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Allergologia e immunologia

Le domande più frequenti dei medici in Immuno-Allergologia

9 Mar 2018

In questo articolo riportiamo alcune delle domande più frequenti, formulate da parte dei medici, in tema di immuno-allergologia, pubblicate su RIAP (Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica).

Precisiamo che, all’interno della rivista, le domande e le risposte sono poste sotto forma di quiz a risposta multipla, che potete consultare nell’allegato originale.

Le risposte sono state fornite dalle Commissioni SIAIP.

 

Quale affermazione riguardo il divezzamento e l’allergia alimentare è corretta?
L’alimentazione complementare deve essere intrapresa non prima dei 4 mesi ma non ritardata oltre i 6, possibilmente continuando ad allattare al seno, senza che ci sia la necessità di ritardare l’introduzione di cibi potenzialmente allergizzanti, indipendentemente dal rischio atopico (questo atteggiamento non varrebbe per la prevenzione delle allergie alle arachidi).

Le evidenze scientifiche a disposizione non permettono di fare specifiche raccomandazioni riguardo l’epoca di introduzione di “complementary foods” (lo svezzamento) in relazione alla prevenzione della malattia allergica. Riguardo al timing di introduzione di alimenti potenzialmente allergizzanti le evidenze non giustificano né di ritardare l’introduzione né di suggerire una esposizione precoce. Ecco perché è raccomandato l’allattamento al seno esclusivo per almeno 4 mesi e come obiettivo desiderabile un allattamento al seno
esclusivo o predominante per 6 mesi. L’introduzione dei complementary foods non deve avvenire prima del quarto mese e non deve essere ritardato oltre il sesto. Inoltre una volta iniziata l’introduzione di “complementary foods” non è raccomandato, per i bambini a rischio allergico, introdurre i cibi potenzialmente allergizzanti secondo modalità diverse rispetto ai bambini non a rischio (eccetto che per le arachidi). Infatti per quanto riguarda la prevenzione della allergie alle arachidi, uno studio prospettico di intervento ha mostrato
che nei bambini affetti da dermatite atopica severa o allergia all’uovo una introduzione delle arachidi tra i 4 e gli 11 mesi nella dieta riduce il rischio di una successiva allergia.

 

Nel caso in cui un bambino manifesti shock anafilattico cosa prevede il comportamento corretto?
La pronta somministrazione di adrenalina per via intramuscolare profonda

L’anafilassi è una vera e propria emergenza medica, si tratta di una reazione sistemica potenzialmente mortale. L’esordio è sempre acuto e la gravità dei sintomi può rapidamente progredire. L’adrenalina è il farmaco di prima scelta. La sua somministrazione deve avvenire senza ritardi per via intramuscolare profonda a livello della superficie anterolaterale della coscia, alla dose di 0,01 mg/kg (= 0,01 ml/kg) della soluzione 1:1000 fino ad un massimo di 0,5 ml. La somministrazione può essere ripetuta dopo 5-15 minuti se necessario. In commercio è possibile reperire presidi per l’autoiniezione di adrenalina a dosaggi prestabiliti. È preferibile la somministrazione a livello della coscia perché questo muscolo è maggiormente vascolarizzato rispetto al deltoide. La somministrazione per via intramuscolare è preferibile alla via endovenosa perché provoca minori eventi avversi, osservabili nell’1% dei casi, ed evita i sintomi da sovradosaggio. Infine non esistono condizioni fisiche che controindichino in modo assoluto la somministrazione di adrenalina.

 

Che cosa è la biologia molecolare nella diagnosi delle allergie alimentari?
Una indagine di secondo livello, da praticarsi in casi selezionati

Il progresso nelle conoscenze scientifiche ha permesso negli ultimi anni di individuare le principali molecole allergeniche responsabili delle allergie alimentari nei vari alimenti e sono oggi disponibili dei test di laboratorio che ricercano la presenza di IgE specifiche verso queste singole proteine allergeniche. Il loro impiego si pone come obiettivi quelli di incrementare la sensibilità e la specificità diagnostica, ma anche quello di cercare una possibile correlazione con la gravità del quadro clinico. E tuttavia questa disponibilità ha aumentato in modo esponenziale la numerosità dei test da effettuare (per ogni singolo alimento ci sono spesso diverse molecole da dosare) e quindi la complessità nella sua valutazione e non sempre ha migliorato la efficacia diagnostica. Inoltre a tutt’oggi non è possibile ricercare le molecole allergeniche di tutti gli alimenti né tutte le molecole allergeniche conosciute. È, pertanto, preferibile che tale indagine sia richiesta da medici che poi siano in grado di valutarne le risposte e non come prima indagine diagnostica nel sospetto di allergia alimentare.

 

Quali criteri possono essere predittivi per una reazione severa al Test di Provocazione Orale per alimento?
Pregressa storia di anafilassi, età adolescenziale ed allergia alla frutta secca

La reazione anafilattica nel corso di un Test di Provocazione Orale (TPO) per alimento è l’evento che più preoccupa i genitori e i pediatri nel momento in cui si decide insieme questo tipo di procedura. Conoscere preliminarmente i fattori di rischio per anafilassi in corso di tale procedura può servire sia per una corretta e preliminare informazione dei genitori sia per approntare, sempre e comunque in questi casi, il TPO in ambiente ospedaliero con tutti i requisiti di sicurezza richiesti (accesso venoso pronto, farmaci per l’urgenza già preparati, informazione del rianimatore che é in corso una procedura a rischio, ecc.). L’elevato valore di IgE specifiche sieriche non sempre orienta per un maggior rischio perché le IgE sono solo uno dei tanti attori che concorrono all’espressività della forma severa. La pregressa reazione di anafilassi esprime invece la reattività, non solo delle IgE, ma di tutti gli attori della reazione severa. Il TPO per uovo sembra meno associato a reazioni severe mentre la procedura per la frutta secca può esporre a reazioni più severe.

 

Quali sono  le migliori strategie terapeutiche in un bambino con esofagite eosinofila che sia stato trattato per circa 12 mesi con steroide inalatorio deglutito associato in alcuni casi al sistemico, con beneficio durante il trattamento e successiva ricomparsa dei sintomi alla sospensione della terapia cortisonica?
Tentativo di un periodo di dieta elementare associata ad eliminazione di uovo, latte, grano, pesce, soia ed arachide, seguita da reintroduzione di ogni singolo alimento eliminato ogni 6 -12 settimane, sotto stretto controllo clinico ed endoscopico.

L’esofagite eosinofila (EoE) è una malattia infiammatoria cronica a livello esofageo che riconosce un complesso meccanismo patogenetico in cui spesso gli alimenti costituiscono dei fattori triggers importanti nello scatenare e nel mantenere l’infiammazione. La dieta, dopo il fallimento della terapia con steroide inalatorio e sistemico rimane certamente una terapia da provare. Infatti secondo alcuni in età pediatrica la dieta potrebbe costituire la prima forma di trattamento per l’alta percentuale di risposta: oltre il 90% per la dieta elementare, tra il 70 e 80% per dieta empirica (esclusione dei 6 alimenti più comunemente causa) e per quella basata sulla positività degli SPT e dell’atopy patch test, mentre il trattamento farmacologico non sarebbe il trattamento di prima scelta perché la risposta è più bassa (50-70%) e per gli effetti collaterali. La dieta elementare con formule a base di amminoacidi associata alla eliminazione dei 6 alimenti più frequentemente associati allo sviluppo di EoE come il latte, il grano, l’uovo, la soia, il pesce e l’arachide, viene eseguita per 6-12 settimane per indurre una rapida regressione dei sintomi. Successivamente viene reintrodotto un alimento per volta, cercando di individuare l’alimento trigger, sotto stretto monitoraggio clinico ed endoscopico.

 

Clicca qui per consultare l’intero test pubblicato su RIAP

 

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