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Alimentazione

Cancro del colon-retto: l’alimentazione corretta per prevenire

22 Lug 2021

Tratto da: AP&B – Alimentazione, Prevenzione e Benessere

Il consumo di carne è finito ancora una volta sulle prime pagine dei giornali a seguito di una recente affermazione del neoministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che ha invitato a diminuirne il consumo per evitare presunti impatti negativi sulla salute e sull’ambiente.

Quest’idea rimbalza ormai da anni sulla stampa ad ampia diffusione, e per questo è entrata a far parte delle molte nozioni che affollano la testa della popolazione, non sempre corrette.

A fare il punto delle reali conoscenze sui collegamenti tra alimentazione e rischio di tumore del colon-retto, una delle principali patologie associate al consumo di carne rossa, arriva un’ampia umbrella review pubblicata su Jama Network Open.

 

Il tumore del colon-retto

Il cancro del colon-retto (CRC) rappresenta una delle più frequenti forme tumorali nelle società ad alto reddito come la nostra.

Secondo i dati AIOM-AIRTUM (Associazione Italiana di Oncologia Medica-Associazione Italiana Registri Tumori), in Italia nel 2020 le nuove diagnosi di cancro del colon-retto sono state circa 43.700.

La neoplasia colo-rettale rappresenta il terzo tumore più diffuso negli uomini e il secondo tra le donne in tutto il mondo. La sua eziologia è multifattoriale: sono coinvolti sia fattori genetici sia ambientali.

Esistono prove che confermano come alcuni stili di vita modificabili giochino un ruolo significativo nell’insorgenza e nella progressione della malattia. Tra questi sono noti l’eccesso di grasso corporeo (sovrappeso e obesità), un’alimentazione non equilibrata, l’abitudine al fumo, la scarsa attività fisica e la sedentarietà.

 

La correlazione del cancro del colon-retto col cibo: un’indagine ad hoc

Alla luce di questi dati epidemiologici, risulta quindi molto utile l’indagine di Veettil e colleghi, che fornisce un’adeguata sintesi dei risultati complessivi di 45 metanalisi di studi osservazionali prospettici impostati con disegno di studio di coorte.

L’obiettivo dell’analisi era valutare le prove esistenti a conferma dell’associazione tra diversi schemi alimentari, cibi specifici, gruppi di cibi, bevande (incluse quelle alcoliche), macronutrienti e micronutrienti, e l’insorgenza di cancro del colon-retto, basandosi sulla forza e la qualità delle prove emerse globalmente.

Le prove circa la correlazione tra un alimento o fattore preso in considerazione e l’insorgenza di CRC sono state classificate secondo una scala di forza: convincenti, altamente indicative, indicative, deboli o non significative.

 

L’assunzione di fibra alimentare

Un aspetto sul quale va fatta qualche riflessione in più è il tipo di fibra alimentare assunta con la dieta.

Nonostante le prove circa l’utilità del suo consumo nel ridurre il rischio di tumore del colon retto siano solide e convincenti, rimane poco esplorata la differenza tra gli effetti dei vari tipi di fibra. I cereali integrali sembrano essere particolarmente utili perché la fibra che contengono è associata a micronutrienti, per esempio, i folati, la cui associazione inversa con lo sviluppo di CRC è dimostrata.

Meno certo è il ruolo di altre fonti di fibra come la verdura, la frutta e i legumi. Le prove circa i benefici del consumo di frutta e verdura rispetto al rischio di CRC sono infatti deboli, come hanno riconosciuto gli esperti del World Cancer Research Fund International.

Non va però dimenticato che, a parte la fibra, gli alimenti vegetali contengono vitamine, minerali e polifenoli, che potrebbero contribuire a un effetto complessivo favorevole sul rischio oncologico.

Per questo motivo rimangono uno strumento di prevenzione plausibile e coerente, nonostante le prove dirette di correlazione siano deboli.

 

Il microbiota intestinale

 La fibra alimentare viene trasformata per opera del microbiota intestinale in altri composti importanti per la salute della parete del colon, come gli acidi grassi a catena corta, e specie il butirrato.

Tra le ipotesi sul meccanismo d’azione dei benefici dell’assunzione di fibra, infatti, c’è proprio l’interazione con il microbiota.

Quest’ultimo, a sua volta, può variare molto in composizione in termini di ceppi e specie diverse, a seconda dell’alimentazione. La flora intestinale, per esempio, è regolata anche dall’apporto di specifici polifenoli ad azione prebiotica.

 

Lo yogurt come alimento di prevenzione del cancro del colon-retto 

Alcuni studi hanno rilevato come una maggiore assunzione di yogurt possa ridurre il rischio di CRC, in modo potenzialmente mediato, appunto, dal microbiota intestinale.

Lo yogurt potrebbe ridurre il rischio di tumore anche esercitando effetti antinfiammatori sulla mucosa del colon e migliorando eventuali disfunzioni della barriera intestinale. Dato che i pazienti di sesso maschile presentano più spesso un’aumentata permeabilità intestinale, gli uomini potrebbero trarre maggiore beneficio dall’assunzione di yogurt rispetto alle donne.

 

Il consumo di latte e latticini

Anche per quanto riguarda il consumo di latte e latticini ci viene incontro con qualche risposta una review sistematica e metanalisi di studi osservazionali sull’argomento. È emersa una correlazione inversa solida tra un maggior consumo di prodotti caseari e latte intero e il rischio di sviluppare CRC in tutte le varie localizzazioni. Anche il latte a basso contenuto di grassi ha mostrato di offrire un beneficio, limitato però al colon, mentre è stata osservata anche un’associazione inversa con il consumo di formaggio, specialmente per quanto riguarda il tumore del colon prossimale.

Non è stato rilevato alcun effetto sfavorevole legato al consumo di tutti i prodotti caseari indagati, compresi quelli a base di latte intero. Secondo gli autori è quindi ragionevole affermare che il consumo di latticini, come formaggi e latte sia interi e sia a ridotto contenuto di grassi, possa essere correlato a un minore rischio di sviluppare CRC.

 

Carne rossa e carne trasformata

Per quanto riguarda specificamente la relazione tra consumo di carne rossa e trasformata (per esempio gli insaccati), e il rischio di tumori totali (non solo CRC, quindi) vale la pena di ricordare che i risultati di questa umbrella review vanno confrontati con quelli di altri due studi di grande portata e rilevanza.

Un gruppo di ricercatori indipendenti, NutriRECS, ha elaborato indicazioni specifiche per il pubblico al proposito, basate sulla solidità delle prove scientifiche, sull’entità del potenziale di beneficio o di danno del ridurre o eliminare il consumo di carni rosse o trasformate, non trascurando di prendere in considerazione i valori e le preferenze esplicite delle persone in ambito alimentare. L’analisi è partita da quattro reviews sistematiche sui danni e i benefici associati al consumo di carne rossa e carne trasformata e da una review sistematica che stabiliva le preferenze e il valore salutistico attribuito al consumo di carne.

Le conclusioni tratte, tenendo conto di queste premesse, sono che un elevato consumo di carne rossa o trasformata si associa, con un livello di evidenza basso o molto basso, ad un modesto aumento del rischio di tumori.

Secondo gli autori, alla luce di questi dati, la popolazione adulta dovrebbe tuttavia continuare nel suo consumo abituale di carne rossa o trasformata, perché le prove non sono sufficientemente solide per giustificare un cambiamento radicale delle abitudini di consumo di questi alimenti.

Un discorso più ampio e onnicomprensivo sugli effetti di salute delle carni rosse e trasformate proviene dall’analisi sistematica dello studio Global Burden of Disease (GBD) circa gli effetti dell’alimentazione sulla salute, svolto in 195 Paesi tra il 1990 e il 2017. Questo imponente lavoro offre un’immagine esauriente dei principali fattori di rischio correlati alla dieta, il cui miglioramento potrebbe prevenire una morte su cinque a livello globale.

Secondo i dati del GBD, le carni rosse non rientrano tra i determinanti del rischio di morte associabile alla dieta nei Paesi europei (mentre entrano, al penultimo posto, nella classifica che riguarda tutti i paesi del mondo). Le carni trasformate sarebbero invece associate all’1,5% dei decessi osservabili in Europa, ed a una quota analoga anche a livello mondiale. Tali effetti sono solo una minima frazione di quanto potrebbe essere invece ottenuto aumentando il consumo di cereali integrali, frutta, verdura, frutta secca e semi, sempre in Europa.

L’analisi di questi dati suggerisce quindi, secondo gli autori, che le strategie alimentari che promuovono un aumento nei consumi di cibi benefici, per i quali gran parte della popolazione non raggiunge ancora un livello di assunzione ottimale, possano dare risultati migliori rispetto a politiche di restrizione di specifici nutrienti come, per esempio, zuccheri e grassi.

Emerge quindi la necessità di interventi sui sistemi alimentari che siano di vasta portata e che includano la produzione, la distribuzione e il consumo di questi cibi favorevoli per la salute a beneficio di tutta la popolazione mondiale.

Approfondisci l’argomento sulla rivista di AP&B

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