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Alimentazione

I grassi alimentari sono amici della salute? Scopriamolo insieme

12 Dic 2017
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La relazione tra il consumo dei grassi alimentari e la salute è, da sempre, un tema non semplice da comunicare al pubblico. Ricercatori e clinici concordano sulla difficoltà di trasformare in messaggi fruibili i risultati scaturiti dagli studi; d’altro canto, l’opinione pubblica ammette di non riuscire a orientarsi con sicurezza in un settore francamente complesso e in rapida evoluzione.

Grassi versus carboidrati? Lo scenario anni Ottanta

La cattiva fama dei grassi parte da lontano e si concretizza negli anni ’80 del secolo scorso, con la raccomandazione a ridurne quanto più possibile l’assunzione, soprattutto se saturi. L’elevata densità energetica li rendeva un facile bersaglio per diminuire l’introito calorico quotidiano; inoltre, alcune importanti ricerche avevano messo in luce la relazione tra grassi saturi della dieta e colesterolemia, e quindi tra minore apporto degli stessi saturi e riduzione del rischio cardiovascolare.

La comunicazione al pubblico sfociò in un vera e propria demonizzazione dei grassi, che si tradusse nella promozione di comportamenti a volte controproducenti: per esempio sconsigliando i consumi degli alimenti contenenti grassi (compresi frutta secca a guscio, semi oleosi, oli vegetali, veicoli di grassi metabolicamente favorevoli) si promosse invece, indirettamente, la scelta di cibi a base di carboidrati, compresi quelli più raffinati e ricchi di zuccheri aggiunti, poveri di fibre e micronutrienti, ad alta densità energetica e ad alto indice glicemico.

Secondo un gruppo di autorevoli ricercatori statunitensi (tra cui Dariush Mozaffarian) questi fattori contribuirono a favorire l’aumento della prevalenza di sovrappeso, obesità e patologie correlate. Una vera e propria epidemia, macroscopica negli Stati Uniti, su scala appena ridotta in Europa e Australia.

La raccomandazione al ridotto consumo di grassi e lo sviluppo di alimenti a basso tenore lipidico hanno avuto successo fino a oggi: per esempio, l’opinione pubblica sa bene a che cosa servono le vitamine, ma solo una minoranza riconosce l’essenzialità di alcuni grassi per il corretto funzionamento dell’organismo.
In pratica, l’opinione pubblica sembra escludere ancora la possibilità che i grassi possano rientrare in un’alimentazione equilibrata e salutare.

 

Che cosa è cambiato negli anni e nelle linee guida?

La ricerca invece ha continuato ad approfondire le conoscenze sulle caratteristiche dei lipidi e sulle loro interazioni metaboliche, trasferendole progressivamente nelle linee guida. Si possono citare le linee guida nutrizionali statunitensi per il quinquennio 2015-2020, che hanno spostato l’attenzione dal concetto dei “livelli di assunzione di grassi da non superare (35% dell’energia totale, con un 10% riservato ai saturi)” alla proposta di una “valutazione delle diverse classi lipidiche, da inserire in un’alimentazione complessivamente bilanciata”.

A questa indicazione aderisce la Heart and Stroke Foundation canadese che evidenzia infatti la maggiore efficacia della proposta di un profilo alimentare complessivamente bilanciato, piuttosto che la definizione di un limite all’assunzione dei grassi saturi, recependo le conclusioni dei grandi studi di popolazione, compreso il Women’s Health Initiative, in cui si è dimostrato che, al contenimento dell’apporto di grassi al di sotto della quota raccomandata (dal 34 al 29% delle calorie totali), non corrisponde la riduzione del rischio cardiovascolare, metabolico e oncologico.

 

Le conclusioni delle linee guida USA 2015- 2020 ribadiscono infatti che diminuire l’apporto di grassi saturi per sostituirli con carboidrati non riduce il rischio cardiovascolare.
L’American Heart Association precisa che le evidenze raccolte in questi anni confermano come “la minore incidenza (cioè il numero di nuovi casi, n.d.r.) di malattie cardiovascolari è associata alla sostituzione dei grassi saturi con una quota isocalorica di lipidi insaturi, privilegiando i polinsaturi”.

 

Cosa fare nel quotidiano?

Una premessa è d’obbligo: «La scienza che studia il rapporto tra grassi e salute cardiovascolare è complessa quanto le caratteristiche degli elementi che studia. La comunicazione al pubblico deve tenerne conto e ogni raccomandazione deve saper interpretare queste evidenze complesse». Da questa affermazione di buon senso prende le mosse la definizione di “profilo alimentare equilibrato e promotore di salute”, caldeggiato come è stato detto da tutte le linee guida nutrizionali. Ecco che cosa  si raccomandano:

  1. Distinguere i grassi secondo le fonti alimentari.
    Nella Dieta Mediterranea le calorie da grassi, che non sono mai inferiori al 30% dell’energia giornaliera, provengono prevalentemente da fonti vegetali (olio extravergine d’oliva, frutta secca a guscio), o ittiche (polinsaturi omega-3).
  2. Gli altri oli vegetali.
    Altri oli vegetali forniscono acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi in percentuale variabile. Per esempio sono ricchi di acido linoleico l’olio di semi di girasole e l’olio di mais; esiste tuttavia una varietà di olio di semi di girasole ad alto contenuto di acido oleico, il cui profilo in acidi grassi è molto simile a quello dell’olio d’oliva. L’olio più ricco di acido alfalinolenico è invece l’olio di colza, soprattutto nella varietà chiamata Canola.
  3. I casi particolari: cacao e prodotti lattiero-caseari.
    Gli alimenti hanno una composizione complessa: ecco perché alcuni alimenti con un buon contenuto di saturi si dimostrano positivi per la salute CV. L’esempio più noto è il cioccolato amaro: è dimostrato che un consumo moderato (10 g al giorno) e costante influenza positivamente la colesterolemia totale e LDL, la pressione e l’insulinemia, nonostante la relativa ricchezza in grassi saturi

 

Approfonici l’argomento nel numero 8/2017 della rivista Alimentazione Prevenzione & Benessere.

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