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Psicologia, psichiatria

Disturbi del sonno: la narcolessia

2 Set 2021

Tratto da Evidence based Psychiatric Care – Società Italiana di Psichiatria

La narcolessia è una condizione patologica cronica gravemente invalidante, che rappresenta un modello di malattia per quanto riguarda i disturbi del sonno: in particolare, viene classificata all’interno di una sottocategoria chiamata ipersonnie, cioè malattie caratterizzate da eccessiva sonnolenza.

In realtà, la narcolessia è stata la prima vera malattia del sonno a essere descritta, essendo stata identificata nel 1880 da Gelineau che la caratterizzò come una patologia con una perdita di chiari confini tra veglia e sonno, con una rilevante sonnolenza durante il giorno, ma anche con una insonnia nelle ore notturne.

La manifestazione della malattia

La narcolessia oggi è identificata dalla presenza di eccessiva sonnolenza diurna con attacchi di sonno irresistibili, cataplessia (consistente in improvvise e brevi perdite di tono muscolare innescate da forti emozioni), allucinazioni durante l’addormentamento o il risveglio (allucinazioni ipnagogiche e ipnopompiche), paralisi nel sonno e disturbi del sonno notturno.

La caratteristica neurofisiologica della narcolessia è rappresentata dallo scivolamento immediato del paziente nel sonno REM, ossia nella fase dei sogni. Anche le altre manifestazioni della malattia (la cataplessia, le paralisi del sonno e le allucinazioni) sono interpretabili come un’espressione dissociata incompleta del sonno REM.

L’esordio della narcolessia si manifesta solitamente nell’adolescenza o nella giovane età adulta, con una distribuzione bimodale: sono stati descritti due picchi, rispettivamente all’età di circa 15 e 35 anni. Si stima che la prevalenza della narcolessia sia compresa tra 25 e 50 casi ogni 100.000 persone.

In Italia colpisce circa 40 persone ogni 100.000 abitanti; i pazienti diagnosticati sono però circa mille, si stima quindi un sommerso di almeno 24.000 casi.

Lo studio della narcolessia

Negli ultimi 120 anni la narcolessia è stata contesa tra neurologi e psichiatri: entrambi hanno asserito che fosse una patologia di interesse della loro disciplina. In realtà si può affermare che la malattia è senz’altro di pertinenza neurologica, come dichiarò il dottor Bill Dement, che nel 1953 assieme ad altri due colleghi scoprì il sonno REM, ma si occupò anche di descrivere alcuni modelli animali spontanei di narcolessia, che è discretamente frequente in talune specie animali, per esempio nei cani. Scoprendo il sonno REM, Dement contribuì anche a descrivere un segno caratteristico della narcolessia: normalmente il sonno REM compare circa 90 minuti dopo l’addormentamento, mentre in una persona con narcolessia, sia nell’addormentamento serale che nei frequenti addormentamenti diurni, il sonno REM compare immediatamente, entro pochissimi minuti.

Su questa caratteristica neurofisiologica si basa oggi la diagnosi di narcolessia: il test delle latenze multiple di addormentamento (Multiple Sleep Latency Test, MSLT), infatti, effettuabile in un laboratorio del sonno, permette di caratterizzare una sonnolenza patologica e documentare le rapide transizioni in sonno REM.

Nel 2000 si è inoltre scoperto che nei soggetti affetti da questa patologia manca un gruppo di cellule localizzate nell’ipotalamo laterale, che producono un neuromediatore peptidico conosciuto come orexina o ipocretina. Questo neuromediatore è indispensabile per il corretto mantenimento della veglia, che è finalisticamente volta alla ricerca del cibo, all’attività sessuale e in generale ai meccanismi di ricompensa.

Sulla base delle caratteristiche cliniche e dei livelli di ipocretina-1 nel liquido cerebrospinale (CSF hcrt-1), secondo la terza edizione dell’International Classification of Sleep Disorders (ICSD-3) la narcolessia può essere suddivisa in due forme:

  • narcolessia con cataplessia e carenza di hcrt-1, ora denominata narcolessia di tipo 1 (NT1)
  • narcolessia senza cataplessia e livelli normali di hcrt-1, denominata narcolessia di tipo 2 (NT2).

La diagnosi della malattia

Com’è stato detto, la narcolessia è una patologia rara, ma anche estremamente sotto diagnosticata, ed è caratterizzata da una lunga latenza nella diagnosi rispetto all’insorgenza dei sintomi, che spesso compaiono in età giovanile: addirittura si calcola che passino in media circa 14 anni, sia in Europa che negli Stati Uniti, prima di arrivare alla diagnosi. Le campagne fatte dall’Associazione Italiana Narcolettici in collaborazione con i Centri di Medicina del Sonno hanno portato l’Italia tra i primi paesi del mondo con una diagnosi relativamente rapida di narcolessia, mediamente 5-6 anni dopo la comparsa dei sintomi.

Tuttavia, se confrontiamo la casistica con i dati epidemiologici, il numero dei pazienti che a oggi restano senza diagnosi è ancora molto elevato. Un’indagine svolta dall’Associazione Italiana Narcolettici ha evidenziato che il tempo che intercorre fra la comparsa dei primi sintomi e la diagnosi è compreso fra 2 e 6 anni nel 26% dei casi, fra 7 e 10 anni nel 16% dei casi e oltre 10 anni nel 17% dei casi.

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