Medicina di Famiglia e Specialistica
Metabolismo

Gestione clinica dell’ipotiroidismo, trattamento terapeutico, vantaggi delle formulazioni liquide e loro stabilità

23 Mag 2023

Daniele Barbaro

Endocrinologo, Direttore U.O. Aziendale di Endocrinologia ASL Nordovest Toscana

 

 

La tiroide produce principalmente levotiroxina (T4), mentre la triodotironina (T3) deriva in larga parte dal metabolismo periferico della T4. Il rapporto tra la secrezione di T4 e T3 a livello tiroideo è di circa 15 a 1, mentre l’80% della T3 circolante deriva dalla produzione periferica della desiodasi tipo 1 epatica.

Sia la T4 che la T3, dopo somministrazione orale, sono rapidamente e ben assorbite a livello dei vari tratti del piccolo intestino. Tuttavia, considerando gli aspetti di fisiologia appena ricordati e le differenze farmacocinetiche dei due ormoni, tranne rare eccezioni (deficit di desiodasi dimostrato), la terapia sostitutiva si effettua con preparazioni contenenti solo levotiroxina sodica sintetica (L-T4s). A due ore dall’assunzione, si verifica un picco plasmatico di T4, che talora può raggiungere il 20% in più del range di normalità. La vecchia terapia con estratti secchi tiroidei di derivazione animale, in cui la percentuale di T3 non è fisiologica e che può portare fenomeni di allergia, oggi non ha più alcun ruolo.

Le prime compresse di L-T4s sono state commercializzate nel 1981 con vari eccipienti, in parte cambiati negli anni, tanto è vero che attualmente nessuna compressa contiene lattosio. Nel 2009 sono comparse le prime formulazioni liquide in gocce, poi in flaconi monodose e, infine, con siringa graduata. Anche per le formulazioni liquide gli eccipienti sono diversi a seconda del tipo di prodotto. La Tabella 1 riassume i prodotti in commercio con i vari eccipienti.

 

 

La gestione della terapia varia in base all’età del paziente, alle eventuali comorbidità – soprattutto cardiache – e al grado di ipotiroidismo di partenza. La terapia completamente sostitutiva è stimata intorno ai 1.2-1.6 mcg pro chilo o anche di più nei pazienti tiroidectomizzati. Come vedremo successivamente, sarà sempre opportuno adattare la terapia in base ai valori del TSH e procedere lentamente in base alle condizioni sopra menzionate.

 

Qual è lo scopo della terapia dell’ipotiroidismo?

Se si fa eccezione per la terapia dei pazienti operati per carcinoma tiroideo differenziato e trattati con terapia radiometabolica, in cui – almeno inizialmente – lo scopo è tenere il TSH basso/soppresso, negli altri casi ci sono due obiettivi da considerare.

Il primo obiettivo è mantenere il TSH nel range di assoluta normalità, di solito compreso tra 1 e 2,5 mU/L. Il secondo obiettivo, altrettanto importante, è valutare il benessere del paziente una volta raggiunto il target prefissato. Alcuni pazienti potrebbero non tollerare bene il picco iniziale di T4 plasmatica che si verifica dopo l’assunzione orale della terapia e potrebbero riferire alcuni disturbi quali ansia o tachicardia. Viceversa, alcuni pazienti possono continuare ad avere sintomi aspecifici riconducibili all’ipotiroidismo. Nella maggior parte dei casi, questi disturbi sono da attribuirsi all’effetto nocebo e sarà necessario tranquillizzare il paziente; in altri casi, potremmo dover adattare la terapia per mantenere il TSH generalmente ai limiti più alti della norma.

Nella mia esperienza personale, tali problemi si minimizzano titolando il farmaco ad una dose giornaliera il più possibile omogenea ed evitando schemi terapeutici che prevedano pause di uno o due giorni durante la settimana. Ad oggi, tutti i preparati consentono dosaggi intermedi e per qualche preparazione liquida è possibile addirittura prelevare dosaggi estremamente personalizzati.

 

Quali sono le differenze sostanziali fra le varie formulazioni di L-T4s?

Come accennato, attualmente sono disponibili in commercio diverse tipologie di preparati: compresse, capsule molli e preparati liquidi. Queste preparazioni differiscono come tipo di eccipienti ma, in realtà, le differenze sostanziali sono legate alla velocità e alla completezza della dissoluzione della forma farmaceutica e dunque alla velocità di rilascio del principio attivo. In generale, le compresse richiedono un tempo di dissoluzione maggiore rispetto alle capsule molli, mentre i preparati liquidi sono già pronti per essere assorbiti. Le compresse, in particolare, hanno un tempo di dissoluzione e di assorbimento che, secondo alcuni studi, può arrivare fino ad un’ora. Alcuni farmaci, cibi o bevande (come il succo di papaya o il caffè) che modificano il pH gastrico possono ritardare sensibilmente la dissoluzione della compressa e l’assorbimento del principio attivo. Inoltre, anche varie patologie gastriche possono rendere più difficoltoso l’assorbimento. L’assunzione per le compresse deve avvenire a digiuno e la classica mezz’ora raccomandata prima di fare colazione potrebbe non essere sufficiente a produrre un assorbimento costante nei diversi giorni. Le capsule molli sono meno influenzate dal tempo di digiuno dopo la loro assunzione e, almeno con il caffè, non sembrerebbero esistere interferenze significative. I preparati liquidi, invece, sono già pronti per l’assorbimento del principio attivo.

 

Come scegliere il tipo di formulazione: compresse o preparati liquidi?

In linea di massima, le compresse appaiono più semplici da utilizzare e possono essere la scelta preferita per pazienti con importanti problemi di vista e in tutti i pazienti che non assumono farmaci che modificano il pH gastrico e che non hanno problemi a mantenere al mattino un digiuno di almeno 30 minuti (caffè compreso) dopo l’assunzione del farmaco. Con le compresse, tuttavia, sarebbe meglio attendere per un tempo superiore, ad esempio un digiuno completo per almeno un’ora dopo l’assunzione, oppure un tempo il più possibile fisso rispetto alla colazione. Le capsule molli possono essere un’alternativa interessante soprattutto per chi è abituato a prendere il caffè poco dopo il risveglio. Da segnalare che le capsule molli sono in fascia C.

I preparati liquidi possono essere presi durante la colazione, se leggera, ed esiste un’abbondante letteratura a sostegno di questa pratica. Questi, inoltre, possono essere assunti quando il paziente è in terapia con farmaci che modificano il pH gastrico, poiché essi non ne alterano in modo significativo l’assorbimento. Queste formulazioni sono in fascia A.

Di norma, la mia prima scelta, salvo esplicite richieste, ricade sui preparati liquidi.

 

Quali possono essere i vantaggi di un preparato liquido rispetto all’altro?

Questo argomento è senz’altro più complesso. I preparati liquidi in flaconcini monodose sono pratici e dispongono di molti dosaggi. Tuttavia, eventuali aggiustamenti di terapia implicano il cambio del dosaggio e questo comporta lo spreco del farmaco oppure può obbligare, generando confusione, a una terapia non omogenea nella settimana (come accade con le compresse). Alcuni preparati liquidi contengono alcool, sebbene in quantità molto bassa. Esistono, poi, i preparati liquidi in gocce, utili per i dosaggi molto bassi, ma che possono diventare scomodi per dosaggi superiori a 50 mcg. Un altro preparato, infine, è dotato di una siringa calibrata fino a 5 cc e permette una titolazione eccezionalmente personalizzata, utile in particolare nei pazienti pediatrici, nelle donne in gravidanza e in tutte quelle situazioni in cui il fabbisogno di levotiroxina varia facilmente.

In conclusione, i preparati liquidi sarebbero da preferire per le ragioni sopra menzionate, salvo casi particolari o richieste specifiche del paziente. Alcuni flaconcini monodose con dosaggi fino a 200 mcg sono particolarmente utili per chi deve assumere una quantità significativa di levotiroxina sodica. Per quantità inferiori a 100 mcg o per pazienti che necessitano frequentemente di un aggiustamento posologico possiamo usare il flacone multidose con siringa graduata che, come detto, permette una titolazione giornaliera ottimale e, in caso di necessità, non obbliga al cambio di confezione.

 

Bibliografia

 

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