Medicina di Famiglia e Specialistica
Dislipidemie

Acido bempedoico: una nuova opzione terapeutica per la gestione delle dislipidemie

19 Feb 2024

Dr.ssa Elena Sarugeri

MD, PhD – Medical Writer

 

La terapia ipolipemizzante e la riduzione del rischio CV

Le patologie cardiovascolari (Cardiovascular disease, CVD) sono responsabili di più di 4 milioni di decessi all’anno in Europa, corrispondenti al 45% della mortalità complessiva1. Il colesterolo contenuto nelle lipoproteine a bassa densità gioca un ruolo chiave nello sviluppo delle patologie cardiovascolari aterosclerotiche (ASCVD)2,3 e rappresenta quindi l’obiettivo primario delle strategie di riduzione del rischio cardiovascolare (CV), soprattutto nei pazienti più esposti al rischio di eventi futuri4,5.

Numerose evidenze supportano infatti il ruolo della riduzione dei livelli di colesterolo LDL (C-LDL) nel diminuire il rischio di ASCVD, in misura proporzionale all’abbassamento del C-LDL stesso6. Nonostante ciò, le strategie di controllo della dislipidemia sono lontane dall’aver raggiunto l’obiettivo: in base ai risultati dell’EUROASPIRE V, sebbene l’80% dei pazienti esaminati fosse in terapia ipolipemizzante (con un approccio intensivo nel 50% dei casi), i valori di C-LDL risultavano entro i range raccomandati solo nel 32% dei casi, sottolineando la necessità di un approccio più aggressivo nel trattamento delle dislipidemie7.

A questo proposito, le linee guida 2019 della Società Europea di Cardiologia e della Società Europea dell’Aterosclerosi (ESC/EAS) per la gestione delle dislipidemie hanno stabilito degli obiettivi terapeutici più stringenti per la terapia ipolipemizzante: per i pazienti a elevato rischio CV si raccomanda una riduzione dei livelli di C-LDL ≥50%, oltre a un livello target <1,8 mmol/L (<70 mg/dL), mentre per i pazienti a rischio molto elevato si raccomanda una riduzione dei livelli di C-LDL ≥50% oltre a un livello target <1,4 mmol/L (<55 mg/dL)4. Per raggiungere tali target, le linee guida ESC/EAS 2019 raccomandano di intensificare la terapia ipolipemizzante attraverso un maggiore impiego delle combinazioni. Secondo quanto indicato dalle linee guida ESC/EAS 2019, il beneficio clinico atteso del trattamento ipolipemizzante può essere stimato in ogni singolo paziente e dipende, oltre che dai livelli basali di C-LDL e dal rischio basale stimato di ASCVD, anche dall’intensità della terapia. Si passa da una riduzione media stimata dei livelli di C-LDL del 30% con una terapia con statine a intensità moderata a una riduzione del 50% con una terapia con statine ad elevata intensità, fino al 65% con l’aggiunta di ezetimibe4. L’aggiunta di un inibitore della PCSK9 alla terapia con statine ad alta intensità, da sola o associata a ezetimibe, può portare la riduzione dei livelli di C-LDL rispettivamente al 75% e all’85% (Tab. 1)8.

 

 

A questo riguardo, lo studio SANTORINI (Treatment of high and very high riSk dyslipidemic pAtients for the prevention of cardiOvasculaR events in Europe–a multinational observational study), condotto in 14 centri in tutta Europa, tra il 2020 e il 2021 (quindi dopo la pubblicazione della versione 2019 delle linee guida europee), per documentare l’impiego delle terapie ipolipemizzanti nei pazienti a rischio CV elevato o molto elevato, ha rilevato l’impiego della monoterapia con statine nel 54,2% degli oltre 9000 pazienti inclusi nell’analisi, mentre l’uso della terapia di combinazione è stato registrato solo nel 24% dei casi, sebbene l’80% dei pazienti non avesse raggiunto gli obiettivi terapeutici raccomandati dalle linee guida ESC/EAS del 2019. Ciò suggerisce quindi che, nonostante le raccomandazioni delle linee guida, l’implementazione delle terapie di combinazione rimane insufficiente a garantire il raggiungimento degli obiettivi terapeutici necessari per ridurre efficacemente i livelli di C-LDL nelle categorie di pazienti a rischio CV più elevato e deve pertanto essere migliorata9.

 

 

Il trattamento dell’ipercolesterolemia: opzioni farmacologiche disponibili

 

1. Statine

Le statine inibiscono l’enzima limitante nella biosintesi del colesterolo, l’HMG-CoA reduttasi, determinando una riduzione del colesterolo intracellulare che a sua volta stimola l’upregulation dei recettori per le LDL sulla superficie degli epatociti, aumentandone la capacità di clearance delle LDL10. Le statine hanno dimostrato inoltre delle proprietà antinfiammatorie, che contribuiscono a ripristinare la funzione endoteliale e a stabilizzare la placca ateromasica11. Secondo i risultati della più ampia metanalisi disponibile sulla prevenzione secondaria degli eventi CV con le statine, una riduzione di 1 mmol/L dei livelli di C-LDL ottenuta con la terapia statinica si associa a una riduzione del 12% della mortalità per tutte le cause, del 23% della mortalità per infarto miocardico o per patologie coronariche, del 24% della rivascolarizzazione coronarica e del 17% dell’ictus non fatale6. La terapia a base di statine si è dimostrata in grado di ridurre gli eventi di ASCVD anche nell’ambito della prevenzione primaria, così come nei pazienti con ipertensione, diabete o aumento dell’infiammazione sistemica. Alla luce di tali evidenze, la terapia con statine è universalmente raccomandata come prima linea in prevenzione primaria e secondaria4,5,12,13.

Le statine rappresentano una delle classi di farmaci più estesamente studiate e presentano un rapporto rischio/beneficio eccellente: nonostante il focus posto su alcuni eventi avversi, quali mialgia e rabdomiolisi, numerosi studi clinici randomizzati hanno rilevato una frequenza simile di questi sintomi nei pazienti trattati con statine o con placebo14. È comunque raccomandato dalle linee guida di valutare l’eventuale predisposizione del paziente allo sviluppo di tali eventi avversi (età avanzata, traumi, attività fisica intensa), prima di iniziare la terapia con statine. Il monitoraggio dei livelli sierici di creatinchinasi dopo l’inizio della terapia non è raccomandato di routine nei pazienti con sintomi lievi o moderati in assenza di segni oggettivi di debolezza muscolare5.

Sebbene le statine mantengano un ruolo cardine nella gestione delle dislipidemie, il 10-15% dei pazienti trattati presenta un’intolleranza a tali farmaci e richiede quindi il ricorso ad opzioni terapeutiche alternative15.

 

2. Ezetimibe

Ezetimibe è un agente ipolipemizzante utilizzato principalmente per ridurre i livelli di C-LDL nei pazienti che non raggiungono i target raccomandati, nonostante la terapia con il massimo dosaggio tollerato di statine, o in quelli intolleranti a tali farmaci. Ezetimibe interferisce con l’assorbimento intestinale del colesterolo tramite l’inibizione della proteina Niemann-Pick C1-like, inibendo l’assorbimento delle micelle contenenti i lipidi assunti con la dieta16. Ciò provoca una riduzione delle riserve di colesterolo epatiche, con un conseguente aumento dell’espressione dei recettori per le LDL a livello degli epatociti e una riduzione di C-LDL nella circolazione. È importante notare che ezetimibe agisce al meglio in aggiunta alla terapia con statine: poiché infatti l’inibizione dell’HMG-CoA reduttasi da parte delle statine determina un aumento compensatorio intestinale di colesterolo, l’inibizione operata a questo livello da ezetimibe contribuisce a garantire la riduzione dei livelli circolanti di C-LDL. Analogamente, l’interferenza da parte di ezetimibe con l’assorbimento intestinale del colesterolo determina un aumento compensatorio della sintesi di colesterolo epatico attraverso un incremento dell’attività HMG-CoA reduttasi: in caso di associazione con una statina, questo meccanismo compensatorio viene evitato, migliorando così l’efficacia della terapia ipolipemizzante17.

L’efficacia clinica del trattamento con ezetimibe è stata valutata nell’ambito di numerosi studi clinici: tra questi, in particolare, il trial IMPROVE-IT (Improved Reduction of Outcomes: Vytorin Efficacy International), condotto su oltre 18.000 pazienti con un pregresso infarto miocardio (IM), ha dimostrato che l’aggiunta di ezetimibe a simvastatina determina una riduzione aggiuntiva del 24% dei livelli di C-LDL, oltre a indurre un calo assoluto del 2% degli eventi CV18. Nei pazienti con diabete o con pregresso by-pass coronarico la riduzione del rischio è risultata pari rispettivamente al 14 e al 20%, mentre nei pazienti con pregresso ictus è stata osservata una diminuzione del rischio di un nuovo ictus del 40%18. Un’analisi secondaria dello studio IMPROVE-IT ha dimostrato inoltre una riduzione del rischio di eventi CV in pazienti con un pregresso infarto miocardio acuto (IMA), indipendentemente dai valori basali di C-LDL19.

Numerosi studi hanno dimostrato un profilo di sicurezza favorevole per ezetimibe, la cui associazione alla terapia con statine non ha determinato un aumento della frequenza di mialgia, rabdomiolisi o di effetti gastrointestinali, né un aumento delle transaminasi o dei livelli di creatinchinasi20.

Sulla base dei dati disponibili, le linee guida americane (AHA/ACC) raccomandano l’aggiunta di ezetimibe nei pazienti con CVD a rischio molto elevato e con livelli di C-LDL ≥70 mg/dL, nonostante il trattamento con la massima dose tollerata di statine, e in quelli candidabili al trattamento con un inibitore della PCSK95. Le linee guida europee (ESC/EAS) sono più aggressive, raccomandando l’aggiunta di ezetimibe alla massima dose tollerata di statine in tutti i pazienti che non raggiungono i livelli target di C-LDL4.

Sebbene ezetimibe sia riconosciuto come un valido agente ipolipemizzante in associazione alla terapia con statine, rimangono da valutare i suoi effetti in termini di riduzione degli outcome CV in prevenzione primaria17.

 

3. PCSK9: anticorpi monoclonali e inibitori

L’introduzione degli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 ha migliorato in misura sostanziale la capacità terapeutica di ridurre i livelli di C-LDL e di raggiungere i valori target raccomandati21,22. Questi farmaci agiscono inibendo la PCSK9, una molecola normalmente deputata al trasporto dei recettori per le LDL ai lisosomi, dove vengono degradati. L’inibizione della PCSK9 favorisce quindi il ricircolo dei recettori per le LDL a livello della superficie degli epatociti, aumentandone in tal modo la capacità di clearance delle LDL dal circolo17.

Studi randomizzati hanno dimostrato la capacità degli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 di ridurre il rischio di eventi associati alla ASCVD. In particolare, lo studio FOURIER (Further Cardiovascular Outcomes Research with PCSK9 Inhibition in Subjects with Elevated Risk), condotto su oltre 27.000 pazienti con ASCVD nota già in terapia con statine, randomizzati al trattamento con evolocumab o con placebo, ha rilevato una riduzione mediana dei livelli di C-LDL del 59% rispetto al basale, associata a una riduzione del 20% (statisticamente significativa) del rischio di morte CV, ictus e IM23. Risultati simili sono stati ottenuti dallo studio ODYSSEY OUTCOMES (Evaluation of Cardiovascular Outcomes After an Acute Coronary Syndrome During Treatment with Alirocumab Trial), condotto su oltre 18.000 pazienti con una pregressa sindrome coronarica acuta (entro 12 mesi), già in terapia con statine ad alta intensità, randomizzati al trattamento con alirocumab o con placebo24. Lo studio ha rilevato una riduzione sostanziale dei livelli di C-LDL, pari al 62,7%, 61% e 54,7% rispettivamente a 4, 12 e 48 mesi, così come una riduzione dell’endpoint primario di morte CV, IM non fatale, ictus non fatale o ospedalizzazione per angina instabile con alirocumab rispetto al placebo (9,5% vs 11,1%). La mortalità per tutte le cause è risultata del 17% più bassa nel gruppo trattato, con una riduzione degli eventi CV non fatali del 13%25.

Oltre all’efficacia, gli studi FOURIER e ODYSSEY hanno dimostrato anche la sicurezza degli anticorpi anti-PCSK9, rilevando una frequenza di eventi avversi nei pazienti trattati simile a quelli riceventi placebo17.

Sulla base di queste evidenze, gli anticorpi anti-PCSK9 rappresentano una valida opzione terapeutica per i pazienti intolleranti alle statine17. Nell’ambito dello studio GAUSS (Goal Achievement after Utilizing an anti-PCSK9 antibody in Statin Intolerant Subjects), evolocumab ha indotto una riduzione marcata (dal 41% al 63%) dei livelli di C-LDL in pazienti intolleranti alle statine, senza alcun aumento degli eventi avversi26. Questi risultati sono stati confermati anche dallo studio ODYSSEY ALTERNATIVE, nel quale alirocumab è stato confrontato a ezetimibe e atorvastatina: il trattamento con alirocumab ha indotto una riduzione dei livelli di C-LDL maggiore rispetto a ezetimibe (45% vs 15%) ed è risultato associato a una minor frequenza di effetti collaterali di tipo muscolare rispetto ad atorvastatina27.

L’inibizione della PCSK9 si può ottenere, oltre che tramite gli anticorpi monoclonali, tramite l’impiego di inclisiran, un RNA sintetico interferente (siRNA) che induce l’idrolisi dell’mRNA per la PCSK9, inibendone l’espressione17. Studi di fase I hanno dimostrato la capacità del farmaco di indurre una riduzione del 70% dei livelli circolanti di PCSK9 e del 40% dei livelli di C-LDL rispetto al placebo28. Rispetto agli anticorpi monoclonali, che devono essere somministrati ogni 2-4 settimane, inclisiran si è dimostrato efficace con due somministrazioni annuali29. L’effetto del trattamento con inclisiran sugli eventi CV è in corso di valutazione nell’ambito dello studio ORION-4, comprendente circa 15.000 pazienti con una pregressa ASCVD, randomizzati al trattamento con inclisiran o con placebo30.

Gli inibitori della PCSK9 sono raccomandati dalle attuali linee guida americane5 ed europee4 in alternativa o in aggiunta alla terapia con statine ed ezetimibe nei pazienti che non raggiungono i target terapeutici, garantendo una maggiore riduzione dei livelli di C-LDL: in particolare, l’impiego di questi farmaci in associazione alle statine consente di ottenere una riduzione aggiuntiva del 43-64% dei livelli di C-LDL31,32.

Sebbene gli inibitori della PCSK9 rappresentino una classe di farmaci in grado di contribuire sostanzialmente alla gestione delle dislipidemie e alla riduzione del rischio CV, alcuni aspetti, quali il costo elevato e la somministrazione sottocutanea, potrebbero ostacolarne l’utilizzo su larga scala33.

 

4. Acido bempedoico

L’acido bempedoico è un nuovo agente ipolipemizzante che inibisce la sintesi del colesterolo a livello dell’ATP citrato-liasi (ACLY), enzima che agisce a monte rispetto all’HMG-CoA reduttasi34. L’acido bempedoico è un profarmaco che viene convertito nella sua forma attiva solo a livello del fegato, evitando in tal modo gli effetti collaterali di tipo muscolare spesso associati alla terapia con statine17. Il farmaco si è dimostrato efficace sia in aggiunta alle statine nei pazienti non a target, sia in monoterapia o in associazione con ezetimibe nei pazienti intolleranti alle statine, oltre a garantire una riduzione degli eventi CV (vedi oltre).

 

L’acido bempedoico: trattamento first in class

 

1. Meccanismo d’azione

L’acido bempedoico inibisce l’azione dell’enzima ACLY, che svolge un ruolo chiave nella sintesi dei lipidi, convertendo il citrato in acetil-CoA35. Si tratta di un profarmaco, che dopo la somministrazione per via orale viene convertito nella sua forma attiva a livello epatico, dove l’inibizione dell’ACLY determina una riduzione della sintesi del colesterolo e la conseguente upregulation dei recettori per le LDL. Ciò comporta un aumento dell’uptake delle LDL e una conseguente riduzione dei livelli circolanti di C-LDL (Fig. 1)36.

 

 

L’acido bempedoico è dotato di un’elevata biodisponibilità, grazie alle dimensioni limitate e al suo rapido assorbimento intestinale36. Una caratteristica peculiare dell’acido bempedoico è la sua capacità di esercitare la sua azione inibitoria sulla sintesi del colesterolo solo a livello delle cellule che possono convertirlo nella sua forma attiva: l’enzima responsabile di questa conversione è l’acil-CoA sintetasi-1 a catena molto lunga (ACSVL1), che viene espresso quasi esclusivamente nel fegato, con una presenza minima a livello del rene e della muscolatura scheletrica. L’assenza dell’enzima ACSVL1 a livello della muscolatura scheletrica rappresenta probabilmente il motivo dell’inferiore effetto miotossico osservato con l’acido bempedoico rispetto alle statine37, che si associano a effetti collaterali di tipo muscolare in una percentuale di pazienti trattati che può raggiungere quasi il 30%38. In un modello farmacodinamico dose-risposta, per predire le riduzioni di C-LDL con statine in combinazione con acido bempedoico, è stato dimostrato che l’acido bempedoico, somministrato con una statina a dosaggio più basso, offre una riduzione di C-LDL simile a una statina in monoterapia a dosaggio più alto, potendo quindi potenzialmente risparmiare, ai pazienti che necessitano di ulteriori terapie ipolipemizzanti, gli eventi avversi associati all’utilizzo di statine a dosaggio più elevato39.

 

2. Sviluppo clinico

  • Studi di fase II

Vari studi di fase II hanno valutato l’efficacia ipolipemizzante dell’acido bempedoico (a dosaggi compresi tra 40 e 240 mg/die) in monoterapia o come add-on alle statine o a ezetimibe o in associazione con entrambi40-42. In particolare, uno studio di valutazione dell’efficacia dell’associazione di acido bempedoico (180 mg) con ezetimibe (10 mg) e atorvastatina (20 mg) ha rilevato una riduzione corretta per il placebo dei livelli di C-LDL del 60,5% a 6 settimane, oltre al raggiungimento dei livelli target (C-LDL <70 mg/dL) nel 90% dei pazienti e a una riduzione ≥50% nel 95% dei casi43.

  • Studi di fase III

Lo sviluppo clinico dell’acido bempedoico ha compreso quattro studi di fase III: nei primi due studi, CLEAR Harmony (NCT02666664) e CLEAR Wisdom (NCT02991118), sono stati reclutati pazienti con ASCVD o con ipercolesterolemia familiare ereditaria (HeFH) ad elevato rischio CV in terapia con la massima dose tollerata di statine44,45, mentre nei successivi due studi, CLEAR Serenity (NCT02988115) e CLEAR Tranquility (NCT03001076), sono stati arruolati pazienti intolleranti alle statine46,47. In tutti gli studi, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere acido bempedoico o placebo (Fig. 2)48.

 

 

Nell’ambito degli studi CLEAR Harmony e CLEAR Wisdom, rispettivamente il 28,6% e il 30,3% dei pazienti presentava diabete, l’80% dei pazienti in entrambi i trial era iperteso e circa il 90% era in terapia con statine a moderata e ad alta intensità. I pazienti inclusi negli studi CLEAR Serenity e CLEAR Tranquility erano in terapia standard per la prevenzione primaria o secondaria degli eventi CV; nello studio CLEAR Tranquility, i pazienti in entrambi i gruppi di trattamento erano in terapia con ezetimibe e, circa il 30%, con statine a bassa intensità, mentre nel trial CLEAR Serenity meno del 10% dei pazienti era in terapia con basse dosi di statine o non assumeva tali farmaci a causa di pregressi eventi di intolleranza48.

Nonostante le diverse popolazioni reclutate nei quattro studi di fase III, il trattamento per 12 settimane con acido bempedoico è risultato associato a delle riduzioni significative dei livelli di C-LDL rispetto al placebo (p<0,001 in tutti i trial). Nei due studi in cui l’acido bempedoico è stato aggiunto alla massima dose tollerata di farmaci ipolipemizzanti la riduzione corretta per il placebo dei livelli di C-LDL alla settimana 12 rispetto al basale, corretta per placebo, è risultata compresa tra 17,4% e 18,1%44,45. Nei due studi condotti su pazienti intolleranti alle statine la riduzione, corretta per il placebo, dei livelli di C-LDL alla settimana 12 rispetto al basale è risultata compresa tra 21,4% e 28,5%46,47 (Fig. 3).

 

 

Questi miglioramenti nei livelli di C-LDL si sono mantenuti per tutto il follow-up, fino a 53 settimane, e si sono associati a un andamento simile di altri parametri lipidici, quali HDL-C, colesterolo totale, apolipoproteina B. Nell’insieme, questi dati dimostrano che l’acido bempedoico è un’opzione terapeutica efficace nel ridurre i livelli di C-LDL, sia in combinazione con la massima dose tollerata di farmaci ipolipemizzanti nei pazienti con ASCVD e/o HeFH, sia in monoterapia nei pazienti intolleranti alle statine48.

Inoltre, in tutti e quattro gli studi di fase III l’aggiunta dell’acido bempedoico è risultata associata a una riduzione significativa dei livelli di hsCRP, un fattore prognostico riconosciuto per i futuri eventi CV, suggerendo la possibilità che l’acido bempedoico possa esercitare anche degli effetti antinfiammatori (Fig. 4)48.

 

 

Poiché ezetimibe è utilizzato con terapia di add-on alle statine o come alternativa per i pazienti intolleranti a questi farmaci, un ulteriore trial di fase III ha valutato l’efficacia e la sicurezza di una combinazione fissa acido bempedoico + ezetimibe in pazienti ad elevato rischio CV a causa della presenza di ASCVD, fattori di rischio CV multipli o HeFH, randomizzati al trattamento con la combinazione fissa acido bempedoico + ezetimibe, acido bempedoico in monoterapia, ezetimibe in monoterapia o placebo50. Il 45,6% dei pazienti arruolati presentava diabete mellito, l’85,4% ipertensione. La combinazione fissa acido bempedoico + ezetimibe ha determinato una riduzione dei livelli di C-LDL, corretto per placebo, del 38% alla settimana 12, rispetto a una riduzione del 25% con ezetimibe in monoterapia e del 19% con acido bempedoico in monoterapia. La monoterapia con ezetimibe ha esercitato un effetto limitato sui livelli di hsCRP (-8,2%), rispetto alla marcata riduzione osservata con l’acido bempedoico in monoterapia (-31,9%). La combinazione fissa è risultata associata a una riduzione del 35,1% dei livelli di hsCRP, rispetto a un aumento del 21,6% osservato con il placebo49.

Per quanto riguarda la sicurezza, i più frequenti eventi avversi emergenti durante il trattamento, riportati nell’ambito dei quattro studi di fase III con l’acido bempedoico, sono stati nasofaringite, infezioni del tratto urinario e artralgia, tutti registrati con una frequenza inferiore nei pazienti trattati con acido bempedoico rispetto a quelli riceventi placebo. Il profilo di sicurezza è risultato identico sia in caso di utilizzo in monoterapia, sia in caso di associazione con la massima dose tollerata di statine o di ezetimibe, così come in caso di utilizzo della combinazione fissa acido bempedoico + ezetimibe48.

In particolare, per quanto riguarda l’utilizzo in add-on alle statine, nell’ambito degli studi di fase III l’acido bempedoico non è risultato associato ad alcun aumento significativo dell’incidenza di eventi avversi di tipo muscolare tipicamente associati all’impiego di statine, quali la mialgia e la debolezza muscolare50. Tra i pazienti già in terapia con statine (il 51% ad alta intensità), l’impiego di acido bempedoico è risultato associato a una frequenza di spasmi muscolari, mialgia e debolezza muscolare simile al placebo44,45; analogamente, nei pazienti intolleranti alle statine, l’impiego di acido bempedoico non è risultato associato ad alcun aumento dei sintomi muscolari rispetto al placebo46,47.

Nell’insieme, i dati della fase III di sviluppo clinico, relativi a oltre 3000 pazienti, non comprendono alcun caso di miopatia o di rabdomiolisi, nonostante l’arruolamento di pazienti che avevano manifestato sintomi muscolari durante la precedente terapia con statine, confermando il profilo di sicurezza favorevole dell’acido bempedoico, probabilmente conseguente al suo peculiare meccanismo d’azione, che evita l’esposizione del tessuto muscolare alla sua forma attiva48.

Nei pazienti trattati con acido bempedoico, le analisi di sicurezza hanno dimostrato un aumento dell’incidenza di livelli elevati di acido urico (0.8 mg/dl rispetto al basale), che in alcuni pazienti possono portare a iperuricemia o a gotta, e della creatinina sierica (0,04 mg/dl rispetto ai valori basali). Tali aumenti sono verosimilmente dovuti all’effetto dell’acido bempedoico sul trasportatore renale, l’OAT2, coinvolto nell’escrezione sia della creatinina sia dell’acido urico, e sono reversibili alla sospensione del farmaco50.

Eventi avversi definiti come nuova insorgenza di diabete/iperglicemia sono stati riportati meno frequentemente nel braccio di trattamento con acido bempedoico rispetto a quanto osservato nel gruppo placebo51.

L’effetto dell’acido bempedoico sugli eventi CV è stato valutato nell’ambito dello studio CLEAR Outcomes (Cholesterol Lowering via Bempedoic Acid, an ACL-Inhibiting Regimen), condotto su pazienti ad alto rischio CV in prevenzione primaria o secondaria, incapaci (per intolleranza o per decisione volontaria) di assumere i dosaggi di statine raccomandati dalle linee guida52. Sono stati arruolati in totale 13.970 pazienti, randomizzati al trattamento con acido bempedoico (n=6992) o placebo (n=6978), seguiti per un follow-up mediano di 40,6 mesi. Il rischio di un evento incluso nell’endpoint primario combinato (morte per cause CV, IM non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione coronarica) è risultato del 13% inferiore nei pazienti trattati con acido bempedoico rispetto a quelli riceventi placebo (11,7% vs 13,3%, HR 0,87; p=0,004)52. Il trattamento con acido bempedoico ha inoltre determinato una riduzione rispetto al placebo del 15% (8,2% vs 9,5%, HR 0,85; p=0,006) del rischio di un evento incluso nell’endpoint secondario combinato (morte per cause CV, IM non fatale, ictus non fatale), del 23% (3,7% vs 4,8%, HR 0,77; p=0,002) del rischio di IM fatale o non fatale e del 19% (6,2% vs 7,6, HR 0,81; p=0,001) del rischio di rivascolarizzazione coronarica52.

 

3. Indicazioni

Sulla base delle evidenze disponibili, l’acido bempedoico è stato approvato negli Stati Uniti e in Europa nel 2020 per il trattamento delle dislipidemie, in associazione a dieta e/o statine, in pazienti con HeFH o ASCVD. In Italia, il farmaco è disponibile per l’impiego in monoterapia (NILEMDO)53 o in combinazione fissa con ezetimibe (NUSTENDI)54. Si riportano di seguito le rispettive indicazioni:

  1. NILEMDO è indicato negli adulti affetti da ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) o da dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta53:
  • in associazione a una statina o con una statina in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti nei pazienti non in grado di raggiungere gli obiettivi terapeutici di C-LDL con la dose massima tollerata di una statina*;
  • in monoterapia o in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti in pazienti intolleranti alle statine o nei quali ne è controindicato l’uso.
  1. NUSTENDI è indicato negli adulti affetti da ipercolesterolemia primaria (familiare eterozigote e non familiare) o da dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta54:
  • in associazione a una statina nei pazienti non in grado di raggiungere gli obiettivi terapeutici di C-LDL con la dose massima tollerata di una statina oltre a ezetimibe*;
  • in monoterapia in pazienti intolleranti alle statine o nei quali ne è controindicato l’uso, che non sono in grado di raggiungere gli obiettivi terapeutici di C-LDL solo con ezetimibe;
  • nei pazienti già in trattamento con l’associazione di acido bempedoico ed ezetimibe sotto forma di compresse distinte, con o senza statina.

*Terapia rimborsata in pazienti a distanza dal target terapeutico non superiore al 20% nonostante il trattamento di 1° e 2° livello (per target raccomandati rispetto ai livelli di rischio fare riferimento alla Nota 13)55.

 

4. Ruolo dell’acido bempedoico nella gestione delle dislipidemie

Nonostante la riduzione dell’incidenza e della mortalità registrate negli ultimi anni in molti Paesi europei, l’ASCVD rimane un’importante causa di morbidità e di mortalità. Come affermano le linee guida ESC 2021 sulla prevenzione CV nella pratica clinica, il raggiungimento dei livelli target raccomandati di C-LDL è di fondamentale importanza nei pazienti a rischio elevato e molto elevato13. In questa popolazione di pazienti, una terapia di combinazione si rende necessaria almeno nell’80% dei casi per poter raggiungere i nuovi target terapeutici56. Poiché l’associazione di statine ed ezetimibe consente di raggiungere i livelli target di C-LDL in circa il 50% dei casi, almeno un terzo dei pazienti a rischio elevato o molto elevato richiede un terzo agente per via orale o una terapia iniettiva57. Poter disporre di un trattamento per via orale con un profilo di tollerabilità favorevole dal punto di vista muscolare rappresenta una strategia attraente per garantire l’efficacia del trattamento ipolipemizzante anche attraverso una migliore aderenza alla terapia prescritta. L’effetto osservato sui livelli di hsCRP suggerisce inoltre un possibile ruolo nel ridurre il rischio CV residuo associato all’infiammazione58. Ciò ha implicazioni anche economiche, in quanto se statine ed ezetimibe sono disponibili a un costo relativamente basso (pari a circa 100 euro/anno), gli inibitori della PCSK9 hanno un costo molto più elevato (pari a circa 5000-7000 euro/anno). In questo scenario, l’impiego dell’acido bempedoico potrebbe ridurre la necessità di ricorrere agli inibitori della PCSK9, consentendo un risparmio sostanziale sui costi58.

 

 

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