Medicina di Famiglia e Specialistica
Responsabilità medica

La decisione per sé o per gli altri nella relazione medico-paziente tra pianificazione condivisa, appropriatezza e proporzionalità delle cure

7 Ott 2022

Da Responsabilità Medica, Diritto e Pratica Clinica

 

di Teresa Pasquino – Professoressa nell’Università di Trento

 

Com’è a tutti noto, il tratto essenziale della legge n. 219/2017 è quello di essere riuscita a inserire nel tessuto normativo, dopo molti anni di attesa e di dibattito, il principio del consenso informato e a definire l’articolarsi della relazione di cura in una dimensione soggettivistica che, all’interno della legge n. 219/2017, occupa uno spazio molto significativo: ”è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.

Si tratta di un enunciato che evidenzia la solida base costituzionale della legge e l’ormai profondo radicamento del principio del consenso informato nel nostro ordinamento.

Accanto al riconoscimento del pluralismo soggettivistico, sotteso alla relazione di cura, un ulteriore profilo che trova finalmente spazio nella legge è l’apertura a quella libertà di scelta per il paziente che realizza a pieno il principio di autodeterminazione. In questo senso, la relazione di cura, che si plasma sul dialogo e sullo scambio delle informazioni riguardanti la diagnosi, la prognosi, i benefici, i rischi e le possibili alternative, raggiunge il proprio acme al momento della decisione del paziente. La persona può acconsentire ma anche rifiutare, «in tutto o in parte, […] qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario». Il consenso già prestato può anche essere revocato in ogni momento, anche qualora ciò implichi l’interruzione di un trattamento, anche se si trattasse di un trattamento salvavita.

Ha preso, dunque, forma quello che è stato definito il «nuovo habeas corpus», nel quale le scelte sulla salute costituiscono parte integrante dello svolgimento della personalità e della identità della persona.

La realizzazione dei principi costituzionali sull’autodeterminazione nel campo della salute, inoltre, ha trovato compiutamente forma non solamente nelle previsioni sul consenso informato (art. 1), ma anche nella proiezione di questo nel tempo e nello spazio fino a coprire l’area dell’incapacità. Grazie a quanto previsto, da un lato, dall’articolo 3 della legge n. 219/2017, in riferimento alla specifica condizione delle persone prive di capacità e dei minori e, dall’altro lato, dall’introduzione nell’ordinamento giuridico degli istituti delle disposizioni anticipate di trattamento (art. 4) e della pianificazione condivisa delle cure (art. 5), il promovimento dell’autonomia individuale si dispiega anche oltre l’attualità del consenso.

Sono passati ormai quasi vent’anni dal parere del 18 dicembre 2003, in cui il Comitato nazionale di bioetica osservava come «Uno dei rilievi più frequentemente mossi alle dichiarazioni anticipate, o a documenti consimili, riguardava l’astrattezza di cui questi documenti inevitabilmente soffrirebbero; un’astrattezza e genericità dovuta alla distanza, psicologica e temporale tra la condizione in cui la dichiarazione viene redatta e la situazione reale di malattia in cui essa dovrebbe essere applicata. Ed invece, nella più attuale concezione, la decisione di redigere le dichiarazioni anticipate – ovviamente non pensate come un mero atto burocratico – potrebbe scaturire da una riflessione sui propri valori, sulla propria concezione della vita e sul significato della morte come segno dell’umana finitezza, contribuendo così ad evitare quella “rimozione della morte”, che molti stigmatizzano come uno dei tratti negativi della nostra epoca e della nostra cultura».

 

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