ridurre non solo i livelli di LDL-C, ma anche il volume delle placche ateromasiche, considerato un indicatore della gravità della ASCVD 41, e i livelli di proteina C-reattiva, considerati un fattore predittivo di futuri eventi CV, a parità di frequenza di eventi avversi 42. Secondo i risultati di una successiva metanalisi, la maggiore efficacia di rosuvastatina sembra tradursi anche in un maggiore effetto protettivo nei confronti degli eventi CV 43.

L’utilizzo di trattamenti ipolipemizzanti con un profilo di efficacia favorevole e una buona tollerabilità è essenziale per garantire un livello di aderenza al trattamento in grado di assicurare il raggiungimento dei target raccomandati, che è purtroppo di gran lunga inferiore alle attese, soprattutto nella popolazione di pazienti a più alto rischio 44. Come emerso dai risultati dello studio osservazionale DA VINCI, condotto in 18 Paesi Europei per verificare l’implementazione delle raccomandazioni delle linee guida sul trattamento delle dislipidemie e il raggiungimento dei target lipidici raccomandati nella pratica clinica reale, solo il 39% dei pazienti in prevenzione secondaria ha raggiunto il target delle linee guida del 2016 (70 mg/dl) e solo il 18% ha raggiunto il valore raccomandato dalle nuove indicazioni del 2019 (55 mg/dl) 45. In sintesi, meno di un terzo della popolazione a rischio CV raggiunge valori target di LDL-C in grado di ridurre la probabilità di un evento maggiore, come infarto e ictus. A ciò sembra contribuire una scarsa aderenza alla terapia, che è molto più bassa nel mondo reale rispetto a quella descritta nei trial clinici con statine, sia in monoterapia che in associazione, e tende a diminuire con il tempo 44-46. Gli effetti di una scarsa aderenza alle statine, a cui segue il non raggiungimento dei livelli terapeutici target, conduce purtroppo al mantenimento, nel tempo, di elevati livelli di LDL-C, con una maggiore probabilità di sviluppare eventi CV 45. Una scarsa aderenza alla terapia ipolipemizzante si traduce quindi in una minore efficacia della prevenzione CV 47. Tutto ciò significa che, essendo ancora lontani nel mondo reale dalla realizzazione del noto concetto “the lower the better”, si devono intensificare gli sforzi per migliorare la compliance e l’aderenza, agendo sul paziente con un’informazione più consapevole e controllata, consci che tale “resistenza” è comune a tutte le patologie croniche.

 

Approccio interdisciplinare al paziente con dolore cronico e patologie cardiovascolari

Quando dolore e patologie CV sono presenti nello stesso paziente, è importante valutare attentamente entrambe le condizioni e identificare una strategia di gestione che consenta di ottenere un’efficace riduzione dell’intensità del dolore, così come un adeguato controllo dei fattori di rischio CV. Considerando la complessità insita nella gestione di più condizioni patologiche nello stesso paziente, la strategia da preferire è basata su un approccio multidisciplinare, che favorisca la collaborazione tra tutti gli operatori sanitari coinvolti nella gestione del paziente con dolore cronico e rischio CV (MMG, cardiologo, terapista del dolore) (Tab. 1).

 

 

Oltre alla gestione multidisciplinare, è importante anche l’implementazione di una strategia “interdisciplinare”, definita come una partnership tra il team multidisciplinare e il paziente, che assicuri una scelta condivisa sui diversi aspetti che riguardano la sua salute 48. L’adozione di un approccio interdisciplinare nella gestione dei pazienti con dolore cronico si è dimostrata infatti in grado di migliorare l’efficacia degli interventi terapeutici, oltre a risultare altamente costo-efficace. In particolare, l’adozione di un approccio interdisciplinare finalizzato al recupero funzionale si è dimostrata in grado di migliorare significativamente la diagnosi, il trattamento e la prognosi delle condizioni associate al dolore cronico 48.

Dalla collaborazione tra tutte le figure coinvolte può derivare non solo un miglioramento della gestione del paziente, ma anche un’ottimizzazione delle strategie di prevenzione. Gran parte dei pazienti con fattori di rischio CV sono infatti asintomatici e non chiedono quindi un consulto medico: l’impiego di altri elementi per l’identificazione del paziente a rischio CV potrebbe consentire un intervento preventivo più precoce ed efficace e un conseguente miglioramento della prognosi. La presenza di dolore cronico, condizione che di per sé si associa a un aumentato rischio CV, rappresenta uno dei più comuni motivi di richiesta di consulto medico, soprattutto nell’ambito della medicina di base 7. La gestione del dolore cronico può fornire l’opportunità al MMG di valutare il profilo di rischio CV complessivo del paziente e attuare delle misure di intervento o di prevenzione adeguate, in grado di ridurre l’impatto di entrambe le condizioni 7. Per esempio la presenza di artrosi, che provoca immobilità e dolore cronico, rappresenta una delle più comuni cause di visita presso il MMG; considerando che i pazienti con artrosi presentano frequentemente fattori di rischio CV e che il dolore cronico associato all’artrosi contribuisce ad aumentare il rischio CV, la gestione contemporanea del dolore cronico nei pazienti con osteoartrosi e dei fattori di rischio CV concomitanti può ridurre l’impatto di questi ultimi del 20-30% e migliorare l’outcome di entrambe le condizioni 7. Poiché la prevalenza dell’artrosi è estremamente elevata, la valutazione del rischio CV dei pazienti che si rivolgono al MMG a causa del dolore associato a tale condizione rappresenta un’opportunità per migliorare l’identificazione dei pazienti a rischio di eventi CV e per implementare precocemente delle strategie di controllo e di prevenzione 7.

 

Conclusioni

La coesistenza di dolore e di patologie CV richiede un approccio integrato, multidisciplinare e interdisciplinare, con contributi da parte di esperti di diverse discipline e aree terapeutiche, finalizzati a personalizzare il più possibile il trattamento in base al profilo di rischio e alle esigenze del singolo paziente 30. La gestione dei pazienti con dolore cronico a elevato rischio CV deve tener conto di molteplici aspetti e non può prescindere dalla stretta collaborazione tra MMG, cardiologo e terapista del dolore, oltre che dal diretto coinvolgimento del paziente stesso nelle scelte terapeutiche. Con questi pazienti è suggerito, inoltre, un approccio multimodale, che preveda in maniera integrata trattamenti farmacologici e non farmacologici e che tenga conto dei rischi di interazioni farmacologiche che tipicamente interessano un paziente politrattato.

 

 


Realizzato con il contributo non condizionante di Grünental Italia srl

 

 


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