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Psicologia, psichiatria

Depressione maggiore: antidepressivi e uso clinico

7 Mag 2020

La depressione è ampiamente riconosciuta come un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo e la terapia farmacologica con antidepressivi rappresenta uno dei suoi trattamenti fondamentali.

Negli ultimi anni la psicoterapia si è affermata come valido trattamento complementare, e non alternativo, alla terapia farmacologica, dimostrando efficacia soprattutto nelle forme più lievi della malattia.

Altri trattamenti della depressione, ad esempio nei casi di resistenza, inefficacia e/o scarsa tollerabilità, includono la stimolazione del nervo vagale (VNS), la stimolazione magnetica transcranica ripetuta (rTMS) e la terapia elettroconvulsivante (ECT), ma si tratta di interventi non ampiamente disponibili o di non semplice esecuzione.

I principi alla base della prescrizione medica di una terapia antidepressiva sono i seguenti:

  • discutere con il paziente la scelta e il razionale del farmaco esplorando contestualmente l’utilità/disponibilità di alternative non farmacologiche;
  • informare il paziente sui potenziali effetti della terapia e che il miglioramento sarà graduale e non immediato;
  • prescrivere il farmaco antidepressivo a una dose che abbia una buona probabilità di efficacia (se necessario, con adeguata titolazione);
  • per un primo e singolo episodio, continuare il trattamento per almeno 6-12 mesi dopo la risoluzione dei sintomi (più episodi possono richiedere tempi prolungati);
  • ridurre gradualmente gli antidepressivi quando debbano essere interrotti; informare sempre il paziente sul rischio e sulla natura dei sintomi da interruzione e sul rischio di una possibile ripresa di malattia in assenza di trattamento.


Antidepressivi: usi principali

Le condizioni in cui più spesso vengono utilizzati gli antidepressivi sono generalmente:

  • Disturbo depressivo maggiore e altri disturbi depressivi unipolari
  • Depressione bipolare
  • Disturbo da panico
  • Disturbo d’ansia sociale
  • Disturbo d’ansia generalizzato
  • Disturbo post-traumatico da stress
  • Disturbo ossessivo-compulsivo
  • Depressione con caratteristiche psicotiche (in combinazione con un farmaco antipsicotico)
  • Bulimia nervosa
  • Dolore neuropatico
  • Insonnia
  • Enuresi
  • Depressione atipica


Uso clinico degli antidepressivi

Fin dall’introduzione della fluoxetina, gli SSRI e gli SNRI rappresentano il trattamento farmacologico iniziale più frequentemente prescritto per il disturbo depressivo maggiore (MDD).

Il successo di questi nuovi agenti nel rimpiazzare i triciclici (TCA) (imipramina, clomipramina, amitriptilina) e gli inibitori delle monoamino ossidasi (IMAO) come agenti di prima scelta non si basa su differenze stabilite nell’efficacia, ma anche su un profilo di effetti collaterali e sicurezza generalmente più favorevole.

Chiaramente, i nuovi antidepressivi (SSRI, SNRI, NRI, NDRI) presentano maggiori vantaggi in termini di sicurezza o tollerabilità rispetto alle due precedenti classi di farmaci antidepressivi. Gli ultimi farmaci che sono stati sviluppati, dopo gli IMAO, TCA e SSRI e SNRI, presentano un meccanismo di azione e una tollerabilità ancora più peculiari. Ad esempio vortioxetina, un farmaco ad azione multimodale (modulatore dell’attività della serotonina e in maniera indiretta anche della noradrenalina, dopamina, istamina, acetilcolina, GABA e glutammato) associa all’efficacia antidepressiva su sintomi, come l’anedonia, l’appiattimento affettivo e i difetti cognitivi, un particolare profilo di effetti collaterali caratterizzato da una buona tollerabilità metabolica, da un ridotto rischio di interazioni e da un ridotto rischio di determinare effetti collaterali particolarmente fastidiosi nella terapia di lungo termine, come la disfunzione sessuale.


Inizio dell’effetto antidepressivo

È opinione comune che gli antidepressivi non esercitino i loro effetti nelle prime 2-4 settimane di trattamento. Tuttavia, questa osservazione è stata nel tempo riconsiderata. Tutti gli antidepressivi mostrano infatti la tendenza a dare una percentuale di miglioramento particolarmente elevata nelle prime 1-2 settimane. Naturalmente il miglioramento non è di solito tale da determinare la remissione dell’episodio in corso ma è ormai chiaro che alcuni cambiamenti dei sintomi possano essere osservati fin dai primi giorni. La separazione statistica dal placebo è stata di solito osservata a 2-4 settimane dall’inizio del trattamento, ma un cambiamento numericamente superiore (nei punteggi delle scale di valutazione) nel gruppo trattato con il farmaco, rispetto a quello trattato con placebo, si vede già dopo 1-2 settimane e, in larghe meta-analisi (statisticamente più potenti), tale variazione raggiunge anche i livelli di significatività statistica. Ne consegue che negli individui in cui non è evidente alcun effetto antidepressivo dopo il trattamento di 3-4 settimane, potrebbe essere necessario modificare la dose o il farmaco considerato, senza dove attendere periodi più lunghi.

Nel primo periodo di trattamento è comunque molto più probabile che il paziente percepisca gli effetti collaterali del farmaco (destinati in molti casi a diminuire nel tempo), come sedazione diurna, problemi gastrointestinali, disfunzione sessuale, piuttosto che un primo iniziale miglioramento. Per questo motivo, e al fine di migliorare la relazione terapeutica e l’aderenza al farmaco, è sempre importante ricordare ai pazienti che gli effetti collaterali sono di solito leggeri e autolimitati (salvo naturalmente restare sempre a disposizione per una rivalutazione precoce), mentre gli effetti terapeutici sono lenti e progressivi. Sebbene vi siano alcune differenze nell’efficacia delle diverse classi di antidepressivi per i diversi tipi di depressione, molte delle differenze clinicamente significative tra gli una classe di antidepressivi e un’altra, sono da ascriversi ai diversi profili di effetti collaterali.

 

Effetti collaterali degli antidepressivi

Gli effetti collaterali dei farmaci psicotropi possono compromettere seriamente non solo l’aderenza e conseguente efficacia del trattamento, ma anche la qualità di vita del paziente. Per questi motivi è importante che il medico sia consapevole dei potenziali effetti avversi e della loro gestione ottimale. Determinare quale farmaco stia causando uno specifico effetto collaterale e/o se un qualsiasi farmaco sia da ritenersi responsabile per un determinato effetto avverso può essere difficoltoso. Ad esempio, più della metà dei pazienti con depressione malinconica non trattata riportano cefalea, stitichezza e sedazione; questi stessi sintomi sono frequentemente descritti come gli effetti collaterali dei farmaci antidepressivi, ma spesso sono, almeno in parte, dovuti a altri fattori.
Se gli effetti avversi non sono particolarmente severi, un approccio graduale di valutazione e gestione nel tempo (in termini di valutazione della natura, causalità, tendenza all’aumento o riduzione nell’intensità, gravità, ecc.) può aiutare a garantire che siano affrontati e trattati solo quegli effetti che tendano a permanere oltre qualche giorno o ora, evitando reazioni istintive che portino alla sospensione immediata di un farmaco potenzialmente utile e tollerato.

 

Per maggiori approfondimenti scarica la rivista SIMG ( Società Italiana di Medicina Generale) 

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