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Hikikomori: un fenomeno non così lontano

8 Ago 2019

Da qualche anno a questa parte, anche alle nostre latitudini, si sente spesso parlare di “Hikikomori”: un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera da letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno. Le ultime stime parlano di 100 mila casi italiani di hikikomori, un esercito di reclusi che chiede aiuto. Un numero che è destinato ad aumentare se non si riuscirà a dare al fenomeno una precisa collocazione clinica e sociale.

Questa condizione oggi riguarda principalmente giovani tra i 14 e i 30 anni e di sesso maschile, anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato dai sondaggi effettuati finora.

Al momento in Giappone ci sono di oltre 500.000 casi accertati, ma secondo le associazioni che se ne occupano il numero potrebbe arrivare addirittura a un milione (l’1% dell’intera popolazione nipponica). Si tratta dunque di un fenomeno incredibilmente vasto, eppure in pochi ne hanno sentito parlare, soprattutto al di fuori del Giappone.

Il fenomeno Hikikomori in Giappone sembra legato alle caratteristiche intrinseche della società di riferimento: una società molto competitiva, assai rigida nella stratificazione sociale, con un senso dell’onore molto radicato e tale che la perdita dell’onorabilità rappresenta la perdita dell’identità stessa, e dunque è vista come qualcosa d’irrimediabile. Tutti questi elementi messi insieme hanno portato e portano molti adolescenti ad abbandonare questa competizione e a ritirarsi a vita privata, facendo un atto di rinuncia e di suicidio sociale: salvando da un lato l’onore, e dall’altro mettendo in atto una sorta di protesta silente con il rifiuto della società che li circonda.

Per questi motivi, si era sempre ipotizzato che tale sindrome non potesse esistere al di fuori dell’Estremo Oriente. Invece, oggi non è più così, perché anche in Occidente si sono registrati in modo sempre più frequente casi assimilabili a questo tipo di patologia. La domanda da porsi allora è capire che cosa induca i giovani occidentali ad assumere un simile atteggiamento, considerato che la pressione sociale, in Europa ad esempio, è completamente diversa rispetto a quella della società giapponese, e così anche l’atteggiamento culturale.

Nel nostro Paese l’attenzione nei confronti del fenomeno sta aumentando. L’hikikomori, infatti, sembra essere una sindrome che rappresenta un disagio sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo.

Le cause possono essere diverse:

  • caratteriali: gli hikikomori sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente introversi e sensibili. Questo temperamento contribuisce alla loro difficoltà nell’instaurare relazioni soddisfacenti e durature, così come nell’affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva;
  • familiari: l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento con la madre sono indicate come possibili cause, soprattutto nell’esperienza giapponese. I genitori faticano a relazionarsi con il figlio, il quale spesso rifiuta qualsiasi tipo di aiuto;
  • scolastiche: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d’allarme dell’hikikomori. L’ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo. Molte volte dietro l’isolamento si nasconde una storia di bullismo;
  • sociali: gli hikikomori hanno una visione molto negativa della società e soffrono particolarmente le pressioni di realizzazione sociale dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire.

Tutto questo porta a una crescente difficoltà e demotivazione del ragazzo nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa. Anche la dipendenza da internet viene spesso indicata come una delle principali responsabili dell’esplosione del fenomeno, ma non è così: essa rappresenta una conseguenza dell’isolamento, non una causa. Il fenomeno è scoppiato in Giappone ben prima della diffusione del personal computer. Questo significa che prima che esistesse internet l’isolamento degli hikikomori era totale. Da questo punto di vista l’utilizzo del web può essere interpretato come un fattore positivo in quanto consente ai ragazzi di continuare a coltivare delle relazioni sociali che altrimenti non avrebbero. Sempre più spesso l’hikikomori viene scambiato con patologie con cui non ha nulla a che fare, generando una grande confusione intorno al fenomeno e, di fatto, impedendo a coloro si trovano in questa condizione di identificarsi.

Per questo motivo, prima di capire cos’è l’hikikomori, è importante stabilire cosa non è l’hikikomori. Secondo molti l’isolamento degli hikikomori sarebbe solamente la conseguenza di uno stato depressivo. Come stabilito anche dal Ministero della Salute Giapponese nel 2013, l’hikikomori non è una malattia (al contrario della depressione). È stata infatti dimostrata l’esistenza di un “hikikomori primario”, ossia un hikikomori che si sviluppa prima e a prescindere da altre patologie; uno stato di ritiro che non deriva da nessun disturbo mentale preesistente.

Così come l’isolamento dell’hikikomori non è causato dalla depressione, esso non è nemmeno riconducibile semplicemente a un disturbo d’ansia, come, ad esempio, la fobia sociale o l’agorafobia. È innegabile che dopo un lungo periodo di isolamento una persona possa sviluppare una dipendenza dal computer, possa sperimentare un calo dell’umore o avere paura di uscire di casa, ma questo non può portarci ad affermare che dipendenza da internet, depressione e fobie sociali siano la causa dell’hikikomori.

Ma cos’è quindi l’hikikomori?

L’hikikomori è una pulsione all’isolamento che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate. Le pressioni di realizzazione sociale (es. “devi prendere bei voti”, “devi trovarti un lavoro fisso”, “devi trovarti un/a ragazzo/a”, “devi essere simpatica/o, sportiva/o e attraente”) sono ovviamente più forti nell’adolescenza e nei primi anni di vita adulta, quando vi sono molte aspettative sul futuro. Ragazzi e ragazze si trovano così a dover colmare virtualmente il gap che si viene a creare tra la realtà e le aspettative di genitori, insegnanti e coetanei. Quando questo gap diventa troppo grande si sperimentano sentimenti di impotenza, perdita di controllo e di fallimento.

A loro volta questi sentimenti negativi possono portare a un atteggiamento di rifiuto verso quelle che sono le fonti di tali aspettative sociali. E poiché queste fonti sono rappresentate dai genitori, dagli insegnanti, dai coetanei e, più in generale dalla società, il ragazzo tenderà spontaneamente ad allontanarsene. Da qui il rifiuto di parlare con i parenti, di andare a scuola, di mantenere relazioni d’amicizia e di intraprendere un qualsiasi tipo di carriera sociale. Da qui i sentimenti d’odio verso le sorgenti del proprio dolore. Da qui la scelta del ritiro, dell’isolamento.

 

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