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Grassi polinsaturi omega-3: quali benefici?

10 Mag 2018

Cecilia Ranza della rivista AP&B ha intervistato il Dottor Roberto Marchioli (Medical Director, Therapeutic Science & Strategy Unit, IQVIA, Milano) riguardo i benefici degli omega-3 a lunga catena (EPA + DHA).

Il dottor Marchioli è co-autore di una metanalisi che prende in esame i 10 studi principali condotti finora sul rapporto tra supplementazione con omega-3 e protezione cardiovascolare nelle persone ad alto rischio.

Le raccomandazioni di base risultano invariate, gli omega-3 da fonti alimentari sono un pilastro di salute per tutti.

Ma nel corso di questi anni la ricerca sugli omega-3 è andata avanti e nuovi studi potranno chiarire quali siano le condizioni in cui una supplementazione con omega-3 a lunga catena ha un ruolo significativo.

Leggiamo l’intervista integrale:

Partiamo da questa metanalisi: perché è stata condotta?

L’ipotesi di partenza di tutti gli studi che hanno valutato il rapporto tra supplementazione con omega-3 a lunga catena (EPA + DHA) e salute cardiovascolare si basava su osservazioni raccolte in tutto il mondo sull’associazione diretta tra regolare consumo di pesce (almeno due tre volte la settimana), in quanto fonte principali di questi acidi grassi, e riduzione del rischio coronarico nella popolazione generale. Queste osservazioni sono oggi ben note anche al grande pubblico.

Da qui era scaturita l’ipotesi di lavoro sul possibile ruolo protettivo di una supplementazione con questi omega-3 (vale a dire, a livelli più elevati di quelli raggiungibili con il solo apporto alimentare) nei soggetti con coronaropatia preesistente.
L’ipotesi era poi stata supportata dalle informazioni, raccolte negli anni ’70- ‘80, sulla farmacologia di questi composti, che ne avevano documentato – alle dosi tipiche della supplementazione – l’azione antiaggregante, antinfiammatoria, di controllo dei livelli dei trigliceridi plasmatici e antiaritmica.
Nel 1998, in effetti, in perfetta concordanza con questi dati, il GISSI-Prevenzione mise in luce una riduzione della mortalità cardiovascolare del 20% e della morte improvvisa del 45% nei soggetti supplementati con EPA + DHA rispetto ai controlli.
Una decina d’anni dopo, lo studio giapponese JELIS aveva fornito con il solo EPA risultati simili, soprattutto sulla riduzione degli eventi vascolari non fatali. Le ricerche successive, però, non hanno sempre confermato questi dati: probabilmente perché, nel frattempo, la terapia dei soggetti ad alto rischio cardiovascolare e quella dell’infarto acuto si sono evolute e arricchite.
Ormai tutti i soggetti con un pregresso infarto, nei trial clinici, assumono il cosiddetto “best treatment”, a comprendere la statina, l’ACE inibitore, il betabloccante, l’antiaggregante; la maggioranza di essi, in presenza di evento coronarico acuto, è sottoposta anche a rivascolarizzazione coronarica, che riduce sostanzialmente il successivo rischio cardiovascolare. Nel complesso, si tratta di un approccio che contribuisce a modificare completamente l’evoluzione clinica, e la prognosi, di questi pazienti.

Quali studi sono stati inclusi in questa metanalisi e perché?

Una premessa è necessaria. L’attuale metanalisi è stata firmata dall’Omega-3 Treatment Trialists’ Collaboration, che si è costituito proprio per chiarire, sulla base delle conoscenze attuali, quale sia oggi il ruolo della supplementazione di omega-3 a lunga catena nella prevenzione cardiovascolare.
Abbiamo perciò incluso i 10 trial clinici più rigorosi, in cui gli omega-3 a lunga catena erano stati somministrati ad almeno 500 soggetti, per almeno un anno, a confronto con placebo (protocolli randomizzati), oppure con soggetti di controllo (protocolli open-label). In questi trial, era stata valutata l’efficacia protettiva della supplementazione nei confronti del rischio di: infarto miocardico non fatale; mortalità per coronaropatia; ictus (tutte le cause); eventi successivi a rivascolarizzazione, coronarica e non; tutti questi eventi insieme.

Quali sono le caratteristiche dello studio e quali i risultati principali?

Iniziamo dalle caratteristiche delle persone coinvolte e delle concentrazioni di omega-3 a lunga catena utilizzate. In tutto, i 10 studi hanno coinvolto 77.917 persone con un’età media di 64 anni, in maggioranza (61,4%) uomini.
Il 66,4% di questi soggetti era coronaropatico, il 28% aveva sofferto di un ictus e il 37% era diabetico, fattori evidenti di alto rischio cardiovascolare. La quantità di EPA assunta ogni giorno (acido eicosapentaenoico) variava da 226 a 1.800 mg, quella di DHA (docosaesaenoico) era compresa tra 0 e 1.700 mg/die, con dosi giornaliere di EPA+DHA comprese tra 376 mg e 2550 mg. La durata media dell’assunzione è stata di 4,4 anni.
In questi 10 studi la supplementazione regolare con omega-3 (nei vari dosaggi considerati) non porta vantaggi significativi alla salute vascolare dei soggetti coinvolti, anche quando suddivisi per gruppi di età o sesso, o per la malattia pregressa, il profilo lipidemico, la terapia o meno con statine.
Si osserva comunque una lieve tendenza (anche se non significativa) alla riduzione degli eventi (come in altre metanalisi con diversi criteri di selezione degli studi considerati) e, sul piano strettamente statistico, non è possibile escludere una riduzione del rischio di eventi vascolari maggiori (infarto e ictus) fino al 7-10%.

Possiamo affermare che la vostra metanalisi mette un punto fermo al pregresso, ma apre anche a nuove ipotesi di lavoro sul rapporto tra supplementazione con omega-3 e prevenzione vascolare?

Certamente. Tornando al GISSI-Prevenzione, non c’è dubbio che, vent’anni fa, la terapia del post-infarto fosse in piena evoluzione e che gli omega-3 a lunga catena abbiano rappresentato un presidio efficace e innovativo.

Oggi il panorama è molto più complesso e meglio mirato. Ed è per questo che la ricerca sugli omega-3 va avanti.

La domanda principale alla quale bisogna rispondere è: quali sono le condizioni in cui una supplementazione con omega-3 a lunga catena ha un ruolo significativo?

Occorre aumentare il dosaggio quotidiano, per esempio fino a 3-4 g al giorno, come stanno facendo lo studio REDUCE-IT (confronto tra terapia con una statina e associazione tra statine e omega-3, in soggetti con ipertrigliceridemia e almeno un altro fattore di alto rischio vascolare) e lo studio STRENGTH (confronto tra statina + dieta e statina + dieta + omega-3 sempre in soggetti ad alto rischio vascolare)?

Oppure ci sono pazienti che possono rispondere meglio alla supplementazione con omega-3, come il paziente diabetico (lo sta indagando lo studio britannico ASCEND) o le persone con bassi livelli circolanti di questi acidi grassi?

Tutte queste ricerche sono ancora in corso, coinvolgono numeri molto ampi di soggetti e hanno un protocollo d’indagine rigoroso. Per questo la comunità scientifica si attende dai loro risultati risposte di estremo interesse su campioni di pazienti trattati in base alle più recenti evidenze e quindi trasferibili alla popolazione attuale.

Tornando al punto di partenza: questo filone di indagine ha preso le mosse da osservazioni raccolte nella popolazione generale, che hanno portato a stilare linee guida nutrizionali (sovrapponibili in tutto il mondo), nelle quali si raccomanda il consumo regolare di pesce per promuovere il benessere e la salute generale. Queste indicazioni mantengono la loro validità?

Senz’altro. Le dimostrazioni del rapporto diretto tra consumo regolare di pesce grasso dei mari freddi, il più ricco di omega-3, e salute complessiva (non solo cardiovascolare) sono talmente tanti e così solidi da non dare adito a dubbi.

Anche perché, al di là dei possibili effetti preventivi, di natura quasi farmacologica, questi acidi grassi sono essenziali per il funzionamento di organi e tessuti vitali del nostro organismo: cervello, retina, centri di controllo elettrico del cuore. La supplementazione con omega-3, a dosi pari a quelle che si otterrebbero con un regolare consumo di pesce, possono essere un’alternativa per le persone sane che non possono (intolleranze o allergie), o non vogliono (alcuni regimi vegetariani e il regime vegano) consumare pesce.

Per quanto concerne gli effetti di natura farmacologica, specie in prevenzione secondaria, l’approccio più corretto è probabilmente quello di sospendere il giudizio, in attesa dei nuovi studi in corso.

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