Medicina di Famiglia e Specialistica
Neuropsichiatria

Genio e follia. L’autopsia psicologica di Edvard Munch

11 Apr 2023
cervello-puzzle

Liliana Dell’Osso

Direttore Clinica Psichiatrica, Università di Pisa
Presidente Eletto, Società Italiana di Psichiatria

 

Introduzione

Il binomio genialità e follia è un topos che affonda le proprie radici nel mondo antico. Aristotele stesso ne riconosceva l’esistenza, facendo coesistere le due realtà sulla base di un reciproco rapporto di necessità, per cui la presenza dell’una determinava inevitabilmente la presenza dell’altra. Eppure, nonostante l’apparente certezza aristotelica, tale binomio è giunto fino a noi attraverso i secoli portando con sé un bagaglio consistente di dubbi e di domande a cui la scienza ha cercato di dare una risposta.

Esiste una base neuroscientifica dell’eccezionalità umana? È possibile che un pensiero divergente sia determinato in una certa misura da un cervello altrettanto divergente?

L’autopsia psicologica muove i suoi primi passi proprio da questa ipotesi, dalla possibilità che quelle personalità ritenute nel corso del tempo geniali, pur nella loro peculiare diversità, abbiano potuto presentare un comune denominatore, che abbia loro consentito l’accesso a un pensiero più originale, più creativo, ma al tempo stesso anche più predisposto alla stranezza, alla presenza di comportamenti anomali e talvolta alla psicopatologia.
In un certo senso, Erodoto fu il primo ad adottare il metodo dell’autopsia psicologica (implementandolo con la raccolta attenta delle testimonianze) nelle sue Storie, che intraprese “affinché le vicende degli uomini con il tempo non si sbiadiscano e le imprese importanti e mirabili non perdano la fama”.
Più nello specifico, l’autopsia psicologica si configura come uno strumento scientifico accurato, una perizia psichiatrica più che un’indagine psicologica, che ha consentito di chiarire la complessa traiettoria della malattia mentale nel suo intrecciarsi con eventi traumatici personali e sociali e di avanzare interpretazioni diagnostiche inedite anche su una delle più significative figure dell’arte del Novecento, ovvero Edvard Munch.

Edvard Munch, che pose come obiettivo dichiarato della sua opera (e della sua esistenza) la “vivisezione” di se stesso, si è imposto come candidato ideale ad “autopsia psicologica” nel saggio “Pennelli come bisturi” (Dell’Osso L, Toschi D. Pennelli come bisturi. Autopsia psicologica di Edvard Munch. Alpes Italia, 2023). Oltre all’analisi della sua produzione artistica, preziose informazioni emergono dai numerosi scritti autobiografici, sparsi in maniera disordinata in un’enorme quantità di fogli e taccuini, che l’artista provò ad organizzare senza mai riuscirci. Alla luce di essi, la sua produzione figurativa appare come un’autobiografia: “I miei quadri sono i miei diari”.
Molti dati aggiuntivi provengono da coloro che lo hanno conosciuto e hanno lasciato puntuali testimonianze del “bel vichingo nordico”, un uomo solitario che è rimasto in gran parte un mistero. Una bellezza sorprendente in stracci abbottonati sino al mento, dall’aria di un nobile orgoglioso, anche quando stava morendo di fame.

C’era in lui l’innocenza di un bambino, ed anche un’incredibile complessità.

 

L’autopsia psicologica di Edvard Munch

“Abbiamo bisogno di una psicologia della creatività. E questo è esattamente ciò di cui la maggior parte degli psicobiografi non si preoccupa. La creatività, che è ciò che distingue i soggetti dei loro studi dal resto dell’umanità, viene data per scontata, e invece è proprio la cosa che ha bisogno di essere spiegata.”

L’affermazione della giornalista statunitense Joan Acocella (2008) ci mostra come le grandi riflessioni sul rapporto tra genio e follia siano state sinora insoddisfacenti. In realtà sono molti i personaggi di spicco che si sono dedicati a questo tema, ritenendolo uno dei più rilevanti nell’ambito delle scienze della mente (William James, Cesare Lombroso, Sigmund Freud, Karl Jaspers …). Tutti loro e molti altri hanno cercato di fare chiarezza su questo argomento, che è divenuto un vero e proprio  “unicorno” delle neuroscienze, senza tuttavia riuscirci in modo definitivo.

Il metodo dell’autopsia psicologica (già usato dalla clinica psichiatrica forense) ci consente di esaminare l’intero arco vitale del soggetto esaminato; utilizzando questo approccio su soggetti “geniali” abbiamo evidenziato come una matrice comune di “neurodiversità”  possa dar luogo da una parte alla vulnerabilità per la  malattia mentale, dall’altra a conseguimenti eccezionali.

Munch ne rappresenta un caso emblematico e si presta particolarmente bene ad essere oggetto di un’autopsia psicologica: oltre ad un’opera pittorica vastissima, gran parte a carattere autobiografico, ci ha lasciato anche un’enorme quantità di scritti in cui riflette su se stesso, sulla familiarità per disturbi psichici in linea paterna  e sull’influenza che i propri eventi di vita ebbero sulla sua creatività. Con entrambi i medium (pittura e scrittura) ci ha offerto una vera e propria “autopsia eseguita su se stesso”, che lui chiamava “dissezione di un’anima”.

Col suo aiuto ed anche col suo “consenso post-mortem” (egli desiderava che la sua opera e le sue riflessioni fossero di aiuto, un giorno, a chi volesse cercare “gli universali dell’anima”) abbiamo rilevato come a partire da un Disturbo dello Spettro Autistico, per il sovrapporsi di eventi precoci luttuosi, egli sia divenuto uno dei pittori più originali e produttivi del suo tempo. Un episodio psicopatologico particolarmente grave che condusse ad un ricovero psichiatrico tra il 1908 e il 1909 interruppe uno stile di vita autodistruttivo. Negli anni successivi visse in modo più ritirato e prudente, e la sua creatività non ne risentì, tutt’altro: il “solitario di Ekely” continuò ad ispirare le avanguardie europee, come aveva sempre fatto.

Le caratteristiche di “neurodiversità” di Munch, eccezionalmente, contenevano elementi che gli conferivano non solo genio e aspetti patologici, ma anche strumenti di resilienza, che gli hanno consentito non solo una lunga vita, ma anche una lunga carriera che si è protratta, senza interruzioni e senza perdere il carattere di una ricerca innovativa, per oltre sessant’anni.

 


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