Medicina di Famiglia e Specialistica
Responsabilità medica

Aiuto medico al morire (riflessioni di un medico di famiglia)

21 Lug 2022

Da Responsabilità Medica, Diritto e Pratica Clinica

 

di Loreta Rocchetti – Già Medico di famiglia

 

La medicina ippocratica antica, in presenza di una morte imminente, prescriveva al medico di ritirarsi e lasciare posto al sacerdote, oggi, si chiede al medico di stare vicino al paziente fino alla fine. Il medico, quando ha esaurito la possibilità di perseguirne la guarigione, può egualmente aiutare il paziente nel momento ultimo della sua vita in diversi modi:
– aiuto a morire serenamente: togliere il dolore, sedare per quanto possibile l’angoscia e gli altri sintomi, confrontarsi con l’equipe dei curanti, stare vicino e/o organizzare persone preparate e qualificate a farlo, sostenere i familiari. Questo è compito medico fino alla sedazione palliativa terminale, atto dovuto per il controllo di sintomi intollerabili e refrattari (la prassi delle cure palliative lo testimonia);
– sospendere (o non introdurre) interventi, anche salva vita, se il paziente consapevolmente e coscientemente non li desidera e assisterlo comunque. È rispetto della volontà del paziente e sollievo dalla sofferenza che eventualmente ne deriva ed è dovere, medico riconosciuto;
– sul suicidio assistito si hanno notizie in particolare di quanto avviene nella vicina Svizzera dove è definito “atto medico in contesto assolutamente medico”. Per come si legge avviene al di fuori di una relazione di cura e talora in solitudine lontani dal proprio contesto di vita e di affetti, si impone la domanda su cosa si intenda per “atto medico”. La nota vicenda di Ramon Sampedro ha testimoniato che può esserci aiuto al suicidio anche senza il medico con l’affettuosa vicinanza degli amici. Ci sono oggi i sostenitori del “fai da te”. Lo psichiatra Boudewijn Chabot dice “Siamo diventati troppo dipendenti dai medici. È sbagliato e non c’è bisogno. Nella mia guida elenco alcuni metodi fai-da-te: (per primo l’elio, che ha il vantaggio di trovarsi in commercio, poi barbiturici, oppiacei e clorochina). Il vantaggio è anche quello di escludere dementi e malati psichici. (Da internet)

Personalmente penso che si possa definire “atto medico” solo all’interno di una vera consolidata relazione terapeutica, non compito di un medico purchessia;
– eutanasia = somministrazione di un farmaco che cagiona la morte al paziente, su sua richiesta. Qui si apre una profonda e multiforme riflessione:

  • quale è il ruolo della medicina nella nostra società, oggi? Nostra e oggi sono le due parole chiave. Nei paesi “poveri” questi problemi non si pongono. Ciò dimostra che non è in discussione la “natura” ma la cultura,
  • da dove origina la resistenza dei medici ad essere i “ministri” dell’eutanasia? Quale peso può-deve avere nelle scelte pubbliche questa resistenza e come tenerne conto anche nell’ottica sociale,
  • cosa si può fare, o prevedere, perché la società non passi direttamente dal tabu alla banalizzazione della morte? Come trovare un giusto equilibrio?

 

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