Medicina di Famiglia e Specialistica
Diabete

Esperienza nel real world della medicina di famiglia del trattamento dei pazienti coronaropatici in relazione all’eventuale compresenza di diabete di tipo 2

16 Giu 2022

a cura di Piercarlo Salari, pediatria e divulgatore medico scientifico – Milano

 

Il diabete mellito di tipo 2 (DM2) comporta notoriamente un significativo incremento del rischio di complicanze macrovascolari, quali per esempio coronaropatia e arteriopatia periferica, e microvascolari (principalmente nefropatia e retinopatia), la cui fisiopatogenesi, per quanto complessa, è riconducibile a un comune primum movens rappresentato dallo scarso controllo glicemico. Da qui la stretta necessità di un approccio sistematico che, a partire dalle cure primarie, in un contesto ben diverso da quello degli studi clinici, consenta di trasporre il rispetto delle raccomandazioni in una prevenzione efficace di eventi gravati da tassi elevati di mortalità e invalidità oltre che da un impatto notevole sui costi assistenziali. Sulla base di questo razionale è stato condotto nell’area messinese uno studio retrospettivo di coorte su circa 13mila assistiti di 10 medici di famiglia.

 

La metodologia

Sono stati raccolti e monitorati, nel corso dei due anni di durata prevista dello studio, i dati delle cartelle cliniche elettroniche dei pazienti coronaropatici, con l’obiettivo di effettuare un confronto stratificandoli sulla base di elementi demografici e clinici, a partire dalla presenza di DM2, e valutando le terapie prescritte in rapporto alle raccomandazioni delle linee guida.

 

I risultati

Sono stati identificati 96 pazienti coronaropatici (età media 74 anni), pari al 7% della popolazione complessiva, dei quali 393 (42,4%) affetti da DM2. Ipertensione e dislipidemia sono state le complicanze di più frequente riscontro, con maggiore prevalenza nei diabetici, per i quali è risultata più elevata la percentuale di consulti specialistici. Relativamente all’impiego di farmaci, antitrombotici, statine, β-bloccanti o inibitori del sistema renina-angiotensina (RAAS) sono stati prescritti rispettivamente nel 67,2% (più in dettaglio nel 72% nei diabetici e nel 63,6% nei non diabetici), 59,6% e 75,9% dei pazienti, dei quali poco meno del 50% era gestito in accordo con le indicazioni delle linee guida. Fattori predittivi dell’adesione a queste ultime sono risultati, indipendentemente dal DM2, dislipidemia, ipertensione, aterosclerosi e visite specialistiche. Altri elementi di interesse emersi dallo studio si possono sintetizzare in queste due osservazioni:

  • la presenza di DM2 non è stata un fattore indipendente correlato alla probabilità che un paziente fosse trattato in maniera adeguata secondo le linee guida;
  • gli ipoglicemizzanti erano prescritti nel 69,5% dei pazienti diabetici, dei quali, però, soltanto il 14,3% era sottoposto al trattamento appropriato con GLP-1 agonisti o con glifozine (SGLT2-i), entrambe classi raccomandate in caso di elevato rischio cardiovascolare, mentre nel 16,5% dei casi è stato registrato un uso inappropriato delle sulfaniluree.

Per quanto riguarda inoltre le statine va sottolineato che la loro prescrizione è risultata più frequente nei pazienti diabetici rispetto ai non diabetici (63,9% vs 56,5%). Questo dato ha trovato analogo riscontro nell’impiego di statine ad alta intensità nelle due sottopopolazioni di pazienti e in una percentuale di raggiungimento dei valori target di LDL significativamente più elevata nei soggetti con DM2 (8,1% vs 5,1% dei non diabetici).

 

Osservazioni conclusive

Il punto di forza principale di questo studio è che è stato condotto nella realtà in cui il medico di famiglia si ritrova a esercitare quotidianamente la propria attività, e pertanto in uno scenario quanto mai eterogeneo e condizionato non soltanto dall’aderenza alle linee guida e dal bagaglio nozionistico ed esperienziale del singolo professionista ma anche dal contesto sociale e ambientale, come per esempio l’organizzazione dei servizi sanitari, la possibilità di accesso alle cure, l’assetto territoriale e così via. A prescindere, però, da queste riflessioni e dai principali dati poc’anzi illustrati è importante focalizzare alcune conclusioni, utili anche a definire possibili margini di miglioramento della qualità assistenziale anche in un ambito più esteso rispetto a quello dello studio:

  • in generale i pazienti coronaropatici, benché ad alto rischio, non sono stati adeguatamente valutati sotto il profilo clinico, mentre la concomitanza di DM2 si è associata a un monitoraggio più attento dei parametri di laboratorio e, a eccezione dell’abitudine al fumo, dello stile di vita;
  • sub-ottimale è risultato anche il livello del trattamento dei coronaropatici nei confronti delle raccomandazioni delle linee guida: quasi la metà di questa sottopopolazione, infatti, è risultata non sottoposta a trattamento adeguato;
  • per contro, la gestione clinica dei pazienti diabetici è apparsa migliore anche dal punto di vista della terapia farmacologica. È tuttavia interessante rilevare, come sottolineano gli autori, che questa maggiore attenzione non sembra motivata dalla diagnosi di DM2, ma è più probabilmente legata alla compresenza di comorbilità che sono in genere più frequenti nei diabetici rispetto ai non diabetici, quali ipertensione, dislipidemia e aterosclerosi. Infatti l’analisi della regressione logistica mostra chiaramente che il DM2 non era un predittore indipendente di trattamento in accordo con le linee guida consigliate;
  • i dati emersi, infine, suggeriscono che i medici di famiglia siano più orientati al trattamento della singola comorbilità piuttosto che alla gestione del rischio cardiovascolare complessivo, e soltanto la consulenza specialistica è risultata un fattore determinante per il miglioramento della terapia dei pazienti coronaropatici in accordo con le linee guida. Fa tuttavia riflettere che oltre il 40% dei pazienti non è mai stato visitato dallo specialista, presumibilmente a causa di tempi di attesa troppo lunghi e della mancanza di un suo rapporto collaborativo diretto con il medico di famiglia;
  • infine sembra che il medico di famiglia non abbia ancora pienamente acquisito il concetto di “danno d’organo”, come dimostra la ridotta prescrizione delle due classi di ipoglicemizzanti raccomandate nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare.

 

Fonte: Rottura M et al. Pharmacological Treatment of Diabetic and Non-Diabetic Patients With Coronary Artery Disease in the Real World of General Practice. Front Pharmacol. 2022; 13:858385. doi: 10.3389/fphar.2022.858385

 

 

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