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Alimentazione

La psicologia dei consumi nei mesi della pandemia: le ricadute sulle scelte alimentari

13 Gen 2022

Tratto da AP&B – Alimentazione, Prevenzione e Benessere 

Durante i mesi di lockdown, le scelte alimentari di molte persone si sono modificate. Non necessariamente in meglio: facendo per esempio maggiore ricorso al “comfort food”, forse non il modo migliore per rafforzare le difese immunitarie anti-Covid-19. Come è potuto accadere? Sono evidentemente complesse le dinamiche che influenzano la psicologia dei consumi in generale, e comprendono aspetti di carattere nutrizionale. Un approfondimento in merito è al centro di una recente pubblicazione del gruppo di ricerca di Guendalina Graffigna, ordinario di Psicologia dei consumi alimentari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Cremona.

Professoressa Graffigna, può sintetizzarci quali domande vi hanno stimolato a condurre la ricerca, e che metodologia avete utilizzato?

Abbiamo costituito, e mantenuto operativo per tutto il corso della pandemia, un osservatorio per valutare l’impatto di questa emergenza sulla prevenzione e sui comportamenti legati alla salute in generale, focalizzando l’attenzione sull’importanza che le persone attribuiscono alla propria alimentazione e sui criteri di scelta che adottano al proposito. I primi dati, raccolti a marzo 2020 attraverso una survey online, riguardano circa mille italiani. Gli orientamenti rilevati si sono poi consolidati in seguito, come dimostra il proseguimento della ricerca: molte persone ricercano soluzioni che siano in grado di rafforzare il proprio sistema immunitario e proteggerle così dal rischio Covid-19, ma al contempo vi è una parte della popolazione che fa meno attenzione a questa funzione dell’alimentazione. 

Quali sono i principali risultati emersi? 

Circa il 40% della popolazione italiana non è convinta che le scelte nutrizionali possano davvero sostenere le funzioni del sistema immunitario. Questo, intanto, ci dice che sulla percezione dell’importanza dell’alimentazione resta ancora da fare chiarezza. Ciò vale, però, anche per chi pensa che la nutrizione possa direttamente difendere dal contagio virale. In generale, vediamo che le fasce d’età più giovani sono più refrattarie a conferire importanza all’alimentazione in un’ottica preventiva, ma questo vale anche per tutte le altre misure anti-Covid, comprese le vaccinazioni. I soggetti più maturi sono invece più sensibili al tema della prevenzione in generale, e delle misure nutrizionali anti-Covid, perché sono stati più toccati dal senso di vulnerabilità alla pandemia. Di conseguenza sono stati più portati a modificare una serie di credenze sulla propria salute.

Lo studio, però, suggerisce che le persone meno propense a considerare il cibo come un modo per prevenire l’infezione siano spesso anche quelle che si sentono psicologicamente più sopraffatte dalla pandemia. È così? 

Sì, certamente. C’è chi trova il modo di spostare la preoccupazione e il senso del rischio su altri fattori, ed altri che investono invece sull’alimentazione per poter avere una maggiore “fantasia di controllo”. Uso il termine “fantasia” perché talvolta la scelta non si basa su una vera conoscenza scientifica del portato nutrizionale di un prodotto. Sugli orientamenti psicologici possono per esempio agire le leve comunicative del marketing. Intendo dire che è un’attitudine psicologica il fatto di investire sull’alimentazione per sentirsi più al riparo dalla pandemia, ma poi la risposta personale può essere molto diversa, più o meno corretta dal punto di vista scientifico. Un altro studio che abbiamo pubblicato prima della pandemia fornisce un quadro interpretativo: abbiamo visto che quanto più le persone sono insoddisfatte della loro dieta e del loro stile di vita, tanto più sono preda delle cosiddette “fake news” alimentari. Di fatto chi mette più in discussione il proprio stile alimentare tende a cercare più informazioni per cambiare. Ma più si cercano informazioni, più aumenta la probabilità di imbattersi in canali informativi non corretti, o francamente errati. La voglia psicologica di migliorare può rendere ancora più vulnerabili all’errore. 

Età a parte, possiamo definire un profilo psicologico dei soggetti che si sentono più a rischio a fronte della pandemia, e dunque, secondo il meccanismo che ci ha appena descritto, più portati a prendere decisioni nutrizionali scorrette? 

Le persone più spaventate dalla pandemia sono in parte coloro che sono portatrici di fragilità sanitarie, ma, dall’altra parte, anche quelle che hanno un profilo psicologico che vira verso l’ansioso, con una minore stabilità di gestione delle proprie emozioni e un minore controllo rispetto agli eventi complessi della vita quotidiana. In altre parole, esistono caratteristiche di personalità ed emotive che distinguono queste persone, al di là delle caratteristiche socio-demografiche e biologiche che comportano di per sé un maggior rischio di salute e dunque più preoccupazione. Un altro elemento importante è l’orientamento che potremmo definire “valoriale” rispetto all’alimentazione: quanto più le persone ritengono che le scelte alimentari siano un modo per esprimere i propri valori e la propria personalità, tanto meno sono in balìa del senso di vulnerabilità dovuto alla crisi sanitaria. Mi riferisco non solo a chi opta per una dieta vegetariana o vegana ma anche a chi orienta la sua dieta sulla base di tradizioni culturali o politiche. Insomma, chi ha un forte investimento psicologico sulla propria alimentazione. 

Sembra che situazioni stressanti o emozionalmente impegnative portino a volte a una minore considerazione dell’importanza delle scelte alimentari. Come si può intervenire per orientare la comunicazione e motivare il consumo di alimenti che possano contribuire alla prevenzione?

Sulla nutrizione e in generale sulla salute è necessario attivare un dialogo di migliore qualità tra esperti e pubblico siamo di fronte a un paradosso psicologico: la persona può avere le migliori intenzioni, sentire che è necessario cambiare, ma spesso viene mal orientata in questo processo di cambiamento. Prima di tutto c’è bisogno di ascolto. Ricerche come quella che abbiamo condotto permettono di dare voce alle visioni paradossali, alle contraddizioni in tema di salute; proprio nelle contraddizioni risiede la verità psicologica di tutti noi. È un assunto della psicologia dei consumi: nelle scelte d’acquisto la razionalità è limitata, più di quanto di solito si pensi. In secondo luogo, è importante dare voce alle persone e su questa base coinvolgere gli esperti di nutrizione per divulgare le giuste informazioni. In caso contrario si rischia di avere due canali di comunicazione, due binari che non si incontrano: da una parte si continua a parlare di scienza e dall’altra è presente una “ragionevolezza laica”, di cui è portatrice l’opinione pubblica, che si attesta su altri concetti e altri principi.

Come si può instaurare questa strategia di dialogo e di ascolto? 

Questo tipo di dialogo, per ora, viene svolto in gran parte “dal basso”, cioè dalle associazioni dei pazienti o dei consumatori. Sarebbe opportuno che questi incontri venissero promossi anche “dall’alto”, dalle sedi istituzionali o dalle fondazioni. Però, ripeto, non solo per correggere le false credenze ma per ascoltare cosa pensa il cittadino. Le false credenze, infatti, per quanto scientificamente erronee, hanno una loro ragionevolezza psicologica. Ragionevolezza non significa “razionale”, significa che quelle convinzioni hanno dei fondamenti psicologici per emergere e che in qualche modo permettono alle persone di adattarsi al contesto in cui vivono (un adattamento, tuttavia, talvolta disfunzionale per la salute). Solo comprendendo i motivi di questa situazione dal punto di vista soggettivo si può immaginare di indurre le persone a fare scelte più corrette.

 

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