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I grani attuali sono meglio dei grani antichi? L’intervista all’esperto

4 Apr 2019

Quali sono le ragioni che sostengono l’attuale attenzione dei consumatori nei confronti dei grani antichi? E quali sono invece i dati tecnici e scientifici per valutare il loro valore, sia come apporto nutrizionale, sia come ingredienti mirati per le diverse produzioni, industriali e casalinghe?

Risponde Amedeo Reyneri, Ordinario di Agronomia e Coltivazioni erbacee, Facoltà di Agraria, Università di Torino.

 

Che cosa si intende per “grani antichi”?

Tra chi non è specialista della materia, la definizione può prestarsi a qualche ambiguità, soprattutto perché immediatamente evocativa di “buon tempo andato”, quindi di alimentazione ritenuta (a torto) più “sana”. Si tratta invece di un’aggettivazione che inquadra i tempi di evoluzione delle colture.

Molto più pragmaticamente, infatti, si definiscono “antiche” le popolazioni di grani locali utilizzate prima degli anni ’20 del secolo scorso, ovvero prima dell’introduzione del miglioramento genetico su basi scientifiche. Proprio in quegli anni, grazie al lavoro di uno dei maggiori genetisti agrari di sempre, il nostro Nazareno Strampelli, si selezionarono invece nuove varietà, ottenute tramite incroci in campo, dando origine ai “grani storici”, coltivati fino agli anni ’60-’70. L’evoluzione rapida delle tecniche di ricerca dopo gli anni ’70, infine, ha portato a quelli che oggi definiamo “grani moderni”.

 

Che cosa ha motivato la ricerca di grani diversi da quelli antichi?

Sicuramente la ricerca di una maggiore redditività della coltura, non soltanto come produzione ottenibile per ettaro, ma anche come capacità delle varietà nuove di resistere alle malattie e di poter essere più facilmente coltivate anche in condizioni meteorologiche non ottimali (vento, pioggia, freddo).
L’aumento di redditività è presto chiarito: ogni ettaro coltivato a grano tenero antico a livello aziendale rende tra i 5 e i 30 quintali; con le varietà storiche si ottengono tra i 15 e i 50/60 quintali; i grani moderni possono rendere fino a 100 quintali per ettaro. Aver ridotto l’altezza delle spighe, che un tempo raggiungeva persino il metro e mezzo, a circa 80-100 cm, ha reso le spighe più resistenti al rischio di allettamento da vento e pioggia. Le spighe attuali, inoltre, hanno meno paglia e più granella. […]

 

Che cosa è necessario precisare invece a proposito del contenuto in nutrienti?

Il contenuto in nutrienti (sia proteine e sia componenti bioattivi) dipende da più fattori: la varietà di grano coltivato, le caratteristiche di terreno e clima, infine le tecniche di molitura. Il contenuto è quindi molto variabile. Le nostre ricerche hanno permesso di evidenziare che non ci sono chiari aumenti di concentrazione (sia di proteine e sia di componenti bioattivi) nei grani antichi o storici, rispetto a quelli attuali. Ecco perché affermare che i grani di recente introduzione abbiano un valore nutritivo inferiore rispetto a quelli antichi è una forzatura.
Nei grani attuali è inoltre possibile un’ampia scelta, che permette di orientare la composizione attesa in nutrienti, compreso quello delle proteine che danno origine al glutine (il complesso viscoelastico che si forma a partire da gluteline e prolammine, al contatto con l’acqua); ciò permette di ottimizzare gli impieghi dei grani secondo le filiere produttive. Il diverso contenuto di glutine orienta verso produzioni che necessitano di alta lievitazione (per esempio i panettoni), o di impasti ad alta elasticità (esempio: pizze), piuttosto che all’ottenimento di biscotti e crackers. Anche il contenuto di composti antiossidanti, come gli antociani e i carotenoidi, può oggi essere guidato: questi composti sono particolarmente concentrati nelle varietà attuali di frumenti pigmentati (le varietà più scure indicano la presenza di antocianidine, mentre i polifenoli sono più chiari), verso cui si sta indirizzando l’interesse dei produttori e dei consumatori.

Il terzo aspetto è il tipo di molitura utilizzata: la raffinazione dei grani può essere calibrata, per rimuovere soltanto in parte i tegumenti (le crusche), per conservare in parte lo strato aleuronico, posizionato tra i tegumenti e l’endosperma (la parte interna da cui origina la farina raffinata), in cui si concentrano i composti bioattivi. La valorizzazione del contenuto nutrizionale del frumento passa perciò attraverso lavorazioni che non eliminino la frazione più ricca (Figura 2). La crusca originata dalla porzione più esterna (e quindi più fibrosa) ha funzione protettiva del chicco, ma è opportuno che sia eliminata, perché interferisce con la digeribilità, la palatabilità e le possibilità di lavorazione. Inoltre, è qui che si concentrano i contaminanti (metalli pesanti e micotossine menzionate in precedenza). Diverso il caso della frazione più interna della crusca: se mantenuta, grazie a una decorticatura attenta, conferisce alla farina la frazione di fibra più fine, dotata dei noti vantaggi per il benessere e la salute.

È evidente che anche questo aspetto vale per tutti i grani, antichi e moderni.

 

C’è un secondo punto oggi molto dibattuto: la sostenibilità. È vero che la produzione di grani attuali è meno sostenibile?

Rispondo con una domanda: che cosa intendiamo con “sostenibilità”? Se il riferimento è all’energia necessaria per coltivare un ettaro di grano, dovremmo rispondere che è vero, perché i grani antichi vengono coltivati con regime biologico, quindi con un ridotto uso di fertilizzanti e con tecniche di difesa soltanto meccaniche: come abbiamo già detto, i grani antichi sono per esempio dotati di un fusto più lungo, meno danneggiabile dalle piante infestanti.

I grani attuali, coltivati secondo i criteri convenzionali, richiedono invece, per garantire gli alti livelli di produttività a ettaro citati, concimazione attenta e sistemi di difesa ben più raffinati e mirati di quelli meccanici.
Il discorso viene completamente ribaltato se si considera il costo per unità di prodotto, quindi per quintale (o anche chilo) di granella ottenuto. È vero che si impiega più energia per ettaro di coltura, ma questo ettaro produce il doppio, o anche il triplo, o il quadruplo: l’efficienza dei grani attuali diventa quindi vincente, con una netta riduzione, per unità di prodotto, non solo di energia impiegata, ma anche di CO2 emessa. Possiamo ampliare ancor più il discorso, considerando la sostenibilità del sistema agro-alimentare come nazione Italia: è intuitivo capire che la sola coltivazione di varietà antiche, o storiche, porterebbe a un disavanzo commerciale pesantissimo, perché dovremmo moltiplicare le importazioni, già ora assai elevate.

 

Per approfondire leggi l’intervista completa di AP&B – Alimentazione, Prevenzione e Benessere. 

 

 

 

 

 

 

 

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