Medicina di Famiglia e Specialistica
Salute e prevenzione

I disturbi del sonno legati ad ansia e stress

25 Mar 2025

Intervista al prof. Andrea Romigi Neurologo;  Direttore del Centro di Medicina del Sonno IRCCS Neuromed; Professore di Neurologia presso l’Università UniCamillus

 

 

Dottore, che tipo di pazienti giungono da lei con disturbi del sonno dovuti ad ansia e stress? Inquadri brevemente questi pazienti.

Non esistono pazienti specifici, perché ansia e stress non risparmiano né età né genere, sebbene sicuramente esistano alcuni target più soggetti. Uno è il genere femminile, che è più incline a sviluppare disturbi del sonno e sintomi depressivi in correlazione sia agli aspetti ormonali, sia agli aspetti legati alla vita di tutti i giorni, a causa del carico di responsabilità bilaterale (familiare e lavorativo) che rimane, nonostante un’evoluzione della società attuale rispetto al retaggio culturale. A questo si aggiungono poi tutte le pressioni della società 24/7 in cui viviamo, che ci richiede di essere performanti e reattivi a tutte le ore del giorno, sette giorni su sette. Tutto ciò fa sì che lo spazio legato al sonno sia intaccato, perché ritenuto quasi una sorta di lusso o, peggio ancora, una perdita di tempo. Per tutte queste caratteristiche, ansia e stress sono parte integrante della vita di tutti i giorni.

C’è poi il target in età tardo-adolescenziale/prima età giovanile, in cui è presente un tasso di psicopatologia che attualmente supera quasi un terzo della popolazione di questa fascia di età. Non si tratta di un fenomeno solo Covid-correlato, perché di fatto questo dato era già in crescita prima della pandemia. Sicuramente la causa va ricercata in una sorta di pressione esterna e in un modo di comunicare che è cambiato in maniera così evidente da modificare alcuni aspetti della vita di tutti i giorni. Ad esempio, sempre più spesso i ragazzi sfruttano le ore notturne per vedere l’ultima serie tv o trascorrono il tempo su schermi i cui stimoli visivi hanno un impatto su quello che noi chiamiamo span di attenzione, perché la durata dei video che osservano è talmente breve che, se si impone loro un compito cognitivo che necessita di un’attenzione leggermente più lunga, i ragazzi non riescono a performare. Risultato? Compare subito l’ansia. Inoltre, questa fascia di età è facilmente incline a forme di ansia prestazionale, cioè quella forma di perfezionismo dell’apparenza dove conta non solo apparire ma essere migliore in tutto; questo ovviamente alimenta un circolo vizioso.

Una menzione particolare meritano i giovani adulti (25-40 anni). Questi sono pazienti che soffrono di insonnia da disturbo del ritmo circadiano. Hanno il classico avanzamento di fase: il loro cronotipo è quello del “gufo”, per cui tendono ad andare a letto molto tardi e al mattino presto sono completamente dormienti. Questo aspetto del ritmo circadiano è molto presente nell’epoca moderna ed è chiamato social jet lag: consiste nel recuperare il sonno nei giorni del weekend, allungando l’orario di risveglio al mattino, e nel registrare la privazione del sonno durante la settimana. In questo quadro, paradossalmente, ansia e stress nell’anziano non hanno una grande incidenza, sebbene i sintomi depressivi siano molto presenti e lo siano anche i disturbi del sonno, che possono giovare di approcci clinici e terapeutici. Per tutti questi motivi, dunque, parlare di una fascia precisa di pazienti con disturbi del sonno legati ad ansia e stress diventa difficile.

 

Come ansia e stress influiscono sulla qualità del sonno?

Fisiologicamente esiste un sistema che ci tiene svegli durante il giorno che è regolato dall’orexina, la quale tende ad abbassarsi durante la notte. I livelli di questo neurotrasmettitore sono tenuti alti dagli stimoli esterni, assieme al cortisolo e a tutta una serie di modulazioni ormonali che ci rendono performanti durante la giornata e che sono influenzati da ansia e stress. I disturbi del sonno insorgono quando non riusciamo a far scendere fisiologicamente i livelli di questi ormoni durante la notte.

In generale, il sonno risente moltissimo del rispetto dell’igiene del sonno e, a sua volta, l’igiene del sonno risente moltissimo della quota di ansia e stress presenti. Per igiene del sonno si intende una regolarità nelle abitudini, che ansia e stress tendono a modificare, ad esempio:

alimentazione: ansia e stress ci portano spesso a digiunare durante il giorno e a spostare la bilancia del nostro apporto calorico verso sera;

attività fisica, che viene relegata in uno spazio serale pur di continuare a svolgerla, perché altrimenti durante il giorno non ce n’è il tempo;

connessione col mondo esterno, che tende ad essere praticamente continua, perché esposti a notifiche dai social media ma anche per cause lavorative, per cui si è portati a rispondere alle mail o alle urgenze anche in orario serale.

La conseguenza primaria dell’avere abitudini irregolari è l’insonnia che, quando si cronicizza, non solo determina la fatica ad addormentarsi, ma anche la difficoltà a mantenere il sonno, per cui ci si sveglia molto presto la mattina. Ci sono poi le conseguenze diurne, tant’è che ormai l’insonnia è chiamata sindrome delle 24 ore, e il risultato è che durante il giorno non si è performanti. Il disturbo d’ansia e la quota di stress cominciano così ad accrescersi e questo non fa altro che auto-alimentare questo circolo vizioso, che può portare anche a conseguenze importanti, come commettere errori sul lavoro, o pericolose, come avere colpi di sonno mentre si è alla guida.

Nel concetto di igiene del sonno rientra inoltre il rispetto del letto come luogo del sonno. Ansia e stress portano a consultare il telefono anche a letto o addirittura a lavorare col pc portatile sulle gambe. Tutto questo, ovviamente, a un certo punto rompe l’equilibrio, influendo sulla capacità di staccare e lasciare spazio al riposo.

 

Oltre all’insonnia, quali altri disturbi del sonno possono essere collegati ad ansia e stress?

Ansia e stress portano immediatamente anche a disturbi dell’attenzione, che non ci consentono di avere un’adeguata performance cognitiva in contesti in cui dovremmo manifestare un’attenzione appropriata. La sonnolenza dovuta alla privazione di sonno notturna peggiora questo tipo di problema, per cui cominciamo ad avere difficoltà nel portare a termine compiti routinari. È possibile che, nel breve periodo, si possa continuare ad essere performanti sulla causa del nostro stress, che può essere la situazione lavorativa o anche situazioni affettive o sociali, ma sicuramente non nel lungo termine.
In questo contesto, è la soglia di percezione del disturbo che fa la differenza. Spesso, infatti, ansia e stress sono anticamera di sintomi depressivi o di quadri psicopatologici che, a lungo termine, rendono necessari approcci farmacologici più importanti se non si agisce nell’immediato.
E per quanto riguarda disturbi cardiaci, palpitazioni, sbalzi di pressione?
Sicuramente ansia e stress, attivando l’asse del cortisolo, aumentano fisiologicamente la frequenza cardiaca, ma non solo: rendono più rigido tutto il sistema, che si adatta meno bene ai reali stimoli stressanti. Infatti, se il sistema è sempre sovra-soglia, non riesce poi a adattarsi a una condizione diversa e diventa quindi meno resiliente.
Per quanto riguarda la risposta pressoria, in condizioni di ansia e stress la pressione sistolica tende a innalzarsi e a superare abbondantemente il cut-off clinico del 140 mmHg, soglia d’attenzione per la Medicina Generale e per la Cardiologia.

 

Spesso, in questa situazione, si tende a trattare il sintomo e non ad agire sulla causa, perché il riscontro costante di valori di pressione più elevati porta a prescrivere farmaci antipertensivi. In realtà, se l’ipertensione è secondaria allo stress, il farmaco serve a poco: un betabloccante avrà un effetto solo parziale nella riduzione della frequenza cardiaca se non si rimuovono le cause sottostanti.

A supporto di questo, anche la privazione di sonno porta a un’alterazione del profilo notturno fisiologico del sonno stesso, che tende a non essere più profondo: se fisiologicamente durante il sonno si verifica una riduzione della pressione arteriosa, ansia e stress, determinandone una privazione, tendono a ripristinare quasi una curva di veglia. Questo, a lungo andare, rende tutto il sistema vascolare molto più rigido e meno responsivo ai cambiamenti.

 

Quindi impostare una terapia che agisca sulla causa di tutto sarebbe la soluzione più adatta e più opportuna?

In medicina sarebbe sempre buona regola. L’obiettivo della medicina non è trattare una malattia, ma tentare di raggiungere il benessere del paziente, che, prima di essere paziente, è una persona. Il problema è che questo concetto fatica ad arrivare, anche in contesti di prevenzione sanitaria. Se si riducono gli elementi che aumentano la probabilità di sviluppare fattori di rischio cardiovascolari, sicuramente sarà meno necessario intervenire con farmaci per abbassare la pressione o per ridurre la frequenza cardiaca o, peggio ancora, con ricoveri per eventi ischemici come infarto, ictus, ecc.

 

Abbiamo detto che è possibile gestire ansia e stress attraverso un approccio integrato, modificando cioè lo stile di  vita (alimentazione, esercizio fisico, igiene del sonno, ecc.). E se non bastasse?

Si passa agli interventi terapeutici.

Uno dei concetti fondamentali è che spesso si tende a trattare con farmaci condizioni come la timidezza o la difficoltà di relazionarsi socialmente. L’utilizzo di sostanze che non siano per forza di origine farmacologica rappresenta una soluzione intelligente per trattare quegli elementi della vita quotidiana che spesso tendiamo a patologizzare. Sicuramente una benzodiazepina è efficace sul sintomo ansia, ma dà dipendenza e aumenta tutta una serie di rischi connessi all’assunzione di un farmaco.

Considerando le varie opzioni farmacologiche per l’insonnia, tra cui le benzodiazepine e gli antagonisti del recettore dell’orexina, quest’ultimi rappresentano un’innovazione nel trattamento. Tuttavia, l’efficacia di tali trattamenti può variare notevolmente tra i pazienti: alcuni individui mostrano una risposta positiva, mentre altri non traggono alcun beneficio. Questo fenomeno può essere attribuito alla diversità nelle cause sottostanti dell’insonnia, poiché non tutte le forme sono influenzate significativamente dai livelli di orexina, suggerendo che il trattamento potrebbe non essere adatto a tutti i casi.

 

Quando e come consiglia l’utilizzo di integratori alimentari per favorire il sonno in caso di ansia e stress?

Innanzitutto, in condizioni che non siano francamente psicopatologiche. Laddove non ci sia una diagnosi di tipo psichiatrico conclamato o la presenza di sintomi d’ansia o depressione che raggiungano una soglia clinica significativa oppure laddove l’insonnia sia non cronicizzata e di lieve entità, si può intervenire con l’utilizzo di sostanze nutraceutiche che abbiano comunque un razionale dal punto di vista farmacodinamico. Il vantaggio è che questi prodotti portano a rischio quasi zero o addirittura nullo le problematiche di dipendenza, di tolleranza o di eventuali effetti collaterali.

È chiaro che usare questo tipo di prodotti in contesti in cui invece la severità dei sintomi è più che evidente presenta un rischio di inefficacia, perché probabilmente non è il contesto corretto in cui utilizzare un integratore alimentare: affiancare gli approcci farmacologici indicati in una depressione e nella quota d’ansia della depressione con un prodotto nutraceutico potrebbe aver senso, utilizzando magari un approccio integrato.

 

Quali caratteristiche dovrebbe avere, secondo lei, il prodotto ideale per ridurre gli effetti di ansia e stress e favorire il sonno?

Il prodotto ideale è sicuramente un prodotto efficace, che abbia un impatto sulla persona anche grazie a rapidi tempi di azione. L’efficacia deve poi correlare con la tollerabilità. È importante avere sostanze che abbiano una loro valenza farmacologica in termini di meccanismo d’azione scientificamente dimostrato, ma che abbiano anche quel profilo di tollerabilità che ovviamente è quasi impossibile da trovare in un farmaco. Se non c’è un’urgenza psichiatrica, si può agire in prima battuta con nutraceutici appropriati.

 

Ci può raccontare la sua esperienza con Dianazen®? C’è qualcosa che apprezza particolarmente della formulazione?

Dianazen® è un prodotto valido, sia da solo sia come supporto alla terapia, ad esempio quando si deve iniziare a ridurre i farmaci. Peraltro, la Withania somnifera ha un suo substrato farmacodinamico: agisce sui recettori GABA e questo supporta un suo utilizzo razionale nelle problematiche di ansia e insonnia. Dianazen® è uno dei pochi prodotti nutraceutici che ha dei trial pubblicati con un discreto disegno di studio. Il limite degli integratori che contengono più sostanze con una potenziale azione farmacologica è che è difficile attribuire l’effetto a uno specifico componente.

Di Dianazen® apprezzo particolarmente la tollerabilità e il fatto che comunque, anche in situazioni di media complessità, manifesta efficacia.
Ho utilizzato Dianazen® in contesti in cui intervenire con i farmaci sarebbe stato più complicato, per esempio di fronte a una complessa politerapia di un anziano oppure in pazienti adolescenti o giovani adulti quando non era il caso di intervenire farmacologicamente, considerando i possibili effetti collaterali della terapia farmacologica. Se si è in un contesto in cui si può evitare il farmaco, perché non evitarlo utilizzando un nutraceutico di comprovata efficacia?

 

Quali pazienti, secondo lei, hanno maggiormente beneficiato della terapia con Dianazen®?

Innanzitutto, i pazienti drug-naïve, ove non ci sia una diagnosi psichiatrica o dei sintomi psichiatrici di entità tale da rendere necessari gli appropriati trattamenti farmacologici. È ovvio, per contro, che un paziente abituato ad assumere benzodiazepine da anni, difficilmente con un prodotto non farmacologico potrà riuscire a ottenere un effetto, a meno che l’effetto placebo non sia elevato. Da questo punto di vista, più il paziente è drug-naïve meglio è per impostare un trattamento con un nutraceutico. Nei pazienti naïve a qualsiasi trattamento prescrivo Dianazen®, una compressa 2-3 volte al giorno, e fino ad ora non ho riscontrato nessun problema di tollerabilità.

Anche per i pazienti in giovane età, cosa che spesso va di pari passo con l’essere drug-naïve, Dianazen® è un’opzione molto valida.

Infine, i pazienti con un’entità lieve dei sintomi. In presenza di un quadro lieve, sicuramente si ha una maggiore probabilità di ottenere un buon risultato. È ovvio, per contro, che in quadri sopra la soglia clinica, l’integratore alimentare può rappresentare solo un prodotto di supporto che si affianca alla terapia farmacologica indicata dalla buona pratica clinica. Più facilmente, può essere inquadrato in uno schema terapeutico di associazione, ovviamente tenendo anche in considerazione aspetti legati ai costi del prodotto stesso.

Altro target che beneficia di Dianazen® sono le pazienti donne in pre-menopausa o menopausa con disturbi d’ansia, disforie, ecc.

Un’ultima, ma non infrequente, tipologia di pazienti target di Dianazen® è quella delle persone che non accettano approcci farmacologici. Ci sono pazienti che non vogliono prendere psicofarmaci e che lo dichiarano apertamente al medico, per cui è necessario trovare una soluzione alternativa a cui Dianazen® risponde perfettamente.

 

Nella sua esperienza in real-life, dopo quanto tempo si vedono gli effetti del trattamento con Dianazen®?

In genere, i primi effetti sono visibili già dopo un paio di settimane, ma consiglio di aspettare almeno un mese per valutarne l’efficacia completa.

 

Quali sono i campanelli d’allarme da considerare per indirizzare un paziente dallo specialista?

Per quanto riguarda il sonno, sicuramente la presenza di insonnia cronica, che si definisce con la regola del 3: insonnia manifesta da più di 3 mesi, più di 3 volte a settimana. Se l’insonnia non è ancora cronica, il medico di base può sicuramente provare a trattarla.

La quota di stress nella nostra vita è in aumento e questa è una verità, ma è anche vero che si lavora poco in termini di prevenzione. Siamo di fronte a un continuo incremento dei ritmi quotidiani, lavorativi e personali, e su questo bisogna agire sicuramente.

Lo stress ci spingerà a privarci sempre più del sonno fino a dire che, forse, potremmo vivere senza dormire? In realtà, se decideremo di non dormire più, ci estingueremo in un meccanismo non di evoluzione ma di selezione, che è ben diverso. Sopravviverà chi farà la scelta più intelligente: seguire la fisiologia di ciò che siamo.

 

 

 

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