Medicina di Famiglia e Specialistica
COVID-19

Infezione da COVID e stato nutrizionale

4 Gen 2022

Evasio Pasini – Specialista in Biochimica Clinica e Cardiologia

Introduzione

Per poter gestire al meglio l’infezione da SARS-CoV-2 in fase acuta è bene innanzitutto conoscere i meccanismi attraverso cui si esplicano e si susseguono i meccanismi patogenetici responsabili dei danni organici e delle conseguenti manifestazioni cliniche.

Gli studi pubblicati in letteratura hanno dimostrato che il SARS-CoV-2 innesca quella che è stata ribattezzata una “tempesta citochinica”: un processo per cui il sistema infiammatorio attivato dal virus produce e libera una serie di molecole (citochine per l’appunto, quali interleuchina 6, interleuchina 1 e tumor necrosis factor) con effetto catabolico, ossia tali da innescare un’azione demolitiva endocellulare.

In aggiunta, il virus infetta direttamente le cellule dotate di uno specifico recettore (ACE-2) al quale il SARS-CoV-2 si lega e libera il suo patrimonio genetico all’interno della cellula stessa (Fig. 1).

 

Entrambi questi fenomeni causano la distruzione prevalentemente delle proteine cellulari, ma anche di quelle globulari del sangue, albumina ed emoglobina in primis.

Il virus: biologia e patogenicità

Al di là del suo impatto sistemico, che coinvolge l’intero sistema immunitario, il virus infetta le cellule avvalendosi di un sito di legame, costituito dal recettore dell’angiotensina II (ACE-2), presente in quasi tutte le cellule dell’organismo, che a loro volta, di conseguenza, si trasformano in un potenziale veicolo di infezione. Una volta riconosciute le cellule-bersaglio, il virus, con le proprie proteine spike, le “protuberanze” che conferiscono alla sua struttura il classico aspetto radiato, entra al loro interno (Fig. 2), sfruttandone le risorse e i componenti al fine di portare a termine quella che si potrebbe definire la sua “missione biologica”, ossia replicarsi dando luogo alla formazione di altre nuove particelle virali (virioni).

Più in dettaglio, una volta avvenuto l’ingresso, il virus, dismesso il proprio involucro, rilascia il suo materiale genetico (RNA messaggero, mRNA), che si fonde con quello della cellula infettata. In quest’ultima si attivano falsi segnali che trasmettono l’ordine di autodemolire o autodigerire le sue stesse strutture, prevalentemente le proteine, rappresentate da enzimi, mitocondri (gli organelli deputati alla produzione di energia) e, nel caso del tessuto muscolare, le fibre contrattili. Le proteine della cellula, infatti, sono la materia prima dalla quale il virus recupera gli aminoacidi necessari a sintetizzare le proprie proteine e a completare il suo stesso ciclo replicativo. Una volta che la cellula è stata cannibalizzata e le sue strutture sono state fagocitate, si assemblano i nuovi virioni, che vengono poi liberati per dare continuità alla catena del contagio.

Il danno cellulare

Alla luce di quanto illustrato si può affermare che il danno maggiore prodotto dal SARS-CoV-2 è a carico del metabolismo proteico dei vari organi che sono il bersaglio del virus: polmoni, intestino, occhi, fegato, cervello, nervi, naso, cuore, vasi sanguigni e reni (Fig. 3).

Organi caratterizzati da un comun denominatore, e cioè la presenza di cellule provviste del recettore ACE-2 che, come già affermato, permette l’ancoraggio e l’ingresso del virus. I principali organi bersaglio i polmoni, nei quali il virus, circolando nell’aria dell’ambiente circostante, si imbatte in prima istanza.

Anche il sistema immunitario viene direttamente coinvolto: le immunoglobuline, infatti, sono proteine sintetizzate dai linfociti grazie all’intervento di enzimi, che sono anch’essi proteine. Nell’alterazione del metabolismo proteico si innesta così un altro fenomeno critico, il protein disarrangement. L’insediamento nelle cellule dotate del recettore ACE-2 si esplicita in un danno funzionale degli organi-bersaglio sopraelencati e spiega perché in circa il 20-25% dei pazienti si rileva un aumento delle transaminasi o la comparsa di sintomi intestinali, come la diarrea. Poiché i recettori ACE-2 sono particolarmente rappresentati nell’endotelio, quest’ultimo può andare incontro a una disfunzione che diventa molto pericolosa con l’iperattivazione della coagulazione e la conseguente possibile formazione di trombi. Se viene dunque coinvolto l’endotelio cerebrale l’alterazione della coagulazione può comportare ictus, mentre a livello polmonare si produrrà embolia e in sede renale potrà svilupparsi un’insufficienza d’organo.

La replicazione nelle cellule epiteliali

Il processo è stato chiaramente osservato nelle cellule isolate di tipo epiteliale mediante immagini ottenute con microscopia elettronica come illustrato nella Figura 4.

La presenza del virus e la fenomenologia replicativa, con le relative conseguenze, sono state confermate in vivo nell’essere umano in preparati tessutali valutati con microscopia ottica mediante opportune colorazioni: quella con ematossilina-eosina mostra come l’interstizio, per esempio di tessuto polmonare o intestinale, venga occupato da agglomerati di linfociti che, dopo aver invaso l’endotelio, innescano un marcato processo infiammatorio. La colorazione con tecnica immunoistochimica, invece, evidenzia, sotto forma di macchie scure, la presenza di caspasi 3, l’enzima che regola l’autofagia della cellula, a riprova dell’attivazione, indotta dal SARS-CoV-2, delle vie cataboliche finalizzate al reperimento delle molecole necessarie alla produzione di nuovi virioni.

Il metabolismo proteico cellulare

Anche se non è possibile studiare l’andamento del metabolismo internamente alla cellula, poiché il virus intacca le proteine globulari del sangue, si possono ottenere informazioni importanti sull’alterazione del metabolismo proteico dosando il livello di albumina ed emoglobina. Un recente lavoro (Chen et al., 2020) evidenzia in un’elevata percentuale di pazienti con COVID-19, con forma severa e non severa, alterazioni significative della concentrazione di albumina e emoglobina, con danni sensibilmente maggiori nei pazienti gravi, nei quali è stata riscontrata una correlazione inversa tra i valori delle due proteine ematiche e i marker infiammatori. Si conferma così quanto già esposto: l’infiammazione induce una condizione ipercatabolica che a sua volta genera un’alterazione del metabolismo delle proteine (protein’s disarrangement, Fig. 5), documentato dalla variazione del livello di albumina ed emoglobina. La funzione di quest’ultima, come pure gli effetti della sua carenza, sono ben noti: l’emoglobina è infatti deputata al trasporto dell’ossigeno nel sangue, in modo da consentire la respirazione mitocondriale e quindi la produzione di energia, e la condizione legata alla sua riduzione patologica è l’anemia. Per contro, l’albumina è una molecola dalla forma assimilabile a un cuore (Fig. 6) che regola la pressione colloido-osmotica e lo scambio tra sangue e cellule.

Essa, inoltre, funge da trasportatore di alcuni ormoni, vitamine liposolubili, acidi grassi liberi, bilirubina, tossine e alcuni farmaci e, grazie alla presenza di cariche negative, quindi, riesce anche a legare e veicolare ioni positivi, come il calcio. L’albumina, poi, modula il pH plasmatico, interagendo con l’endotelio, nei cui confronti svolge un’azione protettiva, facilita e regola il tono vascolare e la coagulazione ematica e svolge anche un’azione antiossidante. In caso di necessità, infine, l’albumina, viene demolita al fine di fornire gli aminoacidi necessari a garantire un metabolismo adeguato e a supportare un organismo fortemente stressato da una sindrome ipercatabolica.

 

La sindrome post-COVID (o long-COVID)

Alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato in pazienti guariti da una pregressa infezione acuta da COVID-19, indipendentemente dalla severità della fase acuta, la persistenza a distanza di mesi di sintomi importanti, invalidanti e quanto mai eterogenei. Tra questi i principali sono: astenia, dispnea, diarrea, nausea, vomito, scarsa concentrazione, paralisi di nervi periferici e perfino manifestazioni particolari, come la perdita dei capelli. Oltre a formulare una diagnosi corretta del singolo paziente è fondamentale una supplementazione con nutrienti personalizzati basati sulle necessità metaboliche (aminoacidi, vitamine e probiotici), come sarà a breve illustrato.

Il trattamento: dai farmaci all’approccio nutrizionale

Nella gestione di pazienti affetti da COVID in fase acuta, accanto alla terapia tradizionale, ormai consolidata, che si avvale di antinfiammatori, antipiretici, antivirali, antibiotici e, ove necessario, ossigenoterapia e ventilazione, a seconda dei singoli casi invasiva o non invasiva, è possibile supportare la condizione di stress metabolico del paziente con un’adeguata strategia nutrizionale integrata basata sull’apporto di diversi componenti. Attualmente due sono le linee suggerite:

  • il supporto nutrizionale integrato (Fig. 7) ovvero un’integrazione nutrizionale finalizzata ad apportare al paziente le molecole “sottratte” dal virus. Queste riguardano prevalentemente le proteine cellulari (incluse quelle mitocondriali) e le proteine globulari ematiche (albumina ed emoglobina) che, come già affermato, registrano una riduzione significativa;
  • la riabilitazione funzionale/motoria necessaria a riattivare il metabolismo alterato dell’infezione virale.

 

L’impostazione di un’adeguata terapia riabilitativa nutrizionale prevede l’utilizzo di specifiche miscele di singoli amminoacidi essenziali (EAA) in grado di soddisfare i fabbisogni metabolici umani. Va ricordato che, per definizione, gli EAA devono essere introdotti con l’alimentazione, in quanto l’organismo non è in grado di produrli autonomamente, a differenza degli amminoacidi non essenziali, che vengono sintetizzati a partire da precursori. Le miscele devono avere caratteristiche biochimiche ben precise e una composizione ottimale per soddisfare specifiche funzioni metaboliche, ovvero favorire la sintesi proteica e la mitocondriogenesi, ed essere costituite da singoli aminoacidi, che sono più facilmente digeribili e assimilabili. Le miscele devono contenere vitamine, in particolare quelle di gruppo B, che intervengono nel metabolismo aminoacidico ed energetico (in particolare nei processi di decarbossilazione e metilazione). Di particolare importanza è la vitamina D per gli effetti anabolici e proteinosintetici diretti e gli effetti di mediatore dell’infiammazione (antinfiammatorio).

La nutrizione integrata deve inoltre prevedere l’impiego di probiotici, benefici per la flora intestinale. Diversi lavori dimostrano infatti che il microbiota intestinale è fortemente alterato dal virus (a fronte della presenza di recettori ACE-2 nell’intestino) e dalla terapia messa in atto per contrastarlo (antibiotici, cortisonici). La disbiosi, quando presente, ostacola l’attività funzionale del tubo digerente per cui l’apporto di aminoacidi essenziali e vitamine è fondamentale per il recupero della sintesi proteica, mentre i probiotici supportano i processi digestivi e concorrono a modulare la flogosi in uno degli “organi infiammatori” più importanti dell’organismo.

La strategia nutrizionale integrata con EAA è efficace anche nel trattamento di pazienti post-COVID. Uno studio (Tab. I) ha infatti dimostrato che l’impiego di questa miscela di EAA si associa, a distanza di 2 mesi, a un incremento lineare e significativo del livello di albumina e emoglobina (Fig. 8).

 

 

Un altro lavoro (D’Antona et al., 2010) ha dimostrato che una miscela di EAA Human Tailored, tale cioè di soddisfare i fabbisogni nutrizionali umani, è capace di indurre un aumento di RNA mitocondriale, suggestivo di un incremento della mitocondriogenesi e di conseguenza del metabolismo energetico cellulare (produzione di ATP) e dell’efficienza dei sistemi enzimatici antiossidanti cellulari, quali le catalasi, la superossidodesmutasi e la glutatione perossidasi.

Messaggi conclusivi

Il materiale delle cellule infettate prevalentemente utilizzato dal SARS-CoV-2 per replicarsi sono gli aminoacidi derivati dalla demolizione delle proteine. Di fatto gli aminoacidi servono per sintetizzare le proteine virali che sono la maggior parte dei componenti del virus stesso.

Nell’infezione da SARS-CoV-2 il metabolismo proteico risulta fortemente compromesso, portando a una condizione metabolica definita protein’s disarrangement che riguarda molti organi quali: polmoni, fegato, intestino, cervello, nervi, cuore, reni e/o sistemi quali quello immunitario, energetico e connettivale ematico e tissutale.

I danni causati dal virus e i sintomi da questi generati possono durare anche mesi dalla guarigione clinica dall’infezione acuta e sono indipendenti dalla gravità clinica di questa fase. Tale condizione è definita “Sindrome Post-COVID”. Essa è una condizione fisiopatologica complessa che richiede una terapia riabilitativa integrata nutrizionale con aminoacidi, vitamine e probiotici che tenga conto dei fabbisogni metabolici e delle condizioni cliniche del singolo paziente.

 

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